Fatìa, un passaporto per la vita

Fatìa, un passaporto per la vita Fatìa, un passaporto per la vita Appello della Cgil: se torna in Marocco, morirà MlillllllII DONNE NEL MIRINO FPALERMO ATIA fa due gesti eloquenti, quello della testa mozzata e della gola squarciata. E' il destino - si dispera - che l'aspetta se sarà costretta a tornare a casa, in Marocco. Forse c'è un po' di esagerazione in ciò che cerca di spiegare a fatica, ma di certo rischia grosso se dovrà abbandonare il centro di accoglienza di «Serraino Vulpitta», a Trapani. E, quindi, la Cgil ha deciso di chiedere oggi al governo la «protezione umanitaria», equivalente a una concessione di asilo politico, per questa ventiduenne, sbarcata clandestinamente due settimane fa a Pantelleria. I dirigenti della Cgil sono convinti che a Fatìa (la chiameremo così, anche se questo, per evidenti ragioni, non è il suo vero nome) la farebbero pagare cara per la fuga e, quindi, per essersi comportata come un uomo, in un Paese dove i rigidi modelli maschilisti e le ferree regole della religione musulmana non tollerano simili manifestazioni d'indipendenza femmi- nili. A incontrarla e a raccogliere il suo grido d'aiuto è stata Giovanna Marano, della segreteria regionale del sindacato, nel centro dove la ragazza ha ricevuto un paio di jeans e una maglietta (con sé, infatti, non aveva indumenti né biancheria di ricambio). La delegazione è stata guidata da Alioune Guje, il sindacalista senegalese che Sergio Cofferati ha posto al vertice dell'ufficio che alla Cgil si occupa delle politiche dell'immigrazione. E sarà proprio Guje, oggi, a investire del caso le ministre diessine per gli Affari Sociali e per le Pari opportunità Livia Turco e Anna Finocchiaro. «Abbiamo molta fiducia, perché riteniamo che sarebbe assurdo far rimpatriare la ragazza, esponendola a chissà quali ritorsioni - afferma Giovanna Marano - e riteniamo che sia possibile e, anzi, in questo caso doveroso, fare uno strappo alla legge». La legge prevede che entro 20, al massimo 30 giorni, il clandestino sia espulso, se riconosciuto dalle autorità della nazione da cui proviene. E' appunto il caso di Fatìa: il viceconsole del Marocco, che l'ha interrogata nel centro, ha accertato che non è tunisina (come lei insisteva a far credere), ma marocchina. E da quel momento, la ragazza è scivolata nel terrore, segnato da un pianto a tratti sommesso, a volte irrefrenabile. «Sì, le sue condizioni psicologiche sono ormai fragili - conferma Giovanna Marano - e fa certamente una gran pena. L'ho abbracciata e mi ha dato l'impressione di un essere sull'orlo del collasso». Tra i correttivi da apportare alla legge sull'immigrazione e al trattato di Schengen, resi necessari dalla varietà delle situazioni che alimentano il flusso migratorio, potrebbero quindi essercene alcuni per soccorrere le donne in fuga dai loro Paesi. Il dramma di Fatìa è un esempio eloquente e, per fortuna, raro: secondo i calcoli della Cgil, le donne rappresentano appena lo 0,3% del fenomeno migratorio attraverso la Sicilia. Antonio Ravidà E' sbarcata due settimane fa a Pantelleria, ha violato le regole della religione musulmana Per le donne clandestine essere rimpatriate nei Paesi del Maghreb può significare la morte oppure violenze e persecuzioni

Persone citate: Anna Finocchiaro, Antonio Ravidà, Giovanna Marano, Livia Turco, Sergio Cofferati, Serraino

Luoghi citati: Fatìa, Maghreb, Marocco, Pantelleria, Sicilia, Trapani