Aspettando Tosca con Cuticchio in piazza, coi pupi siciliani di Masolino D'amico

Aspettando Tosca con Cuticchio in piazza, coi pupi siciliani TEATRO & TEATRO Aspettando Tosca con Cuticchio in piazza, coi pupi siciliani IN Aspettando Tosca. Mimmo Cuticchio, il cui atelier di pupi siciliani si trova in una stradina proprio davanti al Massimo di Palermo, immagina che un loggionista escluso dal teatro esaurito ricostruisca lo spettacolo come può, affidandosi ai suoni che gli arrivano e alla narrazione di un cantastorie popolare. Il loggionista è un pupo che lo stesso Cuticchio manovra seduto su di un piccolo palco all'aperto, e sempre Cuticchio dà voce sia a lui, sia ai suoi interlocutori; il pubblico si accalca in piedi, cercando di farsi vento - malgrado siano le 21,30, si suda; in compenso, non si paga. Da un balcone interlocutori invisibili mandano al loggionista il rumore degli strumenti accordati, l'applauso al direttore d'orchestra, le prime note dell'opera. Poi però il collegamento si interrompe, e il surrogato della serata viene affidato a un cuntista, ossia, naturalmente, a Cuticchio: il quale da adesso in poi, per una durata totale di circa '90, racconterà al piccolo loggionista e agli astanti assiepati la storia di Flora Tosca, di Cavaradossi e di Scarpia, alla maniera sua. In particolare, è dato spazio alla componente libertaria: Voltaire, ossia un altro pupo, doppiato da un attore in cima a una scala, enuncia gli ideali che ispirarono Angelotti console della defunta Repubblica Romana, evaso da Castel Sant'Angelo e riparato nella chiesa in cui il pittore cavalier Cavaradossi sta affrescando una cappella. Sto ripetendo anch'io una vicenda arcinota a tutti, ma il difetto dell'operazione è proprio qui: per la maggior parte del tempo si ripassa infatti materiale arcinoto, e le variazioni con cui Cuticchio lo movimenta, pur piacevoli, sono rare rispetto al prevalere della pura e semplice esposizione. Le principali si verificano in occasione della presunta vittoria su Bonaparte: oltre alla cantata prevista da Puccini, Cuticchio immagina una festa popolare, con giocolieri che fanno volteggiare torce accese e con una macchietta di avanspettacolo affidata al simpatico veterano Gianni Marchese. In precedenza un tenore - lo stesso che alla fine intonerà «E lucevan le stelle» - ha cantato una canzone napoletana; dopo, un soprano vero ci farà ascoltare da un balconcino «Vissi d'arte». Nella stradina, fra la gente, si fanno largo un destriero di legno con un fiero cavaliere che incarna il trionfatore del generale austriaco Melas; poi, Cavaradossi bendato e portato all'esecuzione; poi, dei pupazzi di legno con fucili (il plotone). In alto si sono mosse altre figurette, e alla fine una Tosca-aquilone invece di buttarsi dagli spalti del Castello è rapita in cielo da palloncini. Su di un telone aperto provvisoriamente è stato proiettato un pezzetto di Te Deum con Scarpia, e un pianista ha fornito dal vivo quella musica che non è piovuta, registrata, dagli altoparlanti. Come cuntista, Cuticchio sfoggia la sua splendida vocalità in un solo episodio, quando evoca la battaglia fra repubblicani e austriaci coi ritmi concitati delle guerre fra cristiani e saracini; per 3 resto però si limita, come ho detto, a una narrazione tutto sommato abbastanza piatta. Malgrado i lampi di fantasia, il risultato è monotono: rinnovare il teatro dei pupi con queste contaminazioni evidentemente non è facile, l'ingenuo fascino che si perde non è sempre compensato dalle trovate. Interessante comunque, e generoso, l'esperimento, verificabile ancora nell'ultima replica prevista per stasera. Masolino d'Amico icoj

Luoghi citati: Castel Sant'angelo