Daniel Harding Che fortuna nascere direttore

Daniel Harding Che fortuna nascere direttore A 22 anni dirige 60 concerti Fanno, da Salisburgo a Santa Cecilia: memorie e progetti d'un ex bambino prodigio Daniel Harding Che fortuna nascere direttore AIX-EN-PROVENCE. Anche nel suo caso, la buona sorte ha dato una mano al talento. Parigi, 1995: Daniel Harding sale sul podio del Teatro Chàtelet per sostituire, all'ultimo minuto, il proprio maestro Simon Rattle, malato. Corsi e ricorsi: da Toscanini a Barehboim, per molti direttori d'orchestra il vero inizio della professione è stato altrettanto avventuroso, improvviso, fortunato. Ha diciannove anni, riesce a condurre in porto la barca pericolante di quel concerto. Tre anni dopo, il ragazzo è diventato un musicista che dirige sessanta concerti l'anno; direttore principale dell'orchestra sinfonica di Trondheim, diventerà presto direttore musicale della Deutsche Kammerphilharmonie. E' stato assistente di Claudio Abbado a Berlino, ha già diretto al Festival di Salisburgo, la Filarmonica di Los Angeles, quelle di Oslo e di Santa Cecilia a Roma, di Rotterdam e Birmingham. Nei giorni scorsi, ad Aix-en-Provence, si è alternato con Abbado nelle repliche del «Don Giovanni» con la regia di Peter Brook. Tranne che con la musica e la bacchetta, non è sposato. Il dubbio che sia un «direttore nato» si insinua osservando la familiarità complice con i coetanei della Mahler Chamber Orchestra, l'autorevolezza con cui «attacca», così contrastante con il suo aspetto guardingo e riflessivo. Ci pensa su, prima di rispondere, non è ancora una ben oliata macchina da interviste, con le battute già pronte. «Ho cominciato a scuola, avevo quindici anni e dirigevo una specie di orchestra di compagni nel repertorio classico. Ci divertivamo moltissimo, però io facevo sul serio. Voglio dire: l'ho capito dopo che stavo facendo sul serio e loro stavano al gioco». Viene da una famiglia benestante? «I miei genitori insegnano all'università, fanno musica in casa, Sono dei buoni dilettanti, come mia sorella, che per un po' ha anche pensato di diventare musicista. Crescere circondati dalla musica dà una vitalità molto utile». Ha mai pensato di fare un altro mestiere? «Ero troppo giovane quando ho cominciato a dirigere; è stato il primo lavoro, e non pensavo che lo fosse. Ma se mi chiede perché, non so rispondere». Vocazione all'onnipotenza di un adolescente un po' timido? La conosce la storiella dei tre mestieri che rivelano la volontà di potenza del maschio: chirurgo, pilota d'aereo, direttore d'orchestra? «Non ci credo. I tempi di Toscanini sono finiti. Il direttore d'orchestra è come l'allenatore di calcio: deve valorizzare gli uomini della sua squadra e trovare il modo migliore, che vuol dire anche nuovo, per buttare la palla dentro. Senza collaborazione, non fai un passo». Sul podio, lei non si muove molto. «Ricorda come dirigeva Furtwaengler? Era quasi immobile, ma che carisma! La personalità non ha niente a che fare col gesto, con lo sforzo fisico. Non è facile da capire, però gli orchestrali la sentono. E bisogna lavorare bene durante gli allenamenti». Dice, Abbado, che qui in Provenza le ha ceduto l'onore della prima: «Daniel non ha più niente da imparare...». «No: ci sono sempre così tanti problemi da risolvere, di fronte ad ogni musica. Ma è vero che il periodo della preparazione di questo "Don Giovanni" è stato per me un wonderful time. Lavorare così a lungo ad un progetto, poter sentire la disponibilità di Abbado, i consigli, la sua energia: a ventidue anni, un'occasione suprema». «Progetto» è parola chiave nella concezione abbadiana del proprio mestiere: il maestro ha lasciato dei segni. Stessa orchestra, stessa compagnia: meno di quan¬ to sia apparso nel clima, torrido di confronti, delle prime repliche, il «Don Giovanni» di Harding resta comunque più netto nei contrasti, più precipitoso nello stacco di alcuni tempi. C'è la tradizione, molti anni di tradizione, e poi ci sei tu. Chiudi gli occhi, li riapri davanti alla musica scritta e succede quello che ti aspetti. No, Daniel. Succede quello che tu vuoi che succeda, se sei capace di realizzarlo; altrimenti, tutti i direttori sarebbero uguali, tante pecorelle Dolly clonate. E con «Don Giovanni» che cosa è successo? «Prendiamo le lettere di Mozart di quegli anni: sono così strongly dramatic. Le leggi, e non te le di- mentichi mica quando dirigi. D'accordo: è una questione di gusto, personale. Ma non voglio essere pedante. Parlo abbastanza mentre dirigo; e anche questo è un processo mentale tipico, professionale». Perché Abbado ha scelto lei? «Perché sono fortunato. "C'è un modo dei giovani di suonare Mozart, e può essere meraviglioso. Poi c'è un modo dei vecchi", ha detto Yehudi Menuhin. Conosce qualcuno che avrebbe rifiutato questa chance che le è stata offerta? «Quando mi propongono una partitura che non conosco, la mia reazione è: "Che magnifica opportunità per la mia carriera". Poi, mi informo sulle condizioni, cioè il tempo che avrò per prepa¬ rarla». Lei ha già suonato in Italia: per la stagione di Ferrara Musica (anche lì, un Mozart a perdifiato) e a Firenze con l'Orchestra Regionale Toscana. Ha detto Luciano Berio: «Una Pastorale di Beethoven finalmente con il tempo giusto...». «Prima cosa da capire bene: noi siamo piccoli e loro, i compositori, sono grandi. E allora devi immaginare la grandezza della loro fantasia. La Pastorale: il piacere della vita rustica, la campagna, l'acqua, la vivacità dell'aria, sensazioni che devi godere, senza addormentarti sopra, ma soprattutto sentendo questa felicità. Beethoven felice: non capita spesso». La musica del Novecento si avvarrà del suo sguardo che rinnova la tradizione? «La voglio dirigere, l'ho già fatto e continuerò. Bisogna affrontare questa musica con le migliori orchestre: quando ascolti i Berliner suonare Kurtag, Nono, Ligeti, senti tutta la forza di una musica che esige le qualità più alte degli interpreti». Conosce il Doktor Faustus di Thomas Mann? Il protagonista Adrian Leverkuhn, prima di diventar^ compositore, aveva pensato di dirigere. Ma si era risposto che non c'era alcun bisogno di un altro clown che sbacchetta sopra un podio... «C'è stato un momento in cui ho pensato di fare il compositore, ma purtroppo non ho potuto diventarlo. Non ho avuto questo dono, e ho scelto un altro lavoro». Harding verrà ancora in Italia; a Ferrara Musica con Christian Tetzlaff e la Mahler Chamber Orchestra suoneranno il Concerto per violino di Beethoven, e sarà una imperdibile corsa di pazzi; poi, a dicembre, questo «Don Giovanni» strongly dramatic verrà a Milano, al Piccolo Teatro. In tutta Europa, da Mosca a Madrid, ogni capitale ha almeno due teatri d'opera funzionanti; eppure, un «Don Giovanni» al Piccolo turba: non la Scala, ma i suoi infaticabili soloni meneghini, sempre più realisti del re. La mentalità monopolistica stenta a morire, da noi. Maestro, non ho altre domande, per il momento. «Però è vero.. Penso a quella domanda di prima; my God, io non so perché ho cominciato a salire sopra una cassetta per dirigere i miei compagni di scuola». Sandro Cappelletto «I tempi di Toscanini sono finiti: oggi noi siamo allenatori di una squadra dobbiamo soprattutto valorizzare gli uomini» «Non so come mai quand'ero ragazzino a un certo punto ho cominciato a salire sopra una cassetta...» Daniel Harding: a Aix-en-Provence ha diretto Don Giovanni di Brook