LA LEGGE DELLA TERRA di Barbara Spinelli

LA LEGGE DELLA TERRA LA LEGGE DELLA TERRA pareggiabile dei despoti. Farebbe credere che sia possibile risolvere la questione dell'esodo di popoli: che si possa raggiungere il grado zero dell'immigrazione. Occulterebbe la realtà in cui stiamo entrando: un'Europa demograficamente debole, abitata sempre più da anziani, bisognosa di giovani, e alle porte oltre il Mediterraneo una demografia esplosiva, con popolazioni che tenderanno per forza a mescolarsi con la nostra civiltà, a mettere in questione i nostri modelli di integrazione, a costringerci a ripensarli. Nel 2000 gli africani saranno più di 900 milioni, e solo i maghrebini (Tunisia, Marocco, Algeria) saranno 160 milioni. Ùuesto non è un problema che si possa risolvere a meno di non bendarsi gli occhi, di sparare nel buio, di fantasticare notti infanticide alla Erode. E' un travaglio con il quale toccherà convivere: in maniera più o meno ordinata, dissuasiva, a seconda delle capacità di adattamento, di riflessione, che saranno impiegate. Anche su questo punto il governo Prodi è apparso saggio, non solo venerdì quando ha annunciato una politica più severa verso i clandestini ma negli ultimi mesi. E' stato relativamente rigoroso, non ha nascosto la verità. A più riprese, i suoi ministri e specialmente Giorgio Napolitano hanno fatto capire che le soluzioni miracolo non esistono: né dittatoriali né angeliche, aperte incondizionatamente. Esistono condotte fredde, non dettate dalla paura: condotte non definitive ma necessariamente provvisorie, adatte alla transizione che ogni frontiera europea traversa. Non è inutile forse ricordare che i responsabili italiani hanno acquistato prestigio presso altri Paesi d'immigrazione, per la maniera in cui hanno amministrato il difficile esodo dei curdi. Se saranno lungimiranti, i politici d'Italia e d'Europa vedranno nondimeno che queste misure sono insufficienti. Non basta la duplice azione della polizia, e dell'umanitario. Non bastano neppure gli accordi di riammissione con il Maghreb, sulla scia degli accordi con l'Est Europa. Non basta dire ai governi: vi daremo soldi, alla sola condizione che vi riprendiate i fuggitivi. Intese simili sono ineludibili nel¬ l'immediato, ma non fanno che rinviare il momento cui varrà la pena andare oltre: meditando sulle nuove guerre contro i civili che generano afflussi di profughi, riedificando l'intera politica europea della cooperazione - in Africa del Nord e Africa nera, in Europa orientale e nei Balcani. Sono compiti che graveranno non solo sugli Interni o sull'umanitario, ma sui capi di governo, sui ministri della Guerra, degli Esteri. Spetterà probabilmente a questi ultimi elaborare comuni strategie europee, non solo di fermezza ma di investimento sulle altrui civiltà e sulla propria. Spetterà a questi ultimi mobilitare le intelligenze, far fruttare le esperienze riuscite. Poiché non è astratto ma sensato, quello che dice a Maurizio Mohnari il sottosegretario agli Esteri Fassino: «Per fermare chi emigra, bisogna dare risposte alla domanda di lavoro e di futuro di chi fugge» [La Stampa, 21 luglio). Non è un'astratta affermazione morale. E' un progetto d'avvenire senza il quale è impensabile una convivenza ordinata con l'immigrazione, e non esclude la severità con i clandestini. E' l'idea che ha avuto l'amministrazione Usa, quando ha deciso dopo la caduta del Muro di creare uno spazio unico con Messico e Canada, forte di 772 milioni di cittadini. Nell'immediato i travagli aumentano: le disuguaglianze sociali messicane, la repressione dei profughi chicanos. Tuttavia resta il progetto Nafta, grandioso: pensato non per un triennio, ma per i prossimi venti - trent'anni. Anche l'Europa ha un suo Messico, un hinterland strategico non più dominato dagli imperativi della guerra fredda: è l'Africa nera e settentrionale, è l'Europa postcomunista, con cui costruire nuovi contratti di convivenza. Non si tratta solo di versare soldi in queste zone, e da questo punto di vista non ha torto Boris Biancheri, quando ricorda che gii aiuti classici non servono ad arrestare i profughi. Esistono però altre vie, più contrattuali e locali, su cui stanno meditando ad esempio i francesi: tra questi lo studioso Patrick Weil, che è oggi consigliere di Jospin per l'emigrazione e il diritto d'asilo. Esistono in particolare esperienze fatte nel bacino del fiume Senegal - nel Mah. in Senegal, in Mauritania - dove non sono gli Stati a ricevere aiuti ma singoli villaggi: villaggi che si autotassano per inviare lavoratori in Francia, affinché questi si formino, e aiutino finanziariamente a costruire infrastrutture locali come scuole, centri sanitari, cooperative agricole. Gli emigranti non si installano, partono a rotazione, e non sentono quindi la necessità di raggruppare le proprie famiglie all'estero. Non molto diverse sono le esperienze fra tedeschi e polacchi: anche questi ultimi vengono a rotazione in Germania, come stagionali, profittando a se stessi e alla Repubblica federale. Non è l'assistenza da Stato a Stato. E' una cooperazione concentrata su microprogetti, negoziata con villaggi, associazioni locali. Nel caso africano ha dato buoni risultati e può divenire un modello, come sostiene da tempo l'esperto Ben Kamara su Liberation o L'Express. Tutto questo non è angelismo vittimista, o etica sconnessa dalle dure esigenze dell'ordine civile, del nòmos della Terra. E' l'unica via per lottare al tempo stesso contro lo sradicamento dei fuggitivi, e il nostro. Non siamo la Caritas appunto, ma popoli che contrattano comuni leggi, comuni mercati, istituzioni. Non eviteremo di portare il dolore del mondo sulle nostre spalle, perché questo è il nostro destino ed è anche la nostra grande opportunità. Barbara Spinelli

Persone citate: Boris Biancheri, Erode, Fassino, Giorgio Napolitano, Jospin, Kamara, Maurizio Mohnari, Patrick Weil