Caterina, una Bisbetica con il sax di Osvaldo Guerrieri

Caterina, una Bisbetica con il sax Al Romano di Verona, la Pozzi e Placido diretti da Dall'Aglio in un bizzarro e divertente Shakespeare trasportato nel Settecento Caterina, una Bisbetica con il sax EPetruccio, in caffetano, è un predone del deserto VERONA DAL NOSTRO INVIATO La bisbetica suona il sax. Non ci sarebbe niente di male, se l'intrattabile Caterina non provenisse dal Rinascimento; né ci sarebbe da eccepire se fosse, per esempio, una star del Cotton Club, magari spinosa, magari temporalesca. Invece Caterina è la creatura di Shakespeare protagonista della più stupefacente metamorfosi a cui sia mai stata sottoposta una donna. Da rabbiosa e inacidita virago, si trasforma nella più sottomessa delle mogli. Quindi, che sarà mai questa faccenda del sax imbracciato con qualche tentazione di swing, se non un segno di diversità, un mettersi deliberatamente fuori del rigo? Né, questa, è l'unica bizzarria della «Bisbetica domata» allestita da Gigi Dall'Aglio per l'Estate teatrale veronese e rappresentata al Teatro Romano nell'interpretazione di Elisabetta Pozzi e Michele Placido. L'ambientazione dello spettacolo è stata spostata in avanti, in un tardo Settecento che ha ancora nelle sue giunture la linfa e le maschere della Commedia dell'Arte (i servi di Petruccio sono tanti Pulcinella in nero). Il che fa in modo che i costumi di Elena Mannini siano bianchi e salottieri, salvo quello di Petruccio, che abita la scena come un predone del deserto, un Omar Sharif in caffetano nero, riduttivo e degradato, assolutamente in linea con un allestimento che fa della degradazione la propria ci¬ fra stilistica, giocando liberamente e quasi voluttuosamente con l'espediente del teatro nel teatro. Soluzione ineccepibile, che rinvia a una delle questioni centrali della «Bisbetica». Shakespeare le diede tre anime: quella di Caterina; quella della mite sorella Bianca, inserita in un intreccio convenzionale di. equivoci e di schermaglie amorose; quella del calderaio Sly, un ubriacone al quale fanno crede¬ re di essere un gran signore che ha dormito per quindici anni e per il quale viene allestita la recita della bisbetica domata. Però Shakespeare non chiuse la cornice. Di Sly, che osserva l'azione e a volte la commenta, non ci disse più nulla, per cui molte messinscene rinunciano a lui e a questa zona dell'opera e si concentrano sul nocciolo centrale. Dall'Aglio, recuperando la cornice, ha reso automatico lo schema del teatro nel teatro, evidenziato dal praticabile con sipario montato sul palcoscenico e dalla fila di lampadine colorate appese sopra al proscenio; ha poi spinto il pedale del divertimento più diretto e fragoroso, libero da vincoli, deliberatamente pasticheur. Preso nei suoi limiti, il risultato è eccellente, sostenuto con vigorosa abnegazione da una compagnia in gran forma, dominata da una Elisabetta Pozzi perfettamente a suo agio nell'aggressività, nella crudeltà e infine nella sottomissione di Caterina. Altrettanto bravo, anche se meno sfaccettato, è Michele Placido, che sa dare un sentimento a Petruccio e si rivela irresistibile quando doma la moglie affamandola e umiliandola. Bravo Paolo Bocelli nella parte di Battista, il padre esasperato di una figlia tanto ingovernabile. Ricordiamo ancora Roberto Abbati, Laura Cleri, Alfredo Postiglione, Ruggero Cara, Peppino Mazzotta, Francesco Acquaroli e gli altri. Deliziosi i musici Stefano Mora e Monica Piccinini. Dalla cavea gremita molti applausi e qualche dissenso. Osvaldo Guerrieri Michele Placido e Elisabetta Pozzi in un momento dello spettacolo

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