La «grande corazzata» di Arcuti di V. S.

La «grande corazzata» di Arcuti La «grande corazzata» di Arcuti // presidente festeggia il varo «Ma non dite che sono tornato» L torinese Luigi Arcuti sembra un uomo paziente, eppure c'è una cosa che lo irrita. Quando qualcuno gli chiede se è «contento di essere tornato a Torino», nel senso che, avendo egli lasciato nel 1980 il San Paolo di Torino dove era direttore generale, oggi «ritorna» come presidente del nuovo supergruppo San Paolo-Imi. Puntualizza: «Io da Torino non sono mai partito, a Torino sono sempre tornato ogni fine settimana in questi ultimi diciotto anni». Sia come sia, è certamente un giusto «ritorno» (o «non ritorno») questo nei saloni dorati di piazza San Carlo, una bella chiusura di parabola per un signore che è stato uno dei rarissimi banchieri «moderni» italiani (e che nei diciotto anni all'Imi, a Roma non ha mai «preso casa»). Anche se lui di se stesso dice (e ieri lo ha ripetuto): «Sono un dirigente bancario che ha cercato di portare le aziende affidatemi a livelli reddituali interessanti». Nella creazione del polo Arditi è stato uno dei grandi artefici. E, andando un po' oltre per entrare nella logica del «potere», non soltanto artefice ma vincitore. Poiché non c'è il minimo dubbio che, al vertice del nuovo gruppo, sono gli uomini Imi ad essere ora in posizione dominante. Un fatto che, in certo senso, è stato curiosamente facilitato da una serio di eventi interni al San Paolo stesso. In particolare da certe posizioni assunte dall'ex presidente Gianni Zandano nel rapporto con alcuni dei suoi azionisti. Partita la prima fase della privatizzazione del San Paolo, il cui merito fu certamente di Zandano, lo stesso Zandano si oppose con decisione all'ipotedi un amministratore delegato «esterno», come chiedevano i suoi azionisti, prima fra tutti la Fondazione che lo controllava. A privatizzazione conclusa nella primavera del '97, e quando si cominciò a parlare di ipotosi di fusione con l'Imi, ancora una volta Zandano non ne fu subito entusiasta. Probabilmente a ragion veduta, avendo capito che nella partita finale sarebbe risultato perdente. Come di fatto è avvenuto nel maggio di quest'anno. La trama della fusione fu quindi portata avanti con pazienza e determinazione da Gianni Merlini, presidente della Compagnia di San Paolo, insieme con Arcuti e Masera, con il consenso dei grandi azionisti come la spagnola Santander e l'Ifi-Ifil. E con l'appoggio determinante, nella fase finale, di Cariplo. Alla fine Zandano collaborò, mise le strutture dell'istituto al lavoro per preparare lo schema, al quale lavorarono d'intesa Masera per l'Imi e Luigi Maranzana per il San Paolo. Ma non riuscì a restare in solla. Banchiere anche politico, nell'era dell'Ulivo si trovò con le spalle scoperte. Oggi Arcuti ha l'aria contenta, la creatura è nata ed e, come lui stesso la definisce senza esitazione, una «grande corazzata». Una macchina da guerra che già riesce a raddoppiare gli utili e ad avvicinarsi ad una redditività che era stata pensata per l'anno Duemila. Pazientemente, presiede una assemblea dove interventi inconcludenti tirano per le lunghe, poi accetta di parlare ai giornalisti, sulla sua banca ma anche, in generale, sulle banche. Ha parole di apprezzamento per l'efficienza dui San Paolo, per il suo «front-office di primissima qualità», per la sua capacità di essere riuscito ad aumentare considerevolmente il «risparmio gestito, senza perdere quote di depositi amministrati». Sulle ipotetiche formule da adottare per future aggregazioni è prudente. Afferma di comprendere le ragioni di schemi come Intesa e Unicredito, ma subito dopo ricorda i richiami di Ciampi sugli «egoismi territoriali» che mal si accordano con «prospettive di competizione globale», con la necessità di abbattere i costi. Difende l'attenzione del governatore Fazio nel dosaggio della presenza straniera, e narra come l'Imi fu in due occasioni «rifiutata» all'estero quando aveva tentato di acquistare una banca inglese e una tedesca. Anche se giudica questi vincoli «transitori». Quanto all'assetto del sistema bancario iatliano, ritiene che «presto si formerà un quarto polo» e forse un «quinto su Roma, se andrà avanti il progetto Ina-Bnl-Banconapoli» Non sembra invece temere colonizzazioni da parte della concorrenza straniera. Perché, oggi, le banche italiane costano care, [v. s.]