«Simeone, angelo in Paradiso» di Filippo Ceccarelli

«Simeone, angelo in Paradiso» Ostia, un dolore composto e qualche tensione ai Umerali. Davanti alla bara, un tappeto di fiori bianchi «Simeone, angelo in Paradiso» Duemila persone per l'addio al bambino ROMA. A Ostia, il dolore del mondo. Un dolore vero, per una volta tenuto lontano dalle telecamere per il funerale di Simeone, il bambino di 8 anni ucciso nella pineta. Un dolore umano, naturale, spontaneo, trattenuto. Un dolore senza parole, senza volti, senza storia, senza isterie mediatiche. Un dolore perfino decoroso, nella sua assenza di spettacolo, quindi un dolore all'altezza della tragedia. E quindi coinvolgente, forse indimenticabile. Merito soprattutto - se di merito si può parlare in occasioni del genere - delle donne che sin dalle 9 di mattina affollano le navate della Regina Paris. Donne in cerca appunto di pace. Donne di tutte le età, di tutte le condizioni, di tutti i colori, di tutti gli affanni. Madri, nonna, zie, cognate, sorelle, suore, maestre, infermiere. Donne che portano all'altare, come fossero croci sulle spalle, enormi mazzi di fiori bianchi. Donne con fazzoletti, ventagli. Donne albanesi, marocchine, nere. E bianche, ossigenate, con gli zatteroni o la bottiglia della Ferrarelle che spunta dalla borsa. Vecchie con il rosario di plastica; «pischelle» con le treccine, lo smalto blu e l'ombelico di fuori; mamme con il marsupio, con le carrozzine, i passeggini. E neonati a piedi nudi, bambini con la testa tonda e rapata: come il «nostro piccolo fratello Simeone». Caldo appiccicaticcio e fasci di luce dalle finestre. Duemila persone. Sotto l'altare la bara bianca con i fiori. Tre celebranti che si muovono lentamente. La campana, l'organo, le lacrime. Una famiglia distrutta. I rimorsi della comunità. Nessun segno, nessuna forma, nessuna apparenza di potere civile - a meno che non si voglia attribuire una qualche autorità a una quindicina di giovanotti rimasti sul sagrato a braccia incrociate, disperatamente rabbiosi, a caccia di giornalisti. Sono quelli del Comitato di via Capo delle Armi che l'altro giorno hanno promesso di «vigilare» Si deve anche a loro, al loro cupo rancore, al loro spaventoso ri sentimento per le cronache e per i servizi tv, se con qualche tensione i taccuini restano nascosti nelle tasche, se non si vedono le macchine fotografiche e le telecamere sono confinate lassù, sui balconcini assolati dei palazzoni di fronte alla Regina Paris. Questo ha trasformato l'even to, fin dalle aspettative. Gli ha sottratto quel di più di eccitazio ne, l'ha reso indenne da ogni stortura scenografica, restituen dolo al suo stato naturale, scon solato, dolente. Così, durante la messa, restava solo lo spazio per l'incredulità, o per la preghiera Per una volta, sull'immagine prevalevano il pensiero e la parola. Il brano della lettera di San Paolo (ai Romani) invitava a non confrontare «le sofferenze del momento presente» alia «gloria futura». Il Vangelo, da San Matteo, riportava il più grande messaggio di speranza di Cristo: «Ve nite a me, voi tutti, che siete af- faticati e oppressi, e io vi ristorerò. Prendete il mio giogo sopra di voi...». Un Cristo che qualche versetto sopra ha appena avuto parole di fuoco per le città che non si sono convertite («Guai a te,, Corazin!»), anche evocando Sodoma. Nell'omelia, il parroco, don Antonio, ha evitato ogni sociologismo. Con parole di semplicità si è trovato a parlare dei bambini e del loro mistero inviolabile. Ha chiesto di pregare perché il sacrificio di Simeone («Un angelo che sta andando in Paradiso») rendesse tutti più buoni. Ogni tanto, la musica. Ogni tanto, dai banchi della famiglia, si alzava un lamento che contagiava qualche creatura vicina. Alcuni compagni di scuola di Simeone hanno letto dei pensierini di amicizia. Ma era difficile non pensare, di tanto in tanto, al grido delle vittime della piccola Sodoma del litorale, alla città dissoluta e maledetta della pineta, qualche chilo¬ metro dietro la chiesa, al di là dei palazzi giallastri di via Capo delle Armi, tra murales abortiti e catene, discariche, cancellate, occhiate torve e rampe di cemento. Arrivarci, e vedere per la prima volta quei luoghi proprio nel giorno del funerale di Simeone significava lasciarsi influenzare da un paesaggio che pareva anche'esso contaminato da palme sghembe, magnolie malandate, oleandri polverosi, pini riarsi, foghe secche e cartacce sui marciapiedi in dissesto. E poi le sedie di plastica, le antenne paraboliche, tutto quell'ondulit, un numero spropositato di Luna Park che te li raccomando. Sui muri i manifesti: «Solidali con Buontempo», «Vanità profumi» e «Leali con gli elettori», con il faccione sorridente del Ccd Baccini. L'unica scritta rimarchevole, a vernice spray, sotto una qualche Usi, o Asl, o quel che sia, diceva: «Nessuna autorità sui nostri corpi». E però, a pensare a quel piccolo corpo nella bara bianca, suonava anch'essa una conferma del Male che s'è manifestato dietro l'angolo. All'uscita dalla chiesa, i ragazzi furiosi e disperati del Comitato hanno alzato le corone dei fiori bianchi per nascondere non si sa bene a chi l'ultima scena, l'auto dell'agenzia funebre che apriva le porte. «Cortesemente» la famiglia aveva chiesto che il funerale si svolgesse in forma «privata». Ma nessun rito è apparso in realtà così dignitosamente e universalmente «pubblico», nel senso più alto e straziante deUa parola. Il dolore del mondo, appunto, con tutto il suo mistero. Filippo Ceccarelli Le telecamere tenute lontane dai membri del Comitato delle case occupate Il parroco: preghiamo perché questo tragico sacrifìcio ci renda tutti più buoni Il piccolo Simeone Nardacci e un'immagine del funerale svoltosi a Ostia

Persone citate: Baccini, Buontempo, Regina Paris, Simeone Nardacci

Luoghi citati: Ostia, Roma, San Paolo