Scalfaro: troppa aggressività in politica

Scalfaro: troppa aggressività in politica Il Presidente della Repubblica: sono preoccupato, sulle riforme era meglio non rompere Scalfaro: troppa aggressività in politica Berlusconi: «Ma la mia è soltanto legittima difesa» ROMA DAL NOSTRO INVIATO Non ci si può vestire da giacobini o da garantisti a seconda delle «convenienze»: giustizia e politica hanno luoghi precisi dove vivere senza contaminarsi con disegni di parte o aggredirsi con calcoli di non limpida necessità. Se si stravolgono queste regole, se si deragliala questi «binari», il rischio è terribile: «Si gioca con i diritti dei cittadini e si compromette la vita stessa dello Stato democratico». Oscar Luigi Scalfaro si pone come arbitro tra le due «mezze Italie scandalizzate» che, come ha sottolineato Gad Lerner, con sdegno vicendevole si rinfacciano la sentenza che ha condannato Silvio Berlusconi e la «rivolta» di quest'ultimo contro la legittima decisione di un tribunale. «La giustizia deve essere vigile e rispettata, ma sempre al di fuori della politica» sillaba il Presidente durante la cerimonia che, al Quirinale, sigla il passo di addio del vecchio Csm e l'insediamento del nuovo. Ma subito dopo, a controbilanciare se non a sbilanciare questa affermazione, ecco l'avvertimento che materializza il fantasma del capo dell'opposizione: «Il politico deve sapere che sfugge alle sue competenze emettere sentenze sulle sentenze del magistrato. E, più ancora, ripudiare l'autorità del giudice». Parla scorrendo inusuali appunti, Scalfaro, e cita puntigliosamente suoi vecchi interventi che, dal '92 ad oggi, ripropongono gli stessi temi. Quasi a voler chiarire che la situazione del Paese, nella battaglia tra «certa parte politica e certa parte della magistratura», è angosciosamente e irrimediabilmente slogata. E «battaglia» non è termine eccessivo se ad usarlo è proprio lo stesso Capo dello Stato sempre così attento, di nonna, ad attenersi ad un linguaggio felpato ed anodino: «I tempi che avete vissuto osserva rivolgendosi al vicepresidente del Csm, Grosso - sono stati, a volte, duramente polemici. E la situazione attuale porta ancora i segni di una battaglia che non pare finita». Attenti, allora, consiglieri neoeletti, a questo scenario che può sembrarvi ingannevolmente «silenzioso»: attenti, in particolare, a non chiudervi in una sterile «difesa di categoria». La sfida è trovare la forza di attuare i provvedimenti e di mostrarsi «fermi, inflessibili e garanti nell'assoluta imparzialità». Qualità che non consentono pericolose contaminazioni o incongrue scelte di campo: «Il giudice sa che non può essere né governo, né Parlamento». Né sempre può perseguire i suoi sogni ammantandoli abusivamente con la sacralità del codice: «Il giudice è soggetto solo alla legge: a quella che c'è, non a quella che desidererebbe». E se qualcuno non avesse capito che, per il Presidente, la giustizia non può limitarsi a vedere solo uno spicchio della realtà, ecco il carico da novanta: il Paese ha bisogno di una magistratura che «dia garanzia di serenità ed imparzialità a ciascun cittadino: sia umile ed ignoto, sia noto e potente». Poi il pendo! i.orna ancora a spostarsi sul terreno della politica. O, meglio, di quei politici che vedono in alcuni magistrati antagonisti gonfi solo di preconcetti: in un regime democratico, nota Scalfaro riprendendo concetti espressi in questi giorni dalla maggioranza, «la politica libera può, ovviamente, esprimere valutazioni sul comportamento dei magistrati e su atti giudiziari, ma deve rifuggire da forme di aggressione su condanne di giudici e su sentenze: per i giudici ritenuti prevaricatori c'è la possibile denuncia agli organi competenti; per le sentenze considerate ingiuste c'è la possibilità di impugnar¬ le». Il Capo dello Stato guarda con apprensione a questo clima percorso da diffidenze, scosso da continui dissidi, brividi di ira, sbalzi di faziosità: esempio di quella «mancanza di armonia» presente anche nel linguaggio dei parlamentari. Nessun nome, per carità. Solo un grazie «per la solidarietà» rivolto da Scalfaro al segretario della stampa parlamentare che, in mattinata, donandogli il tradizionale ventaglio, gli aveva accennato ai recenti attacchi portati al Quirinale da un signore «che compie atti di violenza non solo alla grammatica e alla sintassi». Anto¬ nio Di Pietro rimane, così, sullo sfondo. E come lui anche quell'altro parlamentare che ha tentato di farsi scudo in Cassazione dell'immunità a fronte della denuncia di un «collega avversario politico» incontrato in trattoria sul quale «aveva riversato parole che con il pensiero non hanno proprio nulla a che fare». No, assicura il Capo dello Stato, non posso accettare «questo tipo d'immunità che massacra il cittadino e spezza il concetto di uguaglianza davanti alla legge». Perché non sforzarsi di bloccare la degenerazione del linguaggio? Il Presidente chiede aiuto anche ai giornalisti e confessa di avere rivolto analogo appello pure agli editori. C'è voglia di armonia, sul Colle. Che si riverbera anche in una delusione politica: quella Bicamerale che si è interrotta «troppo presto», prima ancora che Camera e Senato «avessero compiuto almeno il primo passaggio». Così, oggi, un'intera classe politica appare delegittimata». A questo punto Scalfaro guarda a se stesso e ai dieci mesi che mancano alla fine del mandato. Teme di dover lasciare il Colle senza vedere un po' di luce al fondo del tunnel della disoccupazione che, reiteratamente, lui propo- Renato Rizzo ne come suo cruccio dominante. In queste ore urge la questione Calabria, regione assillata da una legittima ansia di lavoro e la cui giunta è bloccata. Il Presidente spiega che, a tale proposito, riceverà una delegazione di Rifondazione comunista: «Ho resistito sino ad ora perché non volevo interferire, ma ormai non si può più dire no e basta». Proprio come avvenne con il Polo quando chiese ed ottenne udienza sul tema dell'allargamento della Nato. Questione di par condicio, naturalmente. Il presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro con il ministro della Giustizia Giovanni Maria Flick all'insediamento del nuovo Csm A destra: il presidente del Consiglio Romano Prodi

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