Un pezzo «estivo» di Giuseppe Culicchia

Un pezzo «estivo» Un pezzo «estivo» • una cosa che mi succede quando arriva l'estate. Tutte le estati. Nessuna estate esclusa. Perlomeno, da qualche estate a questa parte. D'estate, infatti, spunta sempre un qualche quotidiano o settimanale da cui mi telefonano per chiedermi un pezzo per così dire estivo, dove, alle due estremità della parola estivo - lo si intuisce chiaramente dal tono assunto dalla voce all'altro capo del filo - è possibile intuire la classica coppia di virgolette. Le prime volte, ingenuo, mi azzardavo a domandare: in che senso, «estivo»? A quel punto, la voce prendeva a sudare, incerta; ma, sai, è estate, fa molto caldo, i lettori si aspettano un pezzo «estivo». Va bene, insistevo: ma come dovrebbe essere un pezzo per poter rientrare nella categoria intitolata all'«estivo», che cosa s'intende, di preciso, per pezzo «estivo»? Un pezzo «estivo», mi veniva risposto, è un pezzo sull'estate, che parli dell'estate, oppure, anche, come vedi tu l'estate, una cosa così, insomma, in due parole, anzi, in una, «estiva». Come vedo io l'estate: una volta era calda senza essere appiccicosa e c'erano le vacanze scolastiche; adesso è calda e anche appiccicosa e le vacanze scolastiche non ci sono più, se non altro per quanto mi riguarda. Ah, e poi, dimenticavo, d'estate le ragazze se ne vanno in giro, non solo al mare, con parecchi metri quadrati di stoffa in meno addosso rispetto ad altri periodi dell'anno, cosa di per sé, a seconda dei casi, ovvero delle ragazze, piuttosto gratificante: salvo che perfino le più belle e aggraziate, tra loro, sudano, e perciò alla piacevolezza di vedere le loro ascelle, nude, si aggiunge la sgradevolezza di non poter fare a meno di notare il sudore che dalle medesime sgocciola giù, in direzione dei piedi. I quali, d'estate, sudano anch'essi. Ad ogni modo: il problema, per me, è che io d'estate mi ritrovo, a causa del caldo, che non sopporto, a disporre di un immaginario totalmente virato sull'inverno. Come molti, credo, d'estate avrei voglia di storie invernali: Islandesi, Norvegesi, Danesi, Finlandesi, Svedesi, Groenlandesi, o tuttal'più ambientate in Siberia, Alaska, Patagonia. Un po' come mi accade d'inverno, stagione in cui, per via della mia incapacità congenita di avere a che fare con il freddo, il mio immaginario vira di centottanta gradi - spesso centigradi - per riposizionarsi sull'estate: ragion per cui, d'inverno, come tanti, mi piacerebbe potermi concentrare su vicende estive, Siciliane, Brasiliane, Californiane, Africane, Indiane, Maldiviane, oppure ambientate alle Seychelles. Chissà perché, però, al contrario di quanto mi succede d'estate, in inverno nessuno mi chiede mai un pezzo sull'inverno o, meglio, «invernale»; di regola, si limitano a chiedermene uno a Natale, «sul Natale», e un altro a Capodanno, indovinate su quale argomento. Comunque: pare che, dalle mutazioni climatiche in corso, le stesse per le quali ci ritroviamo a dire al panettiere o al giornalaio che effettivamente è vero, non ci sono più le stagioni di una volta, l'estate stia per sparire, alla pari dell'inverno, seguendo la sorte toccata ad autunno e primvara, da tempo praticamente estinte nella forma in cui le ricordiamo noi che purtroppo - o per fortuna - abbiamo più di trent'anni. Scomparsa definitivamente l'estate, forse, allora, non mi si chiederanno più pezzi sull'estate, per l'estate, o «estivi» che dir si voglia. Inutile dire che, anche quest'estate, sto aspettando quel giorno con ansia. Giuseppe Culicchia

Luoghi citati: Alaska, Siberia