VAL D'AYAS

VAL D'AYAS VAL D'AYAS Quel rifugio dedicato a mio zio morto a 22 anni sul Cervino» ANCORA una testimonianza di Francesco Brunetti, torinese. «Nella Valle di Ayas, sopra Saint-Jacques, vi è un gruppetto di case, Resy, e lì si trova, a duemila metri, un vecchio rifugio-albergo intitolato a Giovanni Battista Ferraro. Questo luogo mi è particolarmente caro perché G. B. Ferraro era il mio zio materno. Il motivo per cui il rifugio è intitolato a mio zio è semplice: il 4 agosto del 1931, scalando il Cervino, mio zio, all'età di 22 anni, cadde e morì in un crepaccio. Il Cai, di cui era un socio attivo, volle ricordarlo in modo degno. Il rifugio era, ed è tuttora, un comodo punto di ritrovo per le comitiva di alpinisti perché da quel punto si dipartono, i sentieri che portano verso i colli e le cime circostanti. Tutti i frequentatori dell'alta valle di Ayas lo conoscono. Due anni fa, su un fuoristrada guidato dal mio amico Emilio, sono tornato, dopo molti anni, a rivedere il rifugio. Purtròppo l'età e la vita sedentaria non mi hanno permesso di risalire a piedi la vecchia mulattiera che avevo percorso il 25 di giugno del 1932 quando partecipai alla inaugurazione del rifugio. Avevo nove anni. Partimmo da Torino con il torpedone che si trascinò fino a Champoluc ove terminava la strada e, da quel punto, quando oramai le tenebre cominciavano a calare, iniziammo il trasferimento verso il rifugio, distante circa cinque chilometri, affrontando, in ultimo, la salita in piena notte. Non fu semplice perché soltanto la luce delle fiaccole permetteva di vedere dove mettere i piedi ma, infine, apparvero nel buio alcune luci tremolanti. Il gruppo era eccessivo per la poca capienza del locale quindi soltanto il pavimento servì da letto alla comitiva, ma a mia madre, a sua sorella Francesca ed a me, nella qualità di parenti stretti, fu riservata una stanzetta con letti a castello. Al mattino vi fu una breve cerimonia con la consegna di una fotografia e l'inizio del registro delle presenze. Più tardi un fotografo, con una enorme macchina fotografica, si arrampicò sul tetto della grangia di fronte e scattò alcune immagini. Nella foto allegata si vedono, attorno al tavolo, mia madre, mia zia, due compagni di gite di mio zio ed un signore amico di famiglia vestito con eleganza cittadina che contrasta con l'ambiente. Il motivo mi è stato spiegato di recente dalla figlia, la signora Garlando; suo padre si era così vestito per partecipare alla cerimonia ma non era stato avvisato che questa si sarebbe svolta oltre i duemila metri fra rocce, prati e mucche. Nella foto vi sono pure io che, per divertimento, mi ero impadronito di un enorme sacco da montagna e me lo ero messo in spalla. Il ricordo di quella giornata rimase vivo nella mia memoria. Passarono gli anni; dapprima le difficoltà in famiglia e poi la guerra mi impedirono di ritornare al rifugio nel quale si succedettero alla gestione alcune generazioni della famiglia Frachey. Durante la guer- ra il rifugio fu incendiato e così sparì la fotografia di mio zio che campeggiava nell'ingresso. Si giunse al 1962. Mia madre era ormai anziana ma sempre indomita e, quindi, su suo desiderio organizzammo una gita con tutti i familiari per portare nuovamente la fotografia di mio zio al rifugio ed rimettere il cartello con il suo nome sul frontone. A questa gita partecipò anche l'amico di mio zio, Oreste Marengo, il compagno di gita che era presente sul Cervino quando avvenne la tragedia. Questi fatti mi sono tornati alla mente l'anno scorso mentre la Jeep arrancava sulla mulattiera utilizzata oggi per gli impianti sciistici che occupano la vallata. Era una bellissima giornata di settembre e lo sguardo spaziava dal Gran Tournalin alla Bettaforca ed alla Rocca di Verrà. Dopo inifiniti sobbalzi e siamo giunti al rifugio. Ci aspettava il gentile gestore, Rinaldo Frachey, e fu subito un gran parlare dei tempi passati. Il nonno del sig. Rinaldo, che avevo conosciuto trentasei anni prima, ormai aveva lasciato le montagne e percorreva i sentieri del cielo come mia madre e come molti miei parenti di quella gita di trentasei anni fa. Il piccolo rifugio ora è circondato da altre costruzioni e, in luogo di trovare il paziente mulo che pascolava sul prato vicino, massicci fuoristrada erano posteggiati al bordo della mulattiera. Sul frontone del rifugio campeggia ancora il nome di mio zio, di quel giovane che aveva cercato in alto, sui nostri monti, la realizzazione di un sogno ed aveva, invece, trovato una morte terribile. Mi sono fermato alcune ore e, mentre le nuvole cominciavano ad infittirsi attorno alle vette, ho ricordato le ore che avevo trascorso, nella fanciullezza, assieme a questo giovane uomo, serio, volitivo, deciso a farsi strada nella vita con lo studio ed il lavoro ed aperto a tutte le cose nuove. Lo ricordo mentre si costruiva la radio a galena e la collegava; poi, a lavoro ultimato, mi faceva ascoltare quei suoni lontani nelle cuffie. Di certo quelle prime esperienze furono determinanti per farmi scegliere la strada che percorsi nel mondo del lavoro durante la mia vita, passata fra fili, valvole e transistore. Un giorno del lontano 1928 mi accompagnò a visitare l'esposizione aperta nei giardini del Valentino, per commemorare il decennale della Vittoria nella Prima Guerra mondiale. Lungo il Po vi erano le trincee, i treni armati usati dalla nostra marina e vari cimeli fra i quali un aereo simile a quello su cui fu abbattuto Francesco Baracca, l'eroe aviatore. Mio zio mi infilò nella carlinga ed io vissi, per un istante, un sogno mdimenticabile. Altri ricordi si sono affollati nella mia mente mentre le nuvole continuavano a vagare contro l'azzurro. Il tempo è passato veloce ed è giunta l'ora di iniziare la discesa. Ho abbandonato a malincuore il piccolo rifugio con la speranza di potervi ancora tornare... /// allo il rifugio Fornirò. Sotto il barbiere Fenoglio

Persone citate: Fenoglio, Ferraro, Frachey, Francesco Baracca, Francesco Brunetti, Garlando, Giovanni Battista Ferraro, Oreste Marengo, Rinaldo Frachey

Luoghi citati: Ayas, Torino