Scintillanti per amore

Scintillanti per amore LUCCIOLE Scintillanti per amore LUMINI di compagnia, come lanternine per scacciare gli orchi dalle camere dei bambini nelle notti d'estate, le lucciole fanno pensare alle farfalle per come sembrano impalpabili; invece appartengono all'ordine dei Coleotteri, come gli scarabei, i maggiolini, i curculionidi e le coccinelle; e tra questi goffi corazzati occupano il posto dei Lampiridi. In Italia sono rappresentate da una ventina di specie, ma in tutto il Paese sono solo due: la Lampyris noctiluca e la Luciola italica. La Lampyris lusitanica è dappertutto tranne che in Sicilia, altre specie sono solo del Sud, o solo del Nord, o solo delle isole. Le specie di Lampiridi descritte nel mondo sono circa duemila, con diversi usi e costumi: quelle tropicali lampeggiano ad intermittenza con una sorta di codice Morse che serve a riconoscersi, non solo maschi con femmine, ma anche specie con specie. Le lucciole europee al confronto risplendono in modo quasi continuo per dichiararsi il loro amore quando è il momento: le femmine, prive di ali e non molto diverse dalle loro larve, sono responsabili del nome «vermi luminosi» che in molti paesi viene dato alle lucciole. Poco attraenti nell'aspetto, si sono ingegnate per conquistare il «Lampiride azzurro»: hanno imparato ad emettere una luce più forte dagli ultimi segmenti del corpo, e con questa lampadina accesa si arrampicano sugli steli d'erba e si lasciano ondeggiare per essere ben visibili. I maschi, con l'aspetto tipico dei coleotteri, scintillano di luce più tenue ma in compenso hanno buone ah e ottima vista: volano nella notte con lo sguardo fisso al suolo e quando vedono una vermiforme donzella esibirsi in una danza rischiarando le tenebre, non esitano ad avvicinarla e scendono a spirale verso di lei. Ed è qui che si rivela il coleottero, goffo volatore: a volte i maschi vanno a finire su uno stelo sbagliato, oppure possono sbattere contro il sostegno su cui la femmina è aggrappata; la poverina, scossa, rivela un inaspettato pudore e spegne immediatamente il suo lumino, con il rischio di vedere andar via il maldestro cavaliere attratto da altre luci e altri amori. Dopo questi incontri silenziosi e scintillanti, la femmina depone le uova che brillano, come poi anche le larve, della stessa luce verdognola, chissà a che scopo. Il famoso entomologo Fabre già se lo chiedeva nel secolo scorso: «Si comprende l'ufficio del faro femminino, ma a che serve tutto il resto di questa pirotecnica? Lo ignoro. Esso è e sarà per molto tempo ancora e forse per sempre un segreto». Oggi si sa più che in passato non sul perché, ma sul come: la chimica della produzione di luce nelle lucciole è stata svelata. Tre sostanze entrano in gioco nella ricetta: la luciferasi, enzima che catalizza la reazione; la luciferina, sostanza specifica che libera l'energia luminosa quando la reazione chimica scompone e distrugge il composto; e infine l'Atp, adenosintnfosfato, sorgente di energia di ogni cellula vivente e qui essenziale per rendere la luciferina disponibile all'uso. L'ossidazione della luciferina necessita di ossigeno ed acqua, perciò gli organi luminosi, posti sulla faccia ventrale degli ultimi segmenti addominali, sono ricchi di trachee. Pochissima è la produzione di calore durante la reazione, quindi minimo lo spreco: quasi tutta l'energia chimica è convertita nella luce fredda e verdastra che accompagna tutta la vita delle lucciole. Probabilmente la capacità di spegnere volontariamente i lumini dipende dalla riduzione dell'apporto di ossigeno e forse è proprio questa l'abilità acquisita durante l'evoluzione: imparare in questa vita, che altrimenti sarebbe dall'inizio alla fine un'orgia di luce, a regolarne l'intensità, per inventare un linguaggio amoroso. La luciferasi e il precursore della luciferina, estratti dagli organi delle lucciole, una volta depurati, forniscono materiale sensibilissimo per sperimentare con minime quantità di Atp, e sono stati usati in campi molto diversi: dagli esperimenti per ricercare tracce di vita su Marte allo studio di malattie cardiache e distrofie muscolari, all'analisi sull'efficacia di certi antibiotici, al trattamento di acque di scarico. La reazione luciferina-luciferasi, che libera più del 75% dell'energia sotto forma di luce con così poca produzione di calore inutilizzabile, è uno di quei prodigi della natura che l'uomo della società dello spreco ha difficoltà ad imitare e che sembra una sfida alla tecnologia. Una lampada fluorescente funziona con un rapporto di 30% luce e 70% calore, e una lampadina a incandescenza emette solo il 10% di luce nello spettro visibile per l'uomo, mentre il resto è perdita totale. Bisogna salvaguardare le lucciole perché possano rivelarci il trucco nei dettagli, quindi è necessario conoscerne le abitudini e le preferenze. Hanno bisogno di terra calcarea perché le larve si nutrono di lumache a cui serve il calcare per l'accrescimento della conchiglia: le larve predatrici iniettano nelle vittime una neurotossina che le anestetizza e poi usano i succhi digestivi per renderne semiliquide le carni così da digerirle meglio. Se in un terreno calcareo c'è aria pulita senza troppi insetticidi, se ci sono tante appetitose lumache e se il buio non è interrotto dalle luci di troppi lampioni, allora l'ambiente è quello giusto, e le mille fiammelle ammiccanti nell'incanto delle notti d'estate prima o poi ci sveleranno i loro segreti. Caterina Gromis di Trana ata. Tre sostanze entrano in o nella ricetta: la luciferasi, ma che catalizza la reazione; uciferina, sostanza specifica libera l'energia lumia quando la reazione A fianco i divdi una lucciolail maschio, e che non vola, e cè chiamata «verme A fianco i diversi aspetti di una lucciola: una larva, il maschio, e la femmina che non vola, e che talvolta è chiamata «verme luminoso»

Persone citate: Caterina Gromis, Fabre

Luoghi citati: Italia, Sicilia, Trana