Aspettando il Messia sul Monte degli Ulivi

Aspettando il Messia sul Monte degli Ulivi Gerusalemme pullula di strampalati mistici che in questa fine di secolo scorgono i presagi della prossima fine dei tempi Aspettando il Messia sul Monte degli Ulivi Tra ebrei e cristiani che si preparano all'apocalisse del Duemila I PROFETI DELIA CITTA' SANTA IGERUSALEMME L Monte degli Ulivi è come la prua di una nave in partenza verso il Duemila, come un bastione in difesa della prossima venuta, o ritorno, del Messia. Ormai ci siamo, a Gerusalemme si comincia a respirare aria di Apocalisse. Lentamente, una tribù messianica di non piccole dimensioni, che spazia attraverso il mondo cristiano ed ebraico, intensifica le sue pratiche mistiche, accomoda il mondo e soprattutto la capitale dello Stato ebraico, città del Messia passato e futuro, al rinnovamento o alla fine dei tempi. Ancora sono solo alcune centinaia, ma manca più di un anno all'avvento del Messia, all'Apocalisse, e si può pensare che sul Monte degli Ulivi converrà una gran massa di gente, ispirata, spaventata, convinta , ubriaca di Dio e di sindrome di Gerusalemme, la santa foiba che nei secoli è costata tanto sangue agli uomini dei tre monoteismi. Fratello David è, oggi come oggi, il grande capo dei cristiani già pronti al grande evento. E' sulla postazione già da quattro anni, fra ulivi dove Gesù deve tornare e dove passò le sue ultime ore. Anzi il suo gruppo di «Cristiani Rinati» occupa già 13 case sul monte. Qua i fedeli di fratello David vivono facendo opere pie, cantando e pregando. Sua compagna nella fede è Sharon (tutti vogliono essere chiamati esclusivamente con i nomi di battesimo), una californiana di mezza età, con i lunghi biondi capelli sulla veste ariosa. David ha organizzato i suoi amici in piccole case arabe sbrecciate, bianche, sparse su tutta la montagna che guarda ad Est come è scritto nella Bibbia. Di lì verrà il Messia. Il terreno arido, giallo e rosso, è qua e là allietato da un presepe primordiale di piante e casupole fra le pietre. Dal belvedere, davanti all'albergo Sette Archi, dove si dà convegno tutta la borghesia mediorientale sfoggiando ori e vestiti italiani, si vede di là da una valle disseminata senza intervallo di pietrose tombe ebraiche anche antichissime, la moschea d'oro di Omar, sensuale e sontuosa. Si potrebbe desiderare un posto più fatale per risorgere, se proprio si deve? E infatti quella è la valle dove è promessa dalla Scrittura la resurrezione della carne, e l'ascesa in cielo con il corpo insieme al Messia. Fratello David è molto elegante, con la cravatta, una camicia a righe azzurre, e sulla camicia un medaglione d'oro con una stella di David intrecciata ad una croce. E' il suo simbolo. Ma sul suo biglietto da visita mostra invece il simbolo del leone di Gerusalemme e della co- lomba col ramo d'ulivo: «Gesù» cita il biglietto «amava pregare qui, cercando il Padre e guardando la città di Gerusalemme». Per far venire il Messia e aiutarlo a giungere in un giorno che naturalmente nessuno sa quale possa essere, bisogna credere e basarsi sulle scritture, spiega David. Ouesto è il segreto. Bisogna credere nella teoria che il Duemila sia l'anno cruciale perché è scritto nei salmi di David che la creazione prese sei giorni, e che ogni giorno corrisponde a mille anni umani. Ora, fino a Cristo, le Scritture contano 4000 anni di lavorìo divino, a partire da Adamo. Dopo, sono passati altri 2000 anni. Quindi, Dio deve trovare riposo in un mondo senza pena e senza affanni... Fratello David sale con noi la scaletta dell'appartamento della sua compagna Sharon, in una casupola affondata fra altre costruzioni di terra tirate a calce, tutte abitate esclusivamente da palestinesi. Lui di pene e di affanni ne deve aver conosciuto parecchi, da quando, nel 1980, dopo aver venduto un parking per roulotte che era il suo lavoro nello Stato di New York a Syracuse, sentì la voce di Dio che gli chiese personalmente di venire a Gerusalemme, e di unirsi agli ebrei che tornavano a casa. Arrivò così con una piccola valigia in mano e con un biglietto di sola andata al Muro del Pianto, al Santo Sepolcro. Là, il primo miracolo, racconta entusiasta fratello David. Una donna etiope lo accolse, e lo portò vicino alla Porta Nuova, in un piccolo appartamento dove per tre anni trovò rifugio. Più tardi padre David stesso l'ha battezzata nel Giordano. David, attraente non è di certo, con una capigliatura troppo corvina per i suoi 58 anni, il corpo massiccio, due anelloni, sempre istoriati coi suoi simboli alle dita. Ma è tuttavia radioso, gentile, a suo modo convincente. Non fa specie che subito in città vecchia gli affidassero, come a una specie di strana baby sitter, 93 bambini arabi; in breve tempo riuscì, lavorando come gui■ da turistica, a conoscere tutta la bizzarra fauna religiosa gerosolimitana. Di h alle opere di carità il passo fu breve: fratello David cominciò a raccogliere fondi, cibo, vestiti per i poveri. E dopo sette anni passati in città vecchia dalla parte araba, David passò sette anni, come in una favola, nella parte ebraica. E infine, racconta, arrivò alla grande chiamata, e la Voce gh disse di andare sul Monte degli UH- vi a preparare la sua elevazione in cielo nel Duemila o chea. «I segni ci sono tutti. Anche l'ondata di Papua, anche gli incendi continui, i disastri, gli inusitati terremoti... A saperli leggere, sono tutti segni del Signore insieme al ritorno benedetto degli ebrei nella Terra Promessa». David male non fa sul Monte di Gesù. Nella casetta di Sharon troviamo accumulate montagne di abiti usati che vengono raccolti e distribuiti alle famiglie arabe indigenti. «In un anno distribuiamo 50 mila pezzi, e forniamo pasti caldi a decine di migliaia di persone. Poi, ogni mercoledì sera, ci riuniamo tutti insieme per pregare, per cantare. Il 70% di noi è rappresentato da donne. Certo, per il Duemila qui si prevede una grande confusione. Verranno 4 milioni di turisti reli- g'osi, e noi saremo qui ad indicare ro la strada del Messia». Anche gli ebrei, com'è noto, aspettano il loro Messia. Moltissi- me sette, di cui la più nota è quella del Lubavitcher Rebbe, dedicano immensi sforzi ad avvicinarne la venuta. Ma nessuno ovviamente considera il Duemila, anniversario della nascita di Gesù, una data cruciale. Senonché per il gruppo del rabbino Nahman di Breslaw, i cui fedeli contano circa 10 mila anime in Israele e vestono alla maniera tradizionale dei religiosi neri, quella data ha un qualche significato. Per gli ebrei, nel Duemila saremo nel 5760 dalla creazione del mondo. Ora, i primi 2000 anni sono stati quelli del caos, i secondi quelli della Bibbia, dopo la rivelazione sul Monte Sinai, e poi i 2000 anni della diaspora degli ebrei. Infine, accompagnato da grandi segni della venuta del Messia, il periodo odierno. Quasi quasi ci siamo. Gli ebrei sono tornati a casa, e mille altri segni si accompagnano a questo. Ce lo dice in una casa in mezzo al deserto, piena di vento e spoglia di mobili, Eliahu, un seguace del Rav di Breslaw che vive in un insediamento vicino a Betlemme. Eliahu accenna infatti alla storia di Giacobbe e di Esaù, che spesso rappresenta nella discussione talmudica il rapporto fra ebrei e non ebrei: qui ci sarebbe un'indicazione piuttosto sostanziale di 2000 anni di pena seguiti dal sollievo: essi sarebbero indicati dalle due lacrime che scendono sul volto di Esaù dopo che Giacobbe gli ha rubato la primogenitura. E' un riferimento troppo esoterico? Forse allora, dice Eliahu, un trentenne di origine francese, gli occhi scuri, i riccioli laterali alla sbarazzina, dietro le orecchie, tre figli e mi mestiere di venditore di arte ebraica, i segni dell'avvento imminente del Messia sono più chiari nel disastro della religione in cui nessuno più crede, nell'empietà degli ebrei secolari... «Sembrano brutti segni, ma invece sono segni dell'avvento di un'era migliore». I fedeli del rabby Breslaw, nato in Ucraina, sono ottimisti per natura: seguono con regolarità una condotta di vita che deve generare un individuo migliore immerso in una perenne serenità, anzi, nella felicità, con la danza, col canto, con la propagazione della filosofia di questo strano santo vissuto solo 37 anni fra il 1772 e il 1810. «Andò vicino a Dio quanto mai nessun altro» dice Elianti. Faceva anche dei miracoli, spiega Eliahu, ma gli venivano per caso, non gliene importava niente, e anzi non gli piacevano. Più che altro gli importava con i suoi insegnamenti di aiutare il mondo a partorire il Messia. E l'altro capodanno, altro segno, a Breslaw, sulla sua tomba, sono andate in pellegrinaggio centomila persone. Ora, mi spiega Eliahu, che secondo gli insegnamenti del suo Rav è sempre allegro (è il primo dei comandamenti), è fondamentale ogni giorno parlare intimamente con Dio almeno per un'ora. «Io ci parlo in francese, mia lingua madre, perché il rapporto sia più intimo» dice. Ma quello che più conta, il lettore ci perdoni, è questo: «Na-Na'h-Na HmaNahman-Me Uman». Cosa vuol dire? Niente, potremmo rispondere con il senso comune. Ma non è vero! I fedeli di Breslaw hanno ricevuto questa formula medianicamente, tramite un rabbino morto a 105 anni, dall'anima del loro stesso padre spirituale, adesso, Israele è coperta di scritte che riproducono questo mantra, questa canzone, questo portafortuna, questo invito al Messia a farsi vivo subito... Esistono libroni di studio su questa formula, interpretazioni cabalistiche e filosofiche che la interpretano e la spiegano: «Capirla non è facile, ma più la si ripete, e più ci aiuta miracolosamente, più la si capisce, e prima verrà il Messia». Fiamma Nirenstein I seguaci di fratello David non hanno dubbi: le scritture dicono che Gesù sta per tornare «I presagi ci sono come quella onda mostruosa di Papua, gli incendi e tutti i terremoti» Il rabbino Nahman ha pronto una sorta di incomprensibile mantra che salverà dal giudizio finale Gerusalemme: uno scorcio delle mura che circondano la città vecchia