Governo e Ulivo, doppio attacco di D'Alema di Ugo Magri

Governo e Ulivo, doppio attacco di D'Alema Altri affondi del leader: «C'è un male oscuro nella coalizione». «Non basta galleggiare» Governo e Ulivo, doppio attacco di D'Alema Ma ilpremier non si scompone: non sta criticando me ROMA. La polemica, aspra e risentita, che Massimo D'Alema ha lanciato da giorni contro gli «ulivisti» del suo partito, sta trasformandosi in un'offensiva tambureggiante. Ieri è apparsa sull'Unità un'intervista-fiume del leader diessino, dove si sparano fulmini e saette contro «un certo ulivismo», accusato di incrinare l'alleanza di centro-sinistra «perché spaventa e mortifica i partiti e la gente vera che i partiti rappresentano». Si dirà: è il solito leit-motiv della campagna congressuale di D'Alema che, in vista delle assise ipotizzate per la primavera prossima, punta a stanare i suoi avversari interni, quasi tutti raccolti sotto la bandiera dell'Ulivo-partito. Ma stavolta, rispetto alle precedenti uscite del leader diessino, c'è un di più. Nell'intervista all'Unità, D'Alema mette per la prima volta in guardia Romano Prodi dai pericoli che la filosofia ulivista, se non verrà castrata in tempo, potrebbe rappresentare per il suo stesso governo. Denuncia infatti D'Alema: «Il rapporto tra il governo e il Paese si sta indebolendo». E s'indebolisce non già perché Prodi governa male (anzi, D'Alema definisce «buona e utile» la piattaforma del premier uscita dalla verifica), ma perché «c'è qualcosa che ostacola, frena e confonde da dentro la coalizione», vale a dire «una concezione della politica che mortifica i partiti, tra- scura i sindacati e suppone che si possa governare con gli indici di popolarità». Inutile dire che il «male oscuro» contro cui si scaglia D'Alema è proprio l'eresia interna dell'Ulivo-partito. Ma lo slogan del segretario - «governare, non galleggiare» - non può fare certo sorridere il presidente del Consiglio, dipinto come vittima dell'immobilismo. Così ieri in molti hanno atteso una replica da Palazzo Chigi, un gesto di reazione da Romano Prodi o dal suo vice Walter Veltroni. Invece, almeno ufficialmente, silenzio. Ha taciuto il numero due del governo, si è morso la lingua il premier. I suoi umori, comunque, nel corso della giornata sono filtrati all'esterno. Lasciando la sala del Consiglio dei ministri, a fine mattinata, Prodi non ha resistito alla tentazione di lamentarsi dell'intervista con alcuni ministri diessini. «Massimo deve darsi una cai- mata», è il succo del suo breve sfogo. Poi, a pranzo con una pattuglia di deputati e senatori a lui particolarmente vicini (tra cui Gianclaudio Bressa e Tana De Zulueta), Prodi ha svolto un'analisi più serena, simile a quella messa a punto con i suoi più stretti collaboratori. In serata sono circolate ricostruzioni di quel pranzo secondo cui Prodi era sembrato quasi entusiasta dell'intervista di D'Alema. Difficile credere a questa versione. La verità sta probabilmente nel mezzo: Prodi non gode per le critiche di D'Alema al governo, ma ha capito perfettamente di non essere lui il vero destinatario. Sa bene, il premier, che si tratta di una guerra interna a Botteghe Oscure dalla quale tenersi alla larga. Tanto più che, come fanno sapere fonti prodiane, il capo del governo sottoscrive anche le critiche di D'Alema alle fughe in avanti verso il partito unico dell'Ulivo. Prodi, insomma, cerca di tenere il governo al riparo dalle liti pidiessine, così come nella Prima Repubblica gli inquilini di Palazzo Chigi cercavano di sfuggire alle faide interne della de. Ma non è detto che il suo tentativo vada in porto. Come se non bastasse, a spargere nebbia sul futuro c'è la verifica autunnale, con un Bertinotti sempre più inquieto. E resta sempre sul tappeto quell'ipotesi di rimpasto, sguainata un paio di giorni fa da Franco Marini, e non ancora rinfoderata. «Parleremo di tutto a settembre», ha confermato ieri il segretario del ppi, reduce da una polemica al calor bianco con Francesco Cossiga sulla collocazione politica dei popolari. Il suo vice Enrico Letta è stato chiaro: «Continuando così, la cosa certa è che la legislatura non la finiamo. Quindi - ha proseguito Letta -, in autunno c'è l'esigenza oggettiva di ridare vigore al governo, e Marini ha indicato uno degli strumenti con cui intervenire». Il rimpasto, appunto. Su questa strada, Marini non è solo. L'idea non è invisa a D'Alema (anche se nell'intervista all'Unità ha negato di sponsorizzarla), piace ai Verdi, non spaventa Rifondazione e ieri ha trovato un nuovo cauto sostenitore in Lamberto Dini. Secondo il quale un rimpasto «non sarebbe un trauma». Ugo Magri Il Ppi insiste per il rimpasto in autunno Dini d'accordo «Non è un trauma»

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