«Simeone scappava, l'abbiamo ucciso così»
«Simeone scappava, l'abbiamo ucciso così» La confessione del figlio del pescatore: quando il bimbo si è accorto di che cosa voleva fargli si è messo ad urlare e a piangere «Simeone scappava, l'abbiamo ucciso così» «Mio padre mi ha ordinato di prenderlo, poi ha cominciato a picchiarlo» LA NOTTE DELL'ORRORE PROMA RIMA ha prosciugato il suo pacchetto di Diana, poi ha attaccato le Carnei dell'avvocato e le Ms del pubblico ministero. E' uscito da una nuvola di fumo e da un animo in tempesta l'ultimo racconto dell'orrore sulla morte di Simeone; quello definitivo, secondo le valutazioni di inquirenti e investigatori. Claudio F. ha confessato aspirando una sigaretta dietro l'altra, a tratti piangendo. Ha ammesso di aver partecipato all'omicidio del bambino di 8 anni, ucciso a bastonate dal padre Vincenzo davanti agli occhi dell'altro bambino vittima di questa storia, il fratello Danilo. «Quando ha visto che Simeone era morto - ha detto Claudio a conclusione del suo interrogatorio -, mio padre l'ha nascosto sotto un telo di plastica. E a me e a Danilo ha detto di non dire niente a nessuno, sennò ci avrebbe ammazzato a fucilate». La paura ha tenuto in ostaggio quest'uomo di 35 anni ancora succube del padre-padrone («mi picchiava con la cinghia») fino all'altra sera, quando è stato nuovamente accompagnato al quarto piano della Procura, nella stanza del pm Pietro Saviotti, per l'ennesimo interrogatorio. E' entrato che era ancora un testimone, Claudio F., e ha ripetuto la precedente versione: «Io sono rimasto fuori dalla capanna, quello che è successo dentro me l'ha raccontato Danilo». Ma il magistrato sapeva già che non era così; poche ore prima, infatti, alla presenza dello psicologo, proprio Danilo aveva tirato fuori l'ultima verità: «C'era anche Claudio, dentro, quando papà ha ucciso Simeone». Il pm gliel'ha contestato, e Danilo s'è ritrovato indagato per concorso in omicidio e violenza sessuale. L'avvocato d'officio era già fuori dalla porta, in attesa. E' stato chiamato dentro, e sulle prime Claudio quando il magistrato gli ha spiegato che era un suo diritto - ha scelto di tacere: «Mi avvalgo della facoltà di non rispondere». Ci sono voluti un colloquio a quattr'occhi con il giovane difensore, Armando Macrillò, e qualche altra sigaretta prima di decidersi a cambiare linea. ((Avvocato - ha detto Claudio -, io ho paura di andare in carcere, perché le persone accusate di violenza sui bambini vengono picchiate e violentate. Mi promette di farmi stare in cella da solo?». «Farò il possibile», ha risposto il legale, ma di questo si sarebbe discusso dopo. Contro Claudio c'erano le nuove dichiarazioni di Danilo e altre contraddizioni emerse nei precedenti racconti del nuovo indagato. «Avvocato, io non ho i soldi per pagarla», ha detto ancora l'uomo. «Di questo non si deve preoccupare, io la difenderò ugualmente». Pochi minuti dopo Claudio F. era nuovamente seduto davanti al pm Saviotti, attorniato dai poliziotti della Squadra Mobile. «Intendo rispondere», ha fatto mettere a verbale. Il registratore ha ripreso a girare, e Claudio ha spalancato le porte sulla capanna della pineta di Ostia, sulla sera dell'orrore in cui fu ucciso Simeone. Un racconto limitato all'essenziale, che per gli inquiren¬ ti è stato il riscontro ad altri elementi già acquisiti. «La sera di domenica 19 luglio - ha detto l'uomo, continuando a fumare - siamo andati alla capanna in quattro: io, mio padre Vincenzo, mio fratello Danilo e Simeone. Una volta dentro, mio padre si è abbassato i pantaloni perché voleva avere un rapporto sessuale con Simeone. Che io sappia, con lui era la prima volta che ci provava. Ma quando ha capito che cosa voleva fargli, Simeone ha cominciato a gridare, e s'è messo a correre per la capanna, tentando di sfuggire a mio padre. Allora Vincenzo mi ha detto di aiutarlo ad acchiapparlo, e poi mi ha chiesto di tenerlo fer- mo. Io l'ho fatto, da dietro, non ricordo se stringendogli il collo o tenendolo per le spalle. Mentre lo tenevo mio padre ha cominciato a picchiarlo con un ramo di pino trovato dentro la baracca, e ha continuato finché dalla bocca di Simeone non è uscito un fiotto di sangue misto a un liquido biancastro». E' stato allora che il povero bambino ha smesso di divincolarsi, le nuove perizie autoptiche disposte dal magistrato diranno meglio come e quando è morto. Per adesso, agli atti dell'inchiesta non ancora conclusa c'è la tremenda cronaca fatta da Claudio; e ci sono un paio di pantoioni corti, vecchi jeans tagliati all'altezza del ginocchio trovati in casa di Claudio. «Sono suoi?», ha chiesto il pm. «Sì». «E questa macchia rossastra che cos'è?». «Probabilmente è il sangue di Simeone», ha risposto l'uomo, che subito dopo s'è soffermato sulle minacce del padre, a lui e a Danilo, che aveva assistito a tutta la scena: «Ha detto che se avessimo parlato avrebbe ammazzato anche noi con il fucile». Anche sulle minacce di Vincenzo F. ai due figli gli hiquirenti sapevano già tutto. Ne aveva parlato poco prima la moglie Bruna, nell'ultima sua versione sulla drammatica sera del 19 luglio. Quando Vincenzo, Claudio e Danilo tornarono a casa, vide il bambino particolarmente turbato. «Gli ho chiesto che cosa era successo - ha dichiarato la donna nell'interrogatorio di lunedi -, e Danilo mi ha detto che era successa una cosa brutta. Ho tentato di capire che cosa, ma lui non me l'ha voluto dire». La donna ha insistito, ma Danilo ha troncato ogni discorso: «Non te lo dico, sennò quello ammazza pure a me». Dall'altra notte Claudio F. è rinchiuso in una cella d'isolamento del carcere di Rebibbia. Forse già oggi il gip andrà ad interrogarlo per pronunciarsi sul fermo disposto dal pm. Negli uffici della Procura (dove non si dà grande peso alle polemiche del senatore verde De Luca perché il procuratore Vecchione avrebbe rivelato il cognome di Vincenzo F., visto che quando ci fu il comunicato almeno due giornali l'avevano già scritto) continua il lavoro per trovare tutti i riscontri ai racconti di Claudio, Danilo e Bruna. Ma dalla sua cella di Regina Coeli Vincenzo F. seguita a proclamarsi innocente, e l'avvocato Pasquale Longo sta preparando il ricorso al tribunale della libertà. L'alibi del suo cliente sono due film tramessi da Italia 1. «Io quella sera ero a casa a guardare la tv - ripete l'uomo -. Ho visto prima "Caccia al testimone", di cui posso raccontare la trama, e poi "Al bar dello sport"; mi ricordo che c'erano Lino Banfi e Mara Venier». Giovanni Bianconi «Papà ci ha detto che se avessimo parlato ci avrebbe ammazzati» «Dovete mettermi in una cella da solo ho paura di essere violentato» La baracca dove è stato ucciso il piccolo Simeone. Il figlio maggiore del pescatore ha confessato la notte scorsa di aver partecipato al delitto
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