«Rimpasto di governo? No grazie»

«Rimpasto di governo? No grazie» La proposta del leader Ppi non dispiace a D'Aiema. Bertinotti: a noi interessa solo la svolta «Rimpasto di governo? No grazie» //premier replica a Marini: non ci penso nemmeno ROMA DALLA REDAZIONE Di fatto, per la politica, la pausa estiva è già cominciata, in attesa del chiarimento di settembre sulla finanziaria. Anche per questo motivo ha destato stupore l'uscita di Franco Marini che, in un'intervista a «Repubblica», ha lasciato intendere di ritenere opportuno un rimpasto di governo. Per quale ragione il segretario del Ppi ventila un'ipotesi del genere in un periodo come questo? Se lo avesse fatto durante la verifica di luglio, la cosa avrebbe avuto un senso ben preciso. Se avesse aspettato settembre, per proporre una prospettiva del genere, il significato di una simile uscita sarebbe stato più comprensibile. Ma perché parlare di rimpasto in un momento di morta, in un momento in cui la politica è andata in vacanza, e l'ipotesi suggerita da Marini non può perciò avere nessuna ricaduta concreta? Per preparare il terreno ad un ritocco della compagine governativa, da farsi in autunno, quando lo scontro con Rifondandone comunista si farà più duro, spiegano fonti di piazza del Gesù. E l'ex presidente del Ppi, Giovanni Bianchi, ammette: «Sono mesi che, seppur non ufficialmente, nel partito si parla dell'esigenza di un rinvigorimento della squadra». Ma c'è anche chi pensa che sull'uscita di Marini non vada fatta alcuna dietrologia, chi è convinto che non vi sia nessuna effettiva manovra politica tesa al rimpasto. Osserva Marco Fumagalli, della sinistra della Quercia: «E' poco serio parlare di queste cose il 28 luglio, forse sarebbe il caso di riparlarne a settembre». Eppure si sa che anche Massimo D'Aiema (che non ha voluto commentare ufficialmente la sortita del leader popolare) vedrebbe con favore un rimpasto. Circolano da tempo, e non sono una novità, i nomi dei ministri che potrebbero essere sostituiti: i Ppi Andreatta e Pinto; i diessini Burlando e Berlinguer; il titolare del dicastero del Lavoro Treu e il Guardasigilli Flick. Ma anche le voci di rimpasto circolano da tempo e non sono una novità. D'Aiema e Marini ogni tanto buttano lì questa ipotesi e, addirittura, il segretario della Quercia aveva pensato di mettere in atto i suoi propositi in questa verifica estiva, però poi aveva dovuto soprassedere. L'ostacolo principale, quello che rende vane le esercitazioni diessine e popolari sul rimpasto, è costituito da Romano Prodi. Il presidente del Consiglio sa bene che imboccando una strada del genere si infilerebbe in un vespaio. Basterebbe la richiesta di un dicastero per i socialisti (che al momento non ne hanno neanche uno) da parte di Boschi per far saltare tutti i deli¬ cati equilibri della coalizione. Quale partito dovrebbe cedere la poltrona da riservare a Boselli? Rinnovamento? E che dire del conflitto che si potrebbe aprire su un postochiave come quello della Giustizia (dicono che a quel dica¬ stero aspiri il diessino Cesare Salvi)? Per Prodi, quindi nessun rimpasto. Il presidente del Consiglio tiene a far sapere che l'ipotesi «non è all'ordine del giorno» e che «non è stata presa in considerazione». Ma le ambizioni di alcuni alleati vengono fuori dalle dichiarazioni rilasciate sull'argomento. Dice Salvi: «Anche Blair ha fatto delle modifiche alla sua squadra». Osserva Boselli: «Non credo che sia un dramma discuterne». Il ministro Pinto, invece, mette le mani avanti e sottolinea: «La stabilità è un bene da difendere. Io credo che questo governo vada mantenuto». Si sfila dal dibattito il segretario di Rifondazione Bertinotti, che afferma: «Noi più che agli uomini siamo interessati alla svolta riformista dell'esecutivo». Molto prudente Luigi Manconi. Pur non escludendo che «la sostituzione di alcuni ministri potrebbe essere una soluzione utile», il portavoce verde ammonisce Marini con queste parole: «Una decisione del genere la deve prendere esclusivamente Prodi». Il quale Prodi non è uomo da farsi pregare per prendere le decisioni da solo. Un politico che è tutto proiettato, come ha spiegato lui stesso, a costruire il super-Ulivo con Clinton e Blair, perché dice di considerare superate le tradizioni popolari e socialdemocratiche (suscitando così le ire di Marini e D'Aiema), non è tipo da farsi imporre rimpasti. E anche ieri il presidente del Consiglio ci ha tenuto a farlo sapere. Salvi: l'ha fatto anche Blair... Boselli: non è poi un dramma I ministri «a rischio» sarebbero Burlando, Flick e Berlinguer

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