E' un ritorno all' Inferno di Fabio Poletti

E' un ritorno all' Inferno E' un ritorno all' Inferno In corsia la delusione dei pazienti LE VOCI DELL'OSPEDALE C/7 MILANO m EBANO pazienti che venivano anche dall'Australia», ricordano all'ospedale Luigi Sacco di Milano. Ed è come se parlassero di un tempo felice, quando c'era la speranza, quando il professore in camice bianco che arrivava da Modena, uomo di poche parole e si sperava di tanti fatti, dava la forza per sognare i miracoli. «Parlavano di somatostina, di siringhe temporizzate, sembravano esperti pronti a tutto pur di rientrare nelle liste dei pazienti da sottoporre alla sperimentazione», ricorda Loredana Di Palo, che per mesi, al telefono del Sacco, ha raccolto quelle richieste di aiuto. Cento, duecento, trecento telefonate al giorno. Da Milano, da Como, dalla Svizzera, dalla Croazia e dall'Australia, dove era giunta la voce portata dai parenti rimasti in Italia. «C'è stato un boom iniziale di richieste, ma poi la cosa si è calmata», dicono dal nosocomio alle porte della città. E i dati sono lì a confermarlo. Telefonate sempre più rade, sempre meno richieste, anche qualche rinuncia. Fino ai 31 letti oggi occupati da chi si sottopone alla sperimentazione regionale. Un nulla, in questo ospedale grande come una fabbrica, con gli alberi in mezzo ai padiglioni tanti come in un parco. «Passavano attraverso l'inferno e aspettavano il miracolo», ricordano tutti, nel nosocomio in prima linea nella lotta all'Aids, ai tumori, alle malattie infettive. Dove la morte arriva ogni momento, appena più forte della speranza che non se ne va mai. «Si sono fatti dei salotti sui giornali e tra i politici, Di Bella lo hanno fatto a pezzi, non ci possiamo credere», giura Nico di Vicenza, che ha un tumore allo stomaco che lo sta mangiando, prima di affidare la sua ira a Badioradio di Roma, che raccoglie la voce dei «dibelliani», come vengono chiamati nemmeno fossero un partito. Adesso che dalla speranza si toma alla disperazione, alla chemio, ai farmaci, alle terapie tradizionali, alle cure di sempre e a miei senso di impotenza che accompagna la parola cancro, le grida che arrivano da quelli come Nico fanno ancora più rumore. Ma non hanno la forza di chi da mesi si è chiuso nel silenzio dell'attesa di un'altra speranza, di un altro spiraglio di certezze da accompagnare al calvario della malattia. «Perchè non provare, cosa abbiamo da perdere?», aveva detto Enza F. lo scorso gennaio, quando per la seconda volta in due giorni si era presentata agli sportelli dell'Istituto dei Tumori in via Venezian, per iscrivere la suocera alla lista di chi avrebbe sperimentato la cura Di Bella. Oggi in cura in via Venezian ci sono 7 pazienti con tumore alla mammella e dieci al polmone. Sono quelli che hanno resistito alla malattia, sono quelli che non hanno più nulla da perdere, sono quelli che aspettano la conclusione del ciclo di terapie inventate dal Professore. E sono quelli che già sanno, che da Roma, dall'Istituto Superiore della Sanità è arrivato il verdetto che per loro vale più di una condanna senza appello. «Agli inizi di luglio, quando sono arrivati i primi sconfortanti dati sulla sperimentazione regionale, c'è stata una nuova flessione nelle richieste da parte dei pazienti», conferma Loredana Di Palo, tra i neon dell'ospedale Sacco. Sulla scrivania ha i bilanci di sette mesi. Sono un bollettino di guerra. «Millecinquecento richieste, in pochi giorni, agli inizi di gennaio...», inizia a leggere snocciolando dati. Tra quelle migliaia vengono scelte le duecontoventisei persone che passano la prima visita. Alla terapia risultano idonei in centotredici, devono avere almeno 8 settimane di aspettativa di vita. Quando la sperimentazione parte realmente, trentaquattro di loro sono già morti. Rimangono in quarantotto, attaccati ai tubi delle flebo e ai fili della vita. Ventotto di loro peggiorano subito, reagiscono male alla cura. Molti si ritirano, rinunciano al metodo Di Bella, tornano alle terapie tradizionali. «Sono tutte persone passate attraverso l'inferno in attesa del miracolo, dicevano che dovevano tentarle tutte. Ma adesso sono sempre meno, quelli che chiamano qui per provare la cura Di Bella», giura Tiziana Camerini, stessa odissea all'Istituto dei Tumori. «Comunque la sperimentazione continua, almeno fino a quando non ci dicono di smettere. In autunno, avremo il nuovo bilancio sui risultati della cura», assicurano dal Sacco. Ma è solo un dato notarile, buono per le statistiche a futura memoria. «Sì, continueremo fino alla fine dei malati...», si fa sfuggire Loredana Di Palo. E quasi sa già, che la malattia ancora una volta sarà più forte della cura. La politica, le polemiche, il massacro ideologico sulla pelle dei pazienti, rimangono fuori dalla porta dell'Istituto dei Tumori e del Sacco. Qui sono più forti solo il ricordo dei mesi passati, quando all'inizio i parenti dei malati facevano la fila, lasciavano il nome e un numero di telefono e imploravano. «Ci sono state situazioni difficili da reggere, ci sono state richieste di tutti i tipi. C'è anche chi si è rivolto alla magistratura, per accertare che non ci fossero preferenze nella composizione delle liste», scuole la testa Loredana Di Palo. Ma le sue frasi sono oramai tutte al passato. «C'è gente che si è sentita discriminata, per non essere stata inserita nella sperimentazione», ricorda quel tempo passato troppo in fretta, senza lasciare traccia in chi cercava, almeno per un po', di continuare a sperare. E a vivere. Fabio Poletti «Povero professore i salotti e i politici lo hanno distrutto Non se lo meritava» «All'inizio chiamavano anche in 300 al giorno Arrivavano telefonate pure dall'Australia»