«L'Ue non abbandoni Ankara»
«L'Ue non abbandoni Ankara» «La mia diocesi, colpita da un terremoto che ha fatto 180 vittime, non ha avuto alcun aiuto dall'estero» «L'Ue non abbandoni Ankara» Parla il vescovo cattolico dell'Anatolia TORINO. «Le nostre relazioni con il popolo sono buonissime. Con le autorità islamiche invece ci sono maggiori difficoltà, soprattutto da quando la Turchia è stata rifiutata dall'Europa: per loro è stata un'offesa incredibile». Monsignor Ruggero Franceschini, vescovo dell'Anatolia, è in questi giorni a Torino. Dal 1993 questo cappuccino modenese, 58 anni, vive a Mersin, città ai piedi del Tauro che supera il milione d'abitanti. E il no dell'Unione europea all'adesione della Turchia l'ha vissuto come una sconfitta personale: «Sono stato due volte a Strasburgo, al Parlamento europeo, chiedendo di chiudere mi occhio sul bilancio passivo della Turchia nel campo dei diritti umani. Perché una volta in Europa, piano piano, avremmo potuto aiutarli a compiere un cammino assieme. Non ci hanno ascoltato». Perché questa posizione? «Perché è necessario integrare la Turchia in Europa, prima che cada nell'abbraccio soffocante dell'islamismo puro, quello dell'Iran o dell'Arabia Saudita». Quali sono le condizioni in cui operate? «La chiesa cattolica comincia da qualche anno ad essere abbastanza vivace. Certo siamo un po' dimenticati dal resto del mondo. Il 27 giugno la mia diocesi è stata colpita da un terremoto che ha fatto 180 vittime e ha distrutto più di quattromila case, e dall'estero non sono arrivati aiuti di alcun tipo. In Turchia vi sono sette chiese cattoliche: quella latina, che è la nostra, quella siro-cattolica, la armeno-cattolica, quella caldea, la bizantina e le due libanesi, maronita e melchita. Si tratta di chiese antiche o antichissime, pensi che i caldei parlano ancora l'aramaico, la lingua di Cristo. Ma non hanno comunità che le sostengono e vivono degli aiuti delle chiese europee. Inoltre i loro riti, nelle lingue d'origine, sono capiti sempre meno dai giovani, che a scuola parlano solo turco. Noi siamo un po' più avanzati perché ab- biamo missionari che vengono dall'estero e perché abbiamo tradotto in turco il Vangelo, la Bibbia, le Vite dei Santi, i Messali e i Catechismi (anche uno per adulti). E la liturgia è sempre in turco. Raramente viene aggiunto il canto latino: ai nostri ragazzi abbiamo insegnato a cantare la Messa degli Angeli, il Credo, il Gloria, il Kyrie e il Sanctus». Chi sono questi ragazzi? «Figli di famiglie cattoliche in parte di origine europea, i cosiddetti "levantini", in parte locali: turchi convertiti e tanti cristiani di altre fedi, soprattutto ortodossi. Noi però non puntiamo alle conversioni, quanto piuttosto a creare buone relazioni tra noi e le altre chiese e un buon dialogo con il mondo islamico». Quanti sono in Turchia i fedeli cattolici? «I latini solo 6-7 mila. Ufficialmente i seguaci delle sette chiese cattoliche sono circa mezzo milione, ma quando arrivammo qui un funzionario dei servizi segreti ci disse "Occupatevi dei vostri cattolici, ce ne sono quattro milioni e mezzo". Non lo sapevamo neanche noi». E i rapporti con le autorità? «Ottimi, a partire dal Presidente Demirel. I rapporti con la maggioranza invece sono attuahnente abbastanza problematici. Il fatto è che il Parlamento, la giustizia e gli imprenditori turchi sono fortemente irritati dal rifiuto dell'Europa ad ammettere il loro Paese almeno tra quelli che sono candidati all'adesione all'Unione europea». [f. sq.) «Accettate la Turchia prima che scivoli verso l'integralismo» ■ Il primo ministro Romano Prodi ieri durante la visita a Istanbul dove ha incontrato il premier turco Masut Yilmazz
Persone citate: Demirel, Masut, Romano Prodi, Ruggero Franceschini
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