La tragica fuga dei disperati senza nome

La tragica fuga dei disperati senza nome La tragica fuga dei disperati senza nome Un sopravvissuto: le fiamme hanno ucciso i miei fratelli PAGINA GENOVA DAL NOSTRO INVIATO Dietro una di queste porte bianche - mentre scappano via le ultime telecamere - ci sono i tre ragazzi rimasti vivi. «Sono in stato di fermo», dice uno dei dirigenti del commissariato. Però poi alza le spalle: «Gli abbiamo dato vestiti, sigarette, acqua e tè. Tecnicamente sono in stato di fermo, ma in realtà gli stiamo dando una mano... Uno di loro non fa altro che piangere». E' il più giovane dei tre sopravvissuti. Ha la faccia da ragazzo, gli occhi grandi e neri. Ha detto: «Tra i cinque morti ci sono i miei due fratelli». Ha cominciato a singhiozzare. «I miei due fratelli, voglio vedere i miei due fratelli». Non ora, gli hanno detto. Li vedrai domani. Diteci chi siete, diteci da dove siete venuti... E lui ha chiesto del tè, ha chiesto una sedia. Ha cominciato a raccontare. Sono partiti all'alba dell'altro ieri, infilati dentro a un camion. Sapevano che la Linda Rosa, bandiera e equipaggio italiani («gli italiani sono bravi, gli italiani sono gentili. E pure amici...») sarebbe salpata verso il mondo senza fame, senza malattie, senza il cattivo destino dei deserti e dei poveri. Erano in otto. Lui con i suoi due fratelli e poi altri cinque compagni di viaggio. Avevano bottiglie d'acqua e cibo addosso. Potevano stare nascosti e la nave avrebbe viaggiato per loro. Un braccio di mare appena. Una sosta al porto di Rades. Una sosta a Marsiglia. E buìne Genova, porta di tutto l'Occidente sognato. Un buon punto di arrivo. Ma anche un buon punto di partenza per altri altrove, come la grande Germania e il Nord freddo e ricco d'Europa. La traversata è stata tranquilla, il mare lento e dolce, solo il caldo non li ha fatti dormire. Il soffoco gli spezzava il respiro, li teneva all'erta e insieme spossati. Ogni tappa della traversata l'hanno seguita ascoltando i rumori e il rollio. Hanno capito, l'altra mattina che le cime erano state gettate, che il mercantile si era addossato sulle spalle della terra ferma, questa Genova disordinata e bianca e piena di vie di fuga, piena di vita, labirinto del Mediterraneo, ma infinitamente ricca e per loro accogliente come un nuovo inizio. Era l'alba. Le sei in punto quando i camion e i container hanno cominciato a scivolare sulla banchina del molo. Hanno atteso che tutto si fermasse. Sono saltati fuori: aria finalmente pulita e meno soffocante, aria di mare e non di ferro, polvere e chiuso. Sono saltati giù, snocciolandosi lungo il molo. Troppo presto e troppo in fretta per non tradirsi. Li hanno visti gli scaricatori, è partito l'allarme. Appena scesi e già in fuga, con le divise blu della Polmar a corrergli dietro. Mezz'ora d'aria, non di più. Di nuovo tutti insieme, ma in fila lungo il molo. E controlla- ti a vista. Raccontano al commissariato, ora che è sera e tutto si è fatto molto più grigio, sulla tavola immobile del mare: «La procedura prevede il fermo del clandestino. Individuata la nave di provenienza li si affida al comandante che deve garantire il rimpatrio». Questa è la procedura. «Il nostro compito di vigilanza a quel punto termina». Da quel punto in poi è cronaca. I clandestini, i poveracci senza storia, vengono divisi in due gruppi e in due cabine. Come sia scoppiato l'incendio non lo può raccontare più nessuno. Si sa del fumo che ha visto un camionista, da uno dei moli esterni. «Un fumo denso e nero che usciva da poppa». Si è alzato l'elicottero. Sono arrivati i vigili del fuoco. Il mercantile - che avanzava lento tra il ponte Canepa e il molo di Levante - ha virato verso il molo Giano. Tutto l'equipaggio era in manovra. Le due cabine, chiuse dall'esterno, erano senza sorveglianza. Una delle due, quella trasformata in un incendio veloce c rabbioso, è diventata una trappola. «Sono morti per soffocamento» ha detto l'unico medico salito a bordo. Morti tutti e cinque, uno addosso all'altro, schiacciati contro la porta che ha resistito a ogni loro sforzo, gabbia perfetta per sigillarci dentro cinque uomini vivi, non richiesti e non voluti. Gli altri tre, fino a che le asce dei pompieri non hanno sfondato la porta («presto, venite fuori, c'è un incendio a bordo») non si sono accorti di nulla se non del frastuono, degli ordini gridati, dell'agitazione. «Li abbiamo trovati spaventati e senza vestiti. Ci chiedevano: 'che succede, cosa sta succedendo?' Tremavano». Li hanno fatti scendere di corsa. Ed è allora che il ragazzo, con la sua faccia smagrita e gli occhi grandi ha guardato indietro, ha visto il nero del fumo, ha capito. Perchè quell'incendio? Tutti qui al commissariato fanno congetture con aria triste e anche un po' incredula: «Forse volevano fermare la nave». «Forse volevano approfittare della confusione per provare di nuovo a scappare». «Forse solo per disperazione». «Forse solo per protestare...». La fine del racconto, prima o poi, la raccontarà il magistrato. Dicono sia bravo, calmo e competente. E' sempre di là che interroga. «Prima di domani - ti spiegano - non dirà nulla». E il console? «Non vuole parlare con i giornalisti. Lei capisce... E' una tragedia immensa, cinque morti, così per nulla...». Non esattamente per nulla. Siamo solo noi a crederlo, per avere buoni sonni. Perciò possiamo dire che pure i nove morti annegati al largo di Pantelleria sono annegati per nulla. E che gli albanesi finiti in fondo all'Adriatico sono affondati per nulla. E che i curdi, i tunisini, i marocchini, gli egiziani, i cingalesi, i pakistani, i turchi, i senegalesi che vengono a morire accanto ai nostri zerbini di mare, oppure sugli scogli di Lampedusa, muoiono per nulla. Sono le nove di sera: tutti i cavalcavia sono già intasati dal traffico e tutte le case si riempioni di luci. E' una soffocante sera d'estate. C'è solo questo fastidioso dettaglio dei morti per nulla e questa strana animazione dentro al commissariato della Stazione marittima. E' tutto già successo: parecchio inchiostro dirà che non c'è nulla da raccontare. Peccato che a sei ore di distanza, uno degli investigatori fumi nervoso e poi spenga scuotendo la testa: «Neanche sappiamo ancora come si chiamavano. I morti e i vivi». Parlandone al passato. Pino Corrias Un investigatore: «Li abbiamo trovati schiacciati contro la porta E ancora non si sa come si chiamavano» Erano partiti all'alba di domenica II viaggio in camion prima di nascondersi nel container della nave

Persone citate: Canepa, Pino Corrias, Polmar

Luoghi citati: Europa, Genova, Germania, Lampedusa, Marsiglia, Pantelleria