I due fuochi di Lampedusa di Flavia Amabile

I due fuochi di Lampedusa I due fuochi di Lampedusa Arrivano altri clandestini, esplode la rabbia L'ISOLA DI FRONTIERA LAMPEDUSA DAL NOSTRO INVIATO E' la notte tra domenica e lunedì: il braccio più estemo del porto di Lampedusa è un grande dormitorio. Sulla terra si ammassano decine di nordafricani, gli ultimi ad aver provato a cancellare il proprio passato percorrendo le 70 miglia di mare tra Sfax, porto della Tunisia, e Lampedusa, isola da sempre più in Africa che in Italia. Giunti da poche ore, contati e identificati alla meno peggio sulla banchina, non sono stati condotti nei centri di accoglienza come al solito. L'unico centro ha una capienza di cento persone, da due settimane ne ospita 147. Vi è una caserma dell'esercito, nei giorni scorsi utilizzata come base di raccolta prima dell'assegnazione agli altri centri della Sicilia. La caserma si trova in pieno centro: le autorità non se la sentono di far passare quella processione di esseri cenciosi, volti scavati, sotto gli occhi della folla vacanziera di una domenica sera di fine luglio. I clandestini rimangono sulla banchina fino a notte inoltrata. Quando tutto è silenzio nelle vie dell'isola, a piccoli gruppi, vengono condotti nel centro. Non vi è traccia di clandestini, dunque, al sorgere del sole, ma Lampedusa si sveglia comunque sul piede di guerra. Il mese di luglio sta par terminare, l'estate si avvia al suo culmine, ma piovono disdette. Sull'aereo in arrivo della Med-Airlines erano prenotate 59 persone, ne sono sbarcate 20. Sull'aereo della Air-Sicilia ne erano prenotate 110, ne sono sbarcate 59. «Il lavoro si è dimezzato», si lamenta Cristina Gesuiti, titolare di un ristorante. L'isola vive di turismo, ha paura. Fin dalle prime lu- ci del giorno il malumore presente tra albergatori e ristoratori conduce a alcune proposte: uno sciopero generale, un sit-in davanti a Palazzo Chigi. A rendere anche più esplosiva la situazione è la notizia che la Regione Sicilia non invierà più l'aereo di soccorso fino a due giorni fa a disposizione dell'isola, ma un elicottero. Non è ancora l'ora di pranzo. Il sindaco, Salvatore Martello, insorge: «Questa è l'ultima mazzata per l'isola. Qui non abbiamo un ospedale. L'aereo è fumea garanzia che, in caso di emergenza, in mezz'ora si possa raggiungere Palermo. Se non me lo restituiranno, andrò a consegnare le chiavi della città al presidente della Repubblica Scalfaro e al presidente della Regione Drago. Quanto ai danni al turismo presenteremo il conto a Roma. Paghiamo le tasse: abbiamo il diritto di essere tutelati o rimborsati». Nel pomeriggio giunge un aereo, ma non è quello di soccorso: è un aereo militare, destinato a liberare la caserma dell'esercito dai clandestini giunti nella notte. Non si fa in tempo a caricarne una novantina su un camion e portarli all'aeroporto, che già alla caserma giunge una nuova segnalazione. La invia la corvetta Lavinia, l'imbarcazione della capitaneria di porto posta al limite delle acque territoriali italiane. Una sorta di gozzo è in arrivo: trasporta 91 persone. Sono le 16,50: dal porto di Lampedusa si mette in moto una motovedetta della capitaneria di porto, la 259, comandata dal capo di prima classe Antonio Montinaro. Mezz'ora di navigazione verso Sud, 6 miglia di distanza da Lampedusa, l'imbarcazione tunisina appare alla vista. La motovedetta si avvicina, lo spettacolo è ormai tragicamente consueto: una carretta di 13 metri circa stipata fino all'inverosimile di persone, una donna e 90 uomini, tutti giovanissimi, tra i 20 e i 30 anni. Dalla motovedetta viene lanciata una cima con un'ancora. Nessuno oppone resistenza, anzi i clandestini si lanciano verso la cima, uno di loro rimane ferito a una mano. L'ancora viene agganciata alla prua, ancora alcuni istanti per passare due cartoni di acqua a queste persone che da decine di ore non mangiano né bevono, poi si parte. A metà del rientro al convoglio si aggiunge una seconda motovedetta, la 248, con a bordo il coman- dante della terza squadriglia della capitaneria, Michele Niosi. Alle ore 18,24 l'arrivo al porto di Lampedusa su una banchina stipata di folla. La precauzione non è mai troppa: prima di autorizzare lo sbarco, il comandante Niosi ordina lo sgombero completo dell'area. Sono le 18,45 quando tutti i clandestini sono a terra. Appaiono in buone condizioni. Si sottopongono senza difficoltà alle procedure di rito. Leggermente distaccati, più provati degli altri, sono due ragazzi. Saranno gli ultimi a fornire le proprie generalità. Sono un uomo e l'unica donna nel gruppo: Mohammed Maarufi Gandhur, 25 anni, e Fatma Zhora, 24 anni. Una maglietta, un paio di pantaloni corti e un piccolo zaino in due, rappresentano tutti i loro averi. Raccontano di essere fuggiti da Oujia, un piccolo paese del Marocco ai confini con l'Algeria. «Ci siamo sposati, ma non potevamo più vivere lì: i miei genitori non volevano che diventassi la moglie di Mohammed», spiega Fatma. «Le nostre famiglie sono in lite», aggiunge Mohammed. I due sposi hanno quindi raggiunto con mezzi di fortuna Sfax, sulla costa tunisina, e pagato 1 mUione e 700 mila lire circa a testa per assicurarsi un passaggio sulla carretta. Entrambi si rifiutano di capire che le autorità italiane li rispediranno in Tunisia. La loro speranza è una zia di Fatma, che vive a Milano: «Faremo di tutto per andare da lei», affermano. E' ormai buio quando la banchina del porto è di nuovo sgombra. Non per molto: una nuova imbarcazione è stata avvistata. La giostra degli sbarchi di Lampedusa non smette mai di girare. Flavia Amabile Pioggia di disdette dai turisti Albergatori pronti allo sciopero Il sindaco accusa «Adesso vogliono anche toglierci l'unico aereo»

Persone citate: Antonio Montinaro, Michele Niosi, Niosi, Salvatore Martello, Scalfaro