I miei amici Cesare e Dino

I miei amici Cesare e Dino Enzo Bearzot parla del et che se ne va (vice al Mundial '82) e di quello che arriva (il «suo» portiere) I miei amici Cesare e Dino «Ma in Francia, missione fallita» INTERVISTA IL GRANDE SAGGIO EI SUOI DUE AMATI EREDI E MILANO NZO Bearzot al bivio del cuore: di qua Cesare, di là Dino. Non è facile mantenersi in equilibrio sul filo degli affetti: ci fosse sotto, almeno, la rete della convenienza, il materasso della demagogia. Tanto vale, allora, rispettare il protocollo, e le scelte: Zoff citi al posto di Maldini. «Li considero due fratelli più giovani. Confermo quello che dissi e provai a botta calda, sull'onda degù eventi: un grande dolore, una grande gioia». Cesare ci è rimasto male: prima i processi, poi il voltafaccia di Nizzola. «i processi rientrano nelle regole del gioco, fanno parte del nostro folclore. Sono sincero: presi gli avversari uno per uno, anch'io avrei scommesso sul podio. E' già tanto che, al ritorno, non gli abbiano tirato i pomodori, come successe alla Nazionale vicecampione in Messico. Quanto a Nizzola, perché stupirsi? E' fatto così: pure a me aveva promesso una certa cosa, che mi avrebbe portato in Francia come ambasciatore. Sono ancora qui che aspetto». Missione fallita, dunque. «In un certo senso, sì. Passati in rassegna gli organici, non ce n'era uno che fosse superiore al nostro. Sbaglio, o sono stati i primi Mondiali della storia vinti da una squadra senza attaccanti, la Francia?». La Francia, già. Maledetti rigori. Lei a che partito è iscrìtto: alla loggia cesaroniana del «comunque siamo usciti imbattuti» o alla corrente del «si è giocato per non perdere»? «Non ho mai creduto al fattore campo. Parlo per esperienza diretta: nel '78, battemmo l'Argentina a Buenos Aires. Nello stesso tempo, non è vero che Cesare ab- bia giocato, contro la Francia, per non perdere. Piaccia o no, lui ha sempre giocato così. Difesa e contropiede». C'è difesa e difesa, però. «Primo, io avevo un libero come Scirea. Anche Maldini deve averne sognato uno così. Purtroppo, i tempi sono cambiati. E non per colpa sua. Secondo, ha spesso schierato un'ala e due punte: grasso che cola, in regime di attacchi a una punta. Di questo gli va dato atto. Credo che la sua Nazionale abbia pagato gli alti e bassi del gruppo: alcuni erano toccati dalla grazia, Vieri, Cannavaro, Pagliuca, altri no, Albertini su tutti. E poi, problemi ce ne sono sempre stati: anche nelle altre partite. Ci ha tenuti su il carattere, lo spirito». Da Paolo Rossi a Del Piero: trova corretto averne paragonate le attese? «Non proprio. Rossi veniva da due anni di limbo, era logico che potesse accusare sbalzi di rendimento. Del Piero, viceversa, si era infortunato a un mese dai Mon- (bali. Non faccio un discorso di alternative, che c'erano tanto per l'uno (Altobelli) quanto per l'altro (Roberto Baggio). Ne faccio, semmai, una questione di metodo». Tutti contro il calcio vecchio di Cesare. «Stupidaggini. Luoghi comuni. Il vero calcio vecchio è il calcio moderno. Ma lo sa lei che Nereo Roc- co, colui al quale i saputelli continuano a dare del catenacciaro, schierava Hamrin, Sorniani e Prati più Rivera? Oggi uno come Rivera verrebbe sbattuto a fare il centravanti». Qual è stato, a suo giudizio, il giocatore-simbolo di questi Mondiali? «Cito alla rinfusa. La personalità di Vieri: lo facevo forte e completo, ma non così. L'eleganza di Zidane: vedendolo ondeggiare palla al piede, pensavo a una farfalla. E poi la forza esplosiva di Thuram. Owen, infine. Un ragazzino che è un lenzuolo steso al sole e, grazie a Dio, non puzza di laboratorio e di provette». Il crollo di Ronaldo? «Strano per come è maturato sul piano atletico. Ma largamente prevedibile a livello tattico: il Brasile non poteva impiegarlo con strumenti meno idonei. Ronaldo è una scintilla, una scheg¬ gia: va cercato in profondità, un lancio e via. Viceversa, era tutto un passaggio laterale, un insulso titic e titoc. Prima che dagli avversari, è stato soffocato dai compagni. La prossima volta, Zagallo studi gli schemi di Simoni. Semplici, asciutti, efficaci». Siamo arrivati in fondo: da Maldini a Zoff. «Una persona per bene, come Cesare. Sennò, scusi l'immodestia, mica sarebbero stati con me per tanto tempo... Dino è uno splendido esploratore di se stesso: portiere immenso, campione del mondo a 40 armi, allenatore dell'Olimpica e della Juventus, presidente della Lazio. E' la sintesi - pratica, non solo ideale - di molteplici esperienze. Non ha mai venduto fumo. Saranno i risultati a scandirne la marcia. E i risultati, i fatti, sono sempre stati il suo pane». Roberto Beccantini «Zoff è uno splendido esploratore di sé: non ha mai venduto fumo Saranno i risultati a scandirne la marcia: quello è il suo pane» «Maldini non ha giocato nei quarti per non perdere: il suo calcio è sempre stato tutto difesa e contropiede» e Dino fallita» «Maldini non ha giocato nei quarti per non perdere: il suo calcio è sempre stato tutto difesa e contropiede» Enzo Bearzot considera Maldini e Zoff come due fratelli più giovani A sin. Maldini «Avrebbe avuto bisogno di un libero come era Scirea; e ha pagato gli alti e bassi di certi uomini come Albertini» A des. Zoff: «La sintesi di tante esperienze»