Londra rischia la recessione di Fabio Galvano

Londra rischia la recessione Già in arretramento l'industria manifatturiera e la crescita '99 sarà inferiore all'1% Londra rischia la recessione Cresce la sterlina, export in difficoltà LA STRANA CRISI INGLESE E C/ LONDRA ™ come se gli inglesi avessero imparato a vivere con un male incurabile. Ai primi segnali d'allarme tendevano a nascondere quella parola - recessione - sotto il tappeto, sperando che se ne tornasse fra le pieghe di una storia recente, ai quattro anni - fra il 1989 e il 1992 - quando la Gran Bretagna parve dover pagare il fio della politica thatcheriana. Poi, mentre i segnali s'intensificavano, la temuta parola è comparsa con cautela nei titoli dei giornali, quasi che la si volesse esorcizzare. Ora c'è la resa: la recessione è entrata nel quotidiano. E sebbene in realtà non sia ancora arrivata (se non nell'industria del manufatto), se ne parla ormai come di una quasi-certezza; e semmai se ne valutano la portata e gli effetti, in un impossibile confronto con quella finita sei anni fa. Prima a uscire dalla crisi delle economie europee, la Gran Bretagna sembra destinata a essere la prima anche a ripiombarci. Paradossalmente la sua debolezza sta proprio nella sua forza economica, nella vibrante espansione che nonostante i freni di due governi - pri- ma quello conservatore di John Major, ora quello laborista di Tony Blair - ha ricreato le spinte inflazioniste dei periodi di boom, gettando le premesse di uno scivolone. Si parla, come fa l'«Economist» di un «vecchio ciclo inglese»; come se, appunto, la crisi fosse inevitabile dopo gli anni di vacche grasse. Il mancato funzionamento di quei freni, che nelle intenzioni prima del conservatore Kenneth Clar¬ ice e ora del laborista Gordon Brown avrebbero dovuto segnare la fine di ogni altalena, suggerirebbe che la politica della prudenza non paga. Potrebbe anzi tentare il governo a cambiare direzione. «Una tentazione miope», sentenziano gli economisti. «Non ci lasceremo cogliere dal panico», li ha rassicurati ieri Margaret Beckett, ministro del Commercio, direttamente coinvolta nella vicenda - i 1500 licenziamenti annunciati giovedì dalla Rover - che ha messo a nudo la fragilità dell'industria e dell'economia. L'industria manifatturiera è infatti già in recessione, in quanto ha registrato un calo produttivo per due trimestri consecutivi (l'ultimo del 1997 e il primo del 1998). Se l'economia nazionale è ancora in espansione (ma nel primo trimestre soltanto dello 0,5%, poi ha ulteriormente rallentato) è unicamente per la buona tenuta del terziario. Ma tutte le analisi dicono ormai che, per bene che vada, la crescita del Pil sarà nel 1999 inferiore all'1%: quello che gli inglesi chiamano «un atterraggio morbido», sempre doloroso perché riporterebbe la disoc¬ cupazione al 7%, ma assai meno allarmante di una recessione con tutti i crismi. La netta ripresa degli ultimi anni ha portato a una crescita dei salari che è attualmente del 5,2% (e del 6,2% nel settore privato): un «sereno stabile», in un circolo vizioso difficile da rompere, che ha avuto drammatiche conseguenze sull'inflazione, ormai da mesi attestata attorno al 4% - ifdoppio rispetto ai principali Paesi europei - e sopra il 3% anche se si esclude l'effetto dei mutui casa, comunque ben sopra il 2,5% fissato come obiettivo e rispettato una sola volta da quando il Labour è al potere. Per frenare l'inflazione, raffreddando l'economia, Brown non ha avuto il coraggio - sarebbe stato suicidio politico - di accrescere il prelievo fiscale. Ha deciso che l'unica manovra possibile fosse quella monetaria, per giunta affidandola alla Banca d'Inghilterra; e quella, in un anno, ha ritoccato i tassi all'insù ben sei volte - l'ultima a giugno - portandoli dal 6% al 7,5%, il doppio che in Francia o in Germania. Quei tassi alti scatenano un effetto perverso: richiamano capitali, facendo volare la sterlina. Non è più sopra le 3000 lire, come tre mesi fa, ma poco ci manca (venerdì era sulle 2910). E' sopravvalutata, dicono gli esperti, del 15%. E penalizza l'export. L'industria britannica non è più competitiva. Il caso Rover è il più clamoroso, ma non l'unico. Con l'industria che frena si allarga il disavanzo commerciale (1,9 miliardi di sterline a maggio) e tramonta la fiducia (lo dicono i sondaggi) che come tutti sanno è fra i principali ingredienti di un'economia sana. Anche i settori che tiravano stanno ora rallentando: le vendite al minuto sono diminuite, a giugno, dell'1,1%. Ma in quel circolo vizioso, dovuto alla sterlina troppo forte, si nasconde un altro pericolo; che i costi delle materie prime, contenuti proprio dalla forza della moneta inglese, s'impennino provocando maggiore inflazione non appena la sterlina riassumesse un profilo normale. Non sembra esserci via d'uscita. Per questo, come suggerisce l'«Economist», il governo dovrà avere «nervi d'acciaio». Fabio Galvano IDENTIKIT DELL'ECONOMIA BRITANNICA TASSO DI INTERVENTO 7,50% CRESCITA PIL 3% (variazione annua) PRODUZIONEIND. 0,8% (marzo 98) DIS0CCUPATI 4,8% (% forza lavoro) INFLAZIONE 4,2% (variazione annua) AVANZO PUBBLICO 2% (% del PIL) DEBIT0 PUBBLICO 52,7%

Persone citate: Brown, Gordon Brown, John Major, Kenneth Clar, Margaret Beckett, Tony Blair

Luoghi citati: Francia, Germania, Gran Bretagna, Londra