Vacanze romane a libertà limitata
Vacanze romane a libertà limitata Nella capitale piena come un formicaio è un trionfo di trincee e sensi vietati Vacanze romane a libertà limitata Un'odissea girare nel carcere-opificio del Giubileo E EATI voi, che non siete romani, voi che non avete due corpi diplomatici da evitare, voi che a Roma potete scegliere di venire o di fuggire, molti che arrivano, vecchi, non l'hanno mai vista, italiani intendo, e beati loro. Beati tutti coloro che possono amare o odiare Roma come viene, prenderne le distanze o indossarla come un costume eccessivo, appesantito dalla riscoperta delle leggende, delle favole papali e le diavolesse: solo a Roma ormai ancora si celebra l'epifania di una fattucchiera per concludere in doni le feste natalizie, perché la Befana è più parente di HaUoween che del santo Natale, e Roma con questo caldo spurga i magnetismi di quel che ha nel ventre, catacombe e studi di Cinecittà, cantieri di metropolitana e chiese. Quanto a noi, vedete sulla mappa, siamo qui: hic sunt romani, selvaggi stanziali, ma tuttavia italiani tenuti in stato di libertà vigilata nel carcere-opificio del Giubileo, dei suoi traffici, dei suoi camion, dei suoi divieti. A Roma si è sviluppata in questa calura una vita catacombale di superficie: trincee, sensi vietati e ridotti, o transennati, creano e alimentano l'attitudine romana alla clandestinità. Nessuno, a quanto pare, abbandona la nave: una volta la città si vuotava e noi giovani giornalisti venivamo spediti a comporre il demenziale pezzo sull'esodo per le vacanze, con allegata foto di Cane Solitario, un antico eroe di piazza Venezia. Lo scirocco resta, barocco e scivoloso, vento da cupole. La città è piena come un formicaio, ma a causa della calura il vigile e la vigilessa non flirtano più, sono stazzonati, mollicci come gelati di im freezer con la spina staccata. Giro in macchina, non ho mai usato il motorino per resistere all'ideologia del motorino, alla sua fintoallegra prepotenza paralizzante. Il motorinismo romano è in genere pirateria pura e in questa stagione dei lavori in corso e del tropico, dà d peggio di sé. I motorini hanno la protervia dell'innocenza e tutti insieme sciamano superando ogni riga, ti nidificano davanti, ti parcheggiano addosso. Molti membri di questo popolo vanno a mangiare al nuovo «Planet Hollywood», a pochi metri dal cinema Barberini, dove stando sul colle puoi sentire l'aria di Piccadilly. Sul selciato che circonda la fontana del tritone un delizioso, simpaticissimo matto pieno di campanelli sproloquia aggraziate poesie, danza intorno alla fontana e chiama la gente, è un matto buono e fantasmatico. Vago in macchina perché in macchina puoi sentire la radio e studiare con le cassette: l'inglese l'ho imparato nei leggendari imbottigliamenti del Muro Torto, livello dopo livello. Alla paralisi dei lungoteveri dedicheremo un minaccioso corso di giapponese appena comperato. eregrinando vedo che le osterie romane sono veramente estinte, malgrado la finzione di tutte quelle finte Hostarie con l'acca, sui cui menù non c'è scritto carne ma «la» carne. Non c'è scritto pesce, ma «il» pesce, e così via, per una piaga linguistica e gastronomica che ha devastato e devasta non soltanto Roma, ma l'Italia. La città è stata ormai ridotta nelle condizioni di un malato portato in sala operatoria pronto per un triplo bypass carpiato. Le sue flebo sono i martelli pneumatici, le sue pinze le ruspe, le macchine scavatrici e le ferite sono quelle in cui cadiamo, terrorizzati da mi pullman che ci stritola perché una transenna cerca di resecarlo a lama di coltello. Non è la prima volta, ma la millesima. Altrove si protesterebbe, qui si abbozza. Un mondiale vale un giubileo, che vale una fiera o un congresso, magari una olimpiade, che così ci allarghiamo con gli effetti speciali dei lavori speciali, e guai a chi fiata, guai a chi non sta in riga nel nuovo conformismo dei lavori in corso. Così c'è chi impazzisce sui lungoteveri il cui verso è stato capovolto, ma in un paesag- gio da bombardamento, molto più devastante qui che in qualsiasi altra città. Ciò detto, Roma è in uno stato di grazia che il clima torrido e morboso rende più molle, più profumata dai gelsomini dei cortili di Trastevere c delle terrazze e dai fiori delle ville, dai pini e dalle fontane, sì, d'accordo, è così: Roma trionfa su se stessa se è in grado di svelarsi per una cartolina-bordello in cui ti aspetti la rianimazione di Anita Ekberg o di Anouk Aimée il teatro della dolce vita. Roma d'altra parte, fatte salve pochissime eccezioni, è soltanto il suo centro storico. Poi ci sono i suoi Bronx, affascinanti e malvagi, Ostia con i suoi piccoli mattatoi per bambini e poeti, Ostia con le belle sue case degli Anni Trenta e i casermoni da periferia di Varsavia. E' il centro che conta. Il centro va preso dal cuore di piazza Navona, devastata dalla decomposizio¬ ne di cartomanti, venditori di fumo (in senso proprio), ritrattisti miserabili, adolescenze oblique e lontane che vengono qui a fondersi. Il bar del tartufo al cioccolato, quello degli aperitivi d'inverno, la fontana dei quattro fiumi dai quali si può sempre staccare un pezzo di carne borrominiana. li dietro, via dell'Anima, case di Craxi prima e Berlusconi poi, ma per me il ricordo comune a molti ragazzini della mia generazione, di Maria Viviani, maestra di pianoforte all'ultimo piano di una casa da fantasmi con la più densa quantità di ninnoli, mobili con il segreto, specchi a scomparsa. Si andava in bicicletta in questa parte del centro, anche so Roma per via dei colli, del doppio ordine diplomatico, delle ambulanze in gara con gli autobus, non è città per ciclisti come le città di pianura. Da qui a San Luigi dei Francesi, colonne giapponesi occupano le isole pedonali come se fossero a Guam o a Guadalcanal, e avanzano in plotoni da sbarco. Il traffico non fluisce, si intasa come un lavandino, come uno scarico. Da Fortunato al Pantheon, la mensa nobile dei politici, dei giornalisti al seguito, delle doime nascoste degli stessi politici, e degli stessi giornalisti, si raduna una rete, un ambiente, un mondo che se non fosse quello che è, sarebbe il mondo di uno spionaggio buono per un Le Carré subtropicale, o forse la taverna di Ride a Casablanca, ma solo per dire che lì si conoscono e ti conoscono tutti, si mormorano addosso, si guatano c si salutano. 0 da Cesarina, che però funziona meglio con il lesso invernale e che è dietro via Veneto. Il caffè va preso al Pantheon, in ima delle due, come sempre: o alla Tazza d'Oro, o dal suo nemico più celebrato Sant'Eustachio, sulla piazza adiacente ai Caprettari, dal cui portone usciva all'ora del grande pasto Giovanni Spadolini detto Spadolone. Benché i gelatai abbondino ormai con le loro ingannevoli merci, la gravità della granita e l'arlecchinata di gusti mai uditi, come liquerizia e mandarino, zuppa della nonna, uova di papera nana, mirtillo e more mutanti, il popolo e il senato romano lecca le sue creme agli Uffici del Vicario, dove finché vissero passavano l'estate Jean-Paul Sartre e Simone de Beauvoir. Da lì, passando per il Teatro Valle, la chiesa restaurata ormai da anni, si passa a via Monte della Farina dove sotto la copia della statua di Pompeo fu scannato il sor Giulio Cesare e al teatro dei Satiri, ovvero anch'esso di Pompeo, e da lì, imboccando il piccolo passaggio con la Madonna accesa e la pipì di gatto, si entra in una piazza del Paradiso, e poi Pollarola, insomma a Campo de' Fiori, che in un tempo ormai defunto era la piazza da comizio di quartiere annunciato da un altoparlante su un camioncino sgangherato: «Compagni, questa sera, alle ventunettrenta, or compagno Pizzichetti dola ciggielle parlerà sur tema: teritorio, anziani, legge truffa e fòri da la Nato, pc' n'avvenire mijorc». Adesso il circondario della Roma rinascimentale è tutta una metastasi di paninoteche, molto peggio del vituperato McDonald's. Dietro fioriscono i caffè di via della Pace e del Fico, androni da jazz per notti appena un po' maledette da ascelle escluse dal deodorante per motivi ideologici, ma in ima movida romanesca esaltata dagli odori delle cucine etniche che spargono ovunque sentori di curry, zenzero, f uscus. Paolo Guzzanti In questa stagione di lavori in corso e calura i motorini danno il peggio di sé: irrispettosi di qualsiasi norma, una guida da pirateria pura Eppure Roma vive uno stato di grazia che sembra capace di rianimare il teatro della dolce vita raccontata da Fellini Piazza Navona resta il cuore del centro sia pure invasa da cartomanti venditori di fumo e ritrattisti p pIn questa stagione di lai motorini danno il pegdi qualsiasi norma, una Accanto: piazza Navona, il cuore di Roma. Sotto: Anita Ekberg, l'indimenticata interprete de «La dolce vita» di Fellini Sopra: uno dei cento cantieri aperti nella capitale per il Giubileo. Sotto: Simone de Beauvoir. La scrittrice passava spesso l*estate a Roma, in compagnia di Jean-Paul Sartre
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