La pace fatta dai ragazzi

La pace fatta dai ragazzi Due gruppi di israeliani e palestinesi in vacanza insieme sull'Appennino parmense La pace fatta dai ragazzi Nel gioco le basi per il dialogo LA DIFFICILE STRADA DELLA DISTENSIONE BEDONIA (Parma) DAL NOSTRO INVIATO Vivono a pochi chilometri di distanza, in qualche caso poche centinaia di metri l'uno dall'altro, ma non si erano mai visti prima. Sono venuti da Gerusalemme e dal deserto del Neghev, da Ramallah e da Tel Aviv, dalla Israele «storica» e dai territori occupati, per una vacanza che sa di esperimento. Un esperimento difficile, anche perché i due gruppetti di 14 ragazzi israeliani e palestinesi hanno dovuto far ricorso a una terza lingua, l'inglese, per parlare tra loro. Ma al di là di ogni retorica è stata davvero una prova generale di pace, che ha tenuto sveglie per qualche notte le loro due accompagnatrici, giovanissime anch'esse, una israeliana studentessa universitaria e una palestinese che lavora al ministero della cooperazione dell'Autorità palestinese: entrambe sapevano benissimo che non era una passeggiata, che c'erano molti rischi perché cose del genere sono rarissime persino in Israele. E poi, sulla «innocenza» dei bambini si dicono spesso un mucchio di scemenze. Questi bambini e adolescenti (dagli 8 ai 12 anni) arrivavano a Bedonia, sull'Appennino a 70 chilometri da Parma, con un carico di stereotipi di storia, di idee radicate «respirate» nel loro ambiente e magari di rancori e diffidenze. Come gli adulti, anche se certo un po' meno degli adulti. Con un fardello un po' meno pesante, e con maggiore agilità per potersene in parte liberare. Sono stati ospiti per quindici giorni della «Scuola di sport Barilla», hanno giocato a rugby e a tennis con altre centinaia di ragazzi, hanno dormito nelle stesse camerate e mangiato nella stessa mensa, sono diventati amici, in qualche' caso per la pelle, e l'altro giorno, al momento di ripartire, avevano tutti il classico magone di fine vacanza, e la voglia di rivedersi presto. A farla breve, l'esperimento è riuscito. Anche grazie a un brutto incidente, che è capitato a Bassam, spilungone inagrissimo con i capelli tagliati a zero e colorati di una sfumatura verdastra. Bassam è finito con la bicicletta contro un'automobile, si è rotto un braccio, si è tagliato qui e là in modo superficiale. E proprio a partire da quel momento gli altri 27 hanno capito di essere un gruppo: tutti intorno all'amico ferito, che si è sentito l'eroe della spedizione. E così, quando Yotam, 14 anni, israeliano, capelli rossi e apparecchio per i denti, e Reem, 14 amai, palestinese - lentiggini e apparecchio per i denti -, hanno deciso che si poteva andare anche oltre, mettendo per iscritto il senso dell'esperienza che stavano facendo, di tanti discorsi cominciati e non conclusi, il «gruppo» ha di nuovo reagito bene. Carta, penna e discussioni: ne è nata una dichiarazione, un eptalogo, insomma un impegno solenne in sette punti a «essere eguali», a «rispettarsi a vicenda ed essere consapevoli che esistono anche gli altri», a mettere da parte i conflitti ed essere «pazienti», a essere «comprensivi», a restare «fermi sulle nostre idee ma aperti a quelle degli altri», ad aiutarsi, a cercare sempre e comunque non solo di comunicare ma anche di «convincere la gente della nostra parte che possiamo far crescere la pace». Poi hanno aggiunto: «Noi siamo la prova che si può' fare la pace tra Palestinesi e Israeliani» e hanno firmato, gli israeliani scrivendo in caratteri arabi, i palestinesi in caratteri ebraici. E' stato l'unico momento in cui le loro due lingue si sono mischiate. Perché, come ci racconta l'accompagnatrice palestinese, «da noi nessuno ha davvero voglia di imparare la lingua dell'altro». Qualche esperimento nelle scuole, ma poco di più; il muro della diffidenza resta alto, e una prova è che per costituire i due gruppi di ragazzi gli organizzatori hanno dovuto fissare come condizione una discreta conoscenza dell'inglese. Non che sia un problema, posto che viene insegnato molto presto nelle scuole sia israeliane sia palestinesi: ma certo è un segno molto evidente di quanta strada aspetti questi giovanotti. Yotam e Reem non sembrano preoccuparsene troppo: entrambi vorrebbero studiare negli Stati Uniti poi lei tornerebbe volentieri a Gerusalemme, mentre lui è incerto, non sa. Hanno già girato il mondo, provengono da famiglie cosmopolite, sembrano persino un po' più grandi della loro età. Il padre di Yotam è un attivista di «Peace Now», il movimento israeliano che più spin¬ ge verso gli accordi con gli arabi, e così altre famiglie di provenienza sono, come ci.spiega Idith Seltenleych, l'accompagnatrice degli israeliani, «militanti per la pace». Ma essere riusciti a convincere tutti e organizzare la cosa apparentemente più semplice di questo mondo, una vacanza, è stata invece un'impresa non da poco. «Il Medio Oriente è pazzo si infervora Idith -, tutto diventa cosi pesante. Una volta accettata l'idea di spostarci, di cambiare ambiente, allora è più facile. Questi ragazzi sono arrivati qui con tutto il loro bagaglio di stereotipi, e in pochi giorni hanno scoperto che avevano la stessa cultura, ascoltavano le stesse canzoni, ragionavano allo stesso modo, e che potevano diventare amici». «Ora vorremmo che anche le famiglie facessero altrettanto - aggiunge Iman Nijem - e che non sia stata solo una bella vacanza da ricordare. Si rivedranno, una volta tornati a casa. E i genitori dovranno incontrarsi». Il lavoro è appena cominciato, e riguarda il «Peres Centre for Peace», la fondazione di Shimon Peres, e il Palestinan Institute. Mentre, sempre con la fondazione Peres, la Barilla, che ha ospitato i ragazzi, sta completando la fase sperimentale dell'iniziativa che ha pollato a questa «vacanza»: la coltivazione di grano nel Neghev, il «grano della pace» perché lavoreranno insieme agronomi egiziani, israeliani e palestinesi. L'acqua non manca, viene pompata da mille metri sottoterra. Neanche le braccia mancano. Anzi, a sentire il più piccolo del grappo, nel Neghev non manca proprio niente: «C'è stata anche la neve, l'anno scorso. Poca, ma bella» dice come raccontando una grande emozione. Mentre alle sue spalle un compagno palestinese appena più grande, totalmente disinteressato agli eventi atmosferici, chiede serissimo: «Ci sono novità sui colloqui di pace?» No, non ce ne sono. Anzi, non sono buone. Hanno segnato il passo, almeno rispetto alla pace dei ragazzini. Mario Baudino Arrivati con un bagaglio di prevenzioni hanno scoperto di avere la stessa cultura L'esperimento sarà ripetuto con i genitori A sinistra la protesta di un gruppo di palestinesi a Hebron dopo l'uccisione di tre ragazzi da parte dell'esercito israeliano. Sotto, ragazzi palestinesi e israeliani giocano insieme durante la vacanza sull'Appennino vicino a Parma

Persone citate: Barilla, Bassam, Idith Seltenleych, Iman Nijem, Mario Baudino, Peace, Peres Centre