II Dna dell'America tra violenza e moralità di Aldo Rizzo
II Dna dell'America tra violenza e moralità OSSERVATORIO II Dna dell'America tra violenza e moralità ANDIERE a mezz'asta a Capitol Hill per ricordare i due agenti uccisi dal folle sparatore, che ha agevolmente violato la «security» del Congresso. L'America si è scoperta vulnerabile e ora riflette e medita rimedi, anche se non è certo il primo episodio di malessere di una società che ha nel suo «Dna», accanto ai valori fondamentali della democrazia, la tentazione strisciante della violenza. Sono invece alte come sempre le bandiere della Casa Bianca, la sede suprema del potere esecutivo, ma c'è un forte malessere, sia pur dissimulato, anche nel celebre Ufficio Ovale, dove l'uomo più potente d'America e del mondo è stato raggiunto, per la prima volta nella storia, da un ordine di comparizione in un procedimento penale. Al di qua dell'Oceano, noi europei guardiamo con un certo stupore a entrambi i casi. Che un pistolero mitomane del Montana, già noto a sceriffi e agenti segreti, sia penetrato sparando nei corridoi del Parlamento federale, è un qualcosa che da noi non si è visto. Per non dire di ciò che sta dietro, un Paese in cui circolano oltre 200 milioni di armi private, che ogni anno uccidono, in media, 35 mila cittadini, probabilmente essi stessi armati. Ma è sconcertante anche il fatto che il Presidente degli Stati Uniti, in un momento storico in cui gli Stati Uniti medesimi sono la massima e per tanti aspetti la sola potenza planetaria, sia coinvolto in un pubblico procedimento penale per piccole tresche sessuali. Diciamo il presidente Bill Clinton, che è da poco tornato dalla Cina, dove ha disegnato con Jiang Zemin il futuro dell'Asia, e che forse sta per sovrintendere a un decisivo negoziato di pace o guerra in Medio Oriente, insomma il massimo punto di riferimento di tutte le turbolenze e le speranze del mondo. Quest'uomo potrà passare dall'interrogatorio giudiziario all'«impeachmont» parlamentare per una «storia», certo mediocre e poco commendevole, con un'impiegata della Casa Bianca. In altre parole, abbiamo di fronte un Paese, un «sistema», che da una parte consente un allenamento nazionale alla I violenza, mediante una dif'f'uI sione abnorme di anni priva¬ te, senza adeguati controlli, come dimostra il tragico episodio del Congresso, e che dall'altra si accanisce contro le intemperanze (non necessariamente molestie) sessuali del suo presidente. Va però detto che, a differenza di altre occasioni, non è più tanto la «pruderie» a mettere a repentaglio Clinton quanto il sospetto che egli abbia mentito o indotto a mentire, il che appare intollerabile alla mentalità democratico-puritana. E qui sta il legame con quell'altra e ancor più memorabile vicenda che, sotto il nome di Watergate, portò 24 anni fa alle dimissioni di Richard Nixon. Insomma un Paese violento, che è anche puritano, inflessibile nel giudicare la moralità, soprattutto quella pubblica, dei suoi dirigenti, quali che siano i loro meriti strettamente politici. Ebbene, questa è l'America, frutto di un'ormai lunga storia, in cui ci sono i Padri fondatori, con la loro religione della democrazia, e la «corsa al West», col suo conflitto tra autodifesa e legalità, i proibizionismi estremi e persino ingenui e le prime, moderne organizzazioni della criminalità. Finora è stato impossibile scindere nel «dna» gli aspetti positivi, comunque prevalenti, da quelli negativi o semplicemente discutibili. E comunque vada a finire la vertenza tra Clinton e il procuratore Kenneth Starr, sarà quest'America a dominare o a condizionare in misura decisiva il prossimo secolo, o almeno i suoi primi decenni. Come diceva la canzone, «love me or leave me», amami o lasciami. Ma non saremo certo noi europei, magari piti saggi, anche perché abbiamo più storia, ma tanto più deboli, perché la saggezza o l'esperienza non si è finora tramutata in t'orza, a poter «lasciare» l'America. E poi, in definitiva, siamo più saggi o solo più ipocriti? Aldo Rizzo
Persone citate: Bill Clinton, Clinton, Jiang Zemin, Kenneth Starr, Richard Nixon
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