Segni: il referendum non è solo Di Pietro di Guido Tiberga

Segni: il referendum non è solo Di Pietro Segni: il referendum non è solo Di Pietro INTERVISTA IL LEADER PAT7ISTA ARIO Segni, dalla sua Sardegna, tira fuori una metafora marinara per arginare i malumori che vengono fuori dalle due anime dello schieramento referendario: «Siamo alla vigilia della battaglia di Lepanto - dice il leader pattista -: non posso pretendere che la cristianità diventi una confraternita dove tutti si amano. Però bisogna restare uniti, perché i turchi sono pronti. Anzi, stanno rialzando la testa». I turchi, tanto per capire, sono i partiti, i nemici di Tangentopoli, vecchi e nuovi sostenitori della proporzionale. Onorevole Segni, non le pare che Antonio Di Pietro cerchi di attirare su di sé i riflettori di questo referendum? «Il referendum è di tutti. Restiamo uniti e guardiamo avanti». Questo è uno slogan. Ma non più tardi di sabato, nel fronte referendario ci sono stati degli attriti. Come li spiega? «Tutti gli eserciti litigano prima delle grandi battaglie. Ma le sembra che noi, dopo la grande impresa di sfiorare le 700 mila firmo senza l'appoggio di un solo partito, possiamo dividerci per qualche polemica interna? Non scherziamo, per favore. Glielo ripeto. E' evidente - e i più intelligenti lo hanno capito da tempo - che questo referendum è di tutti i membri del comitato. D'altra parte un referedum è vincente quando può poggiare su uno schieramento ampio, trasversale ed eterogeneo». Lo ha capito anche Di Pietro? «Di Pietro queste cose le sa benissimo, come lo so io. Il problema è un altro: c'è qualcuno che sta cercando di sminuire la portata di questo referendum, identificandolo con Di Pietro. E' un modo per farlo apparire un progetto di parte, quando invece non è così». Chi è questo «qualcuno», onorevole? «Diciamo che c'è una certa stampa che persegue questo obiettivo. Lo ha segnalato Occhetto qualche tempo fa: nessuno dei referendum passati avrebbe vinto se fosse stato identificato con un parte politica. Mi creda, questa è una strategia per colpire il referendum». E' stato Di Pietro, però, a dire che gran parte delle firme è merito suo. 0 no? «Io queste frasi di Di Pietro le ho lette nei titoli dei giornali. Comunque credo che questa corsa al riconoscimento delle firme sia inutile, e anche un po' ridicola. E' stato un successo unitario, cui hanno contribuito tutti: Abete, i giovani imprenditori, persone come Marzotto, Scoppola, Umberto Agnelli. Basterebbe un dato per capirlo: i due terzi dei comitati erano unitari. Le mie figlie sono andate a dei tavoli fianco a fianco con i collaboratori di Di Pietro. Io stesso ho partecipato a raccolte di firme insieme a esponenti di An. Mi rifiuto di fare conteggi. Vuole la verità, piuttosto?». Lei ce l'ha, onorevole? «Gliela dico: questo è davvero un referendum antipartitocratico, segna una svolta epocale: dal bipolarismo al bipartitismo. Se vinciamo, scriveremo la parola fine alle coalizioni rissose che mettono insieme Rifon- dazione comunista e 0 partito popolare. Questo è il referendum che darà all'Italia governabilità, serietà o modernità. Questo è il referendum contro Tangentopoli che rialza la testa». In che senso, scusi? «Non sto parlando di giustizialismo o di garantismo, che non c'entrano nulla. Parlo di politica: i nostalgici di Craxi o di Prandini ci saranno sempre, ma non troveranno mai più posto nella maggioranza che governa il Paese. Quando ci avvicineremo al voto le cose saranno chiare, vedremo chi è contro e chi sostiene Tangentopoli. Chi vuole tornare alla Prima Repubblica sarà contro di noi». Vi aspettate l'appoggio esplicito di qualche forza politica? «Fini sarà dalla nostra parte. E D'A- lema commetterebbe un errore ad esserci contro». E Berlusconi? «Lui è l'emblema della contraddizione. E' nato dal maggioritario e ora vuole tornare al proporzionale. Io credo che a questo punto un ruolo fondamentale lo avranno i 150 parlamentari del Polo che hanno firmato per il referendum. Se Berlusconi insiste, toccherà a loro dare rappresentanza politica a quella fascia di italiani che si definiscono liberaldemocratici». Onorevole Segni, sia sincero: che cosa c'entra lei con Di Pietro? «Siamo molto diversi politicamente e culturalmente, ma entrambi coerenti con il progetto referendario. Lui vuole costruire il partito dell'Ulivo, io lavoro per ima forza unica di centrodestra: un grande partito alla Aznar. Mi sembrano due progetti coerenti, o no?». Sì, ma in questo modo finirete per trovarvi in rotta di collisione. Sbaglio? «E allora? Insieme facciamo il referendum, non un partito». Guido Tiberga «Chi vuole identificare tutto con l'ex pm cerca di farci perdere» «I conteggi delle firme sono ridicoli: questa è la battaglia di tutti»

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