Una vito da pendolare del Cervino

Una vito da pendolare del Cervino Una vito da pendolare del Cervino «Insegno a capire il linguaggio delle montagne» UN attimo, durava soltanto un attimo, ma era il secondo mattino che quel bagliore raggiungeva il rifugio Bionde, dove il Cervino è così vicino da riempire il cielo. Poi il sole rubava ogni luce, anche l'esile freccia bianca che colpiva la finestra più bassa a oriente e che aveva attirato il custode. Il raggio rimbalzava dall'ultimo tornante della strada sassosa sul telaio argenteo di una bicicletta, una mountain bike nuova. La radio del rifugio aveva gracchiato giù a Cervinia: «Ehi, qui c'è una bici da due giorni. Non è di nessuno». Le mani sui fianchi, la camicia scozzese di lanetta, Giuliano guarda con attenzione prima di muovere la bici. Il sole si è mfilato dietro le Grandes Murailles e la «V» profonda della vallata è già viola. Il vento ha pulito l'azzurro. Non c'è una nube e la bici non ha più un granello di polvere. Sotto i pedali un paio di «Nike» bianche e verdi messe forse dieci volte. Sono di un uomo, a giudicare dalla misura, «42». Il manubrio è appoggiato alla scarpata secca e scura da dove penzolano due campanule bluastre. «Si direbbe che ha cominciato a salire di qui, senza passare per il rifugio». Per dove? Verso il Cervino o soltanto fino alla Testa del Leone, mammellone che sembra spingere e piegare il monolito grigio e gigantesco. Giuliano comincia la sua indagine e risale verso i canali della Testa del Leone. Un detective? No, Giuliano Trucco, 54 anni, guida alpina, capo del soccorso valdostano. Conosce tutto come fosse a casa sua, forse meglio. Cammina a memoria e tentando di darsi risposte si sorprende a scivolare sui grumi ghiacciati di una valanga. Eccola, un imbuto enorme alla fine del canalone che vien giù dritto dal «traverso» che lega la Testa alle prime balze del Cervino. Giuliano procede con cautela. E trova su un masso uno di quei mezzi «siluri» di carta e aUuminio che contengono mentucce trasparenti ripiene di una goccia mozzafiato. «Lasciato da poco» si dice a voce alta. Nemmeno venti metri più in alto dalla neve dura come sasso vien fuori una manopola di un bastone da trekking. E ancora, un paio di occhiali da sole. «Mah!, roba da spiaggia». A sinistra un altro bastone, qualche indumento. Tutto travolto, intorcinato e sputato fuori dalla forza di quella cascata di neve. Non c'è nient'altro. Giuliano ritorna alla bici, la gira e rigira finché cade da sotto il sellino un foglio piegato: istruzioni con in cima il timbro di un negozio di Genova. «Speriamo di trovare il proprietario». Un paio di telefonate fanno cadere la speranza, impossibile risalire a chi ha comperato la bici dal telaio argenteo. E i cani da valanga, le squadre di soccorso non hanno trovato nulla di più di quattro mentucce, due bastoni, un paio di occhiali e un indumento di «pile». All'ufficio guide, al soccorso alpi- no, non è mai arrivata una telefonata, mai una segnalazione di un escrrsionista o di un alpinista arrivato a Cervinia in bici e mai più tornato a casa. La mountain bike è da un anno nella caserma della guardia di Finanza del Breuil ed è diventata una storia, una delle tante con le quali Giuliano intrattiene i suoi clienti, anzi «ospiti», come dice lui, nelle serate che precedono o seguono una salita sulle montagne di Cervinia. Non ha segreti, non spara fregnacce, non parla di imprese mirabolanti, a meno che l'«ospite» non esageri con le domande che inseguono i primati altrui: «Quanti 4000 ha scalato? Quanti 8000? Ha fatto il Dru o il Pilone centrale sul Bianco?». Allora Giuliano lascia che un sorriso apra il suo largo viso e risponde secco: «Gli 8000? Non si contano, ma li ho fatti tutti a testa in giù». Su e giù dal Cervino, a volte con fatica, a volte pieno di paura perché inseguito dai fulmini di un temporale «da film dell'orrore», ci è andato 126 volte. Ha 54 anni e due figli, uno, Lucio, è guida e ha già fatto il Cervino più di 50 volte. Racconta di sé soltanto se 1'«ospite» glielo chiede. «Vado in montagna perché mi piace, mi è sempre piaciuto. A cercare me stesso? Se avessi un pensiero così andrei dallo psichiatra, non sul Cervino. So che voglio arrivare lassù e poi ancora e ancora, finché potrò. Mi basta sapere questo. L'ho voluto fin da bambino in Val Maira, dove sono nato. Prima i sentieri, poi fino al lago, quindi quel roccione... E sei fregato, la montagna ti ha preso. Tutto lì». Racconta davanti al fuoco della stufetta e del lume a gas della capanna Carrel, sopra la Testa del Leone. Schiacciati contro quel muro rossastro e grigio, spaccato da grandi fenditure sghembe, avvolti dalla piccola capanna, dormire è difficile pensando a quanto ti aspetta l'indomani, 700 metri di arrampicata dietro alla tua guida. E l'ascolti parlare; sai che divide gli alpinisti tra «quelli con gli scar¬ poni» e «quelli con le scarpette da climbing». La differenza, per lui, è solo l'età. Lo segui mentre dice di «non capire perché ai suoi tempi l'alpinista si vergognava di mettere più di due chiodi per tiro di corda (40 metri), era disonorevole quasi non fosse la vita, il primo valore anche in montagna. Adesso lo sanno, i giovani sanno arrampicare, l'unico neo è che non hanno camminato abbastanza, non riconoscono i segni che ci offre la natura, le tracce di un animale, una nube, il "gusto" dell'aria, il colore della neve o del ghiaccio che sono tanti indizi utilissimi per sfuggire al maltempo o a un incidente. Questo bisogna insegnare alle nuove leve, soprattutto alle guide alpine». Nell'attesa, in quella notte che si fa sempre più piccola per poter tirare al mattino ancora buio e non uscito dal gelo, Giuliano ti racconta di Rosanna, donna robusta, sulla quarantina, pronta come te a quel balzo. Che invece si bloccò davanti alla «Sveglia», la corda fissa proprio sopra la capanna, la prima messa dalle guide per superare con più facilità i piedi difficili del Cervino. «C'erano già venti alpinisti alla corda e io passai via davanti, veloce, di fianco. Le urlai "Adesso può venire", ma lei niente, bloccata. Mi gridava che lei proprio non ce l'avrebbe mai fatta. Non sapevo che fare, ma quei venti cominciarono un tifo da stadio. "Ro-sanna!, Ro-san-na!". Venne su alla grande». Lui lavora anche così. Ma tra te, in vacanza, e lui, al lavoro, c'è poca differenza, ti accomuna la fatica, la gioia di riuscire, la solidarietà della corda che ti tiene stretto a lui e alla vita. Basta un nulla, un piede in fallo, un sasso in bilico... Come quell'aimo che nel «traverso» dalla Testa del Leone al Cervino s'incontrarono due gruppi, una cordata inglese di tre in salita e due polacchi slegati, in discesa. «Uno dei due polacchi passò sulla mezzaluna di neve di sotto agli inglesi fermi per cedergli il passo. Ma uno degli inglesi scivolò sulla neve marcia e travolse il polacco. Sotto c'è un canalone di 300 metri. Il polacco grida, l'inglese lo abbraccia e gli dice "Stai tranquillo, ti tengo io". Ma arrivato alla fine della corda 0 contraccolpo gli fa aprire le braccia e il ragazzo polacco gli sfila via, nel vuoto». Vigilia di brivido per questa salita al Cervino. Ma Giuliano che - dicono - ti racconta barzellette mentre arrampichi per darti più sicurezza, ti cancella il brutto, come fa il vento con le nubi. «E quella mia ospite che voleva arrampicare sulle rocce candide di Cassis, in Costa Azzurra? Dove si allenava il grandissimo Gaston Rébuffat. Laggiù c'è un mare blu da urlo che s'insinua fra rocce strette e bianche fino a una spiaggetta, che so?, profonda 15 metri, non di più. E di lì van su come sigari diedri e piloni. Bellissimo. Bene, un mio collega e io arriviamo lì con la nostra ospite e facciamo come matti mi pilone dietro l'altro, quasi tutti uguali. Andiamo su come gatti e poi ci caliamo a corda doppia sulla spiaggia. E via così. La signora ci domanda "Scusate, ma che fate? Non possiamo andare più in là?". Certo, le ho risposto, ma più in là non ci sono queste ragazze nudiste». Mare e montagna, la teoria degli estremi che si toccano. Il lume tremola, il gas se ne sta andando, la mezzanotte è vicina. Adesso basta, si deve riposare altrimenti le gambe cedono. La mattina siamo lì alla corda della «Sveglia», con il naso che sfiora la roccia. Brividi; e siamo appena ai primi passi. Non c'è nessuno, Rosanna aveva avuto più fortuna. Enrico Martine! Un alpinista durante un'arrampicata Sopra, Guliano Trucco: 54 anni, guida ||§|v alpina, capo del soccorso valdostano "Stai tranquillo, ti tengo io". Ma arrivato alla fine della corda 0 contraccolpo gli fa aprire le braccia e il ragazzo polacco gli sfila via, nel vuoto». Vigilia di brivido per questa salita al Cervino. Ma Giuliano che - dicono - ti racconta barzellette mentre arrampichi per darti più sicurezza, ti cancella il brutto, come fa il vento con le nubi. «E quella mia ospite che voleva arrampicare sulle rocce candide di Cassis, in Costa Azzurra? Dove si allenava il grandissimo Gaston Rébuffat. Laggiù c'è un mare blu da urlo che s'insinua fra rocce strette e bianche fino a una spiaggetta, che so?, profonda 15 metri, non di più. E di lì van su come sigari diedri e piloni. Bellissimo. Bene, un mio collega e io arriviamo lì con la nostra ospite e facciamo come matti mi pilone dietro l'altro, quasi tutti uguali. Andiamo su come gatti e poi ci caliamo a corda doppia sulla spiaggia. E via così. La signora ci domanda "Scusate, ma che fate? Non possiamo andare più in là?". Certo, le ho risposto, ma più in là non ci sono queste ragazze nudiste». Mare e montagna, la teoria degli estremi che si toccano. Il lume tremola, il gas se ne sta andando, la mezzanotte è vicina. Adesso basta, si deve riposare altrimenti le gambe cedono. La mattina siamo lì alla corda della «Sveglia», con il naso che sfiora la roccia. Brividi; e siamo appena ai primi passi. Non c'è nessuno, Rosanna aveva avuto più fortuna. Enrico Martine! Un alpinista durante un'arrampicata Sopra, Guliano Trucco: 54 anni, guida alpina, capo del soccorso valdostano

Persone citate: Carrel, Enrico Martine, Giuliano Trucco, Guliano, Maira

Luoghi citati: Breuil, Genova