«Tutti i peccati dei Presidenti» di Andrea Di Robilant

«Tutti i peccati dei Presidenti» LA SIGNORA DEL WASHINGTON POST «Tutti i peccati dei Presidenti» La Graham: vecchi e nuovi Watergate UWASHINGTON NA volta queste cose non sarebbero certo finite sul mio giornale. Ma i tempi sono cambiati, e oggi è giusto indagare a fondo su queste illazioni - anche se le trovo di pessimo gusto. La verità è che tutta questa vicenda mi fa orrore». Katharine Graham, l'anziana padrona del Washington Post, la donna che passò alla storia per aver fatto cadere Richard Nixon un quarto di secolo fa, è ormai abbastanza rimossa dalla gestione quotidiana del suo giornale da poter scrivere un libro di memorie che proprio quest'anno le è valso il Premio Pulitzer. Ha passato le redini di editore a suo figlio maggiore, Donald Graham. Ma dal suo ufficio all'ottavo piano del Washington Post continua a tener d'occhio la scena. E reagisce con fastidio ai paragoni che la vicenda Lewinsky provoca nella capitale. Si parla di «impeachment», di Nixon, di Watergate, e il volto della signora Graham s'increspa in una smorfia. «Ormai la gente vede uno scandalo alla Casa Bianca e dice "Watergate", ma Watergate era una cosa diversa...», dice un po' scocciata. Come per sottolineare che le sue battaglie furono d'altra portata, che questo scandalo Lewinsky, questo intruglio di pettegolezzi salaci, sarebbe stato impensabile ai suoi tempi. Ma subito si riprende. L'espressione di disgusto scompare. «Il lavoro che stiamo facendo è necessario», insiste. «Dobbiamo arrivare alla verità». Molti europei scuotono la testa e si chiedono se tutto questo sia davvero necessario... «Gli europei non capiscono. Dicono: "Oh mamma mia, siamo alle solite. Si tratta solo di qualche peccatuccio sessuale. Perché gli americani si preoccupano tanto?". Ma la questione è un'altra». E cioè? «E' vero o no che il Presidente ha mentito? E' vero o no che poi ha cercato di nascondere le sue tracce? Queste sono le cose che dob biamo accertare. E sono cose sono importanti. Anche se a me, ripeto, la materia in questione non interessa più di tanto». Allora pensa che i giornali stiano esagerando, che si sia no spinti oltre il limite della decenza? «No, questo non lo penso. So che l'opinione pubblica è insoddisfatta, che molti americani dicono: "Non vogliamo sapere queste cose". Ma dobbiamo continuare a fare il nostro lavoro. Anche se alcune critiche, devo dire, le capi¬ sco». Per esempio? «Spesso ci accusano di aver preso l'andazzo dei tabloid, di essere interessati in maniera smodata a notizie stuzzicanti di natura sessuale. E forse hanno ragione. Ma la colpa non è tutta nostra: i tem¬ pi sono molto cambiati». In che senso? «Ho vissuto tutta la mia vita in questa città. Una volta c'era molta più convivialità. Ci si vedeva tutti insieme. Giornalisti, politici, democratici, repubblicani. E il clima era molto tollerante». Insomma, niente scandali sessuali? «Molte cose non finivano sui giornali. C'era maggior rispetto per la vita privata della gente, maggior discrezione. Se per esempio un senatore alzava il gomito e tutti noi lo sapevamo non è che poi lo scrivevamo sui giornali. Alcune cose si sapevano ma non si dicevano». E poi cos'è successo? «Il potere dei media è senz'altro cresciuto nei confronti del potere politico. Ed è cresciuta anche la tendenza dei media a criticare il governo. Anzi, forse è cresciuta troppo... Ma non è solo questo: il fatto è che tutto il clima politico è cambiato». In che modo? ((Anno dopo anno uno spirito di partigianeria si è insinuato nella città. Una volta democratici e repubblicani si vedevano tra di loro nelle case private, nei salotti. Oggi non più. Ognuno se ne sta sul proprio steccato. Ed è un peccato perché era un modo di smussare i problemi, di trovare soluzioni a contenziosi che parevano intrattabili». Insomma, i celebri salotti di Washington avevano una loro funzione politica... «Diciamo che le cene che davamo erano utili. C'era sempre stata, in città, anche prima dei tempi di mia madre, una mezza dozzina di signore che intratteneva in un certo modo. Suppongo che anch'io sono stata tra queste per un certo numero di anni. Ma quel mondo lì non c'è più. Io stessa non dò più cene come una volta». Come mai? «Intanto perché sono troppo vecchia - ho compiuto 81 anni. E poi perché ormai non lavoro quasi più, e quelle cene erano innanzitutto occasioni di lavoro per ine. Ma è la vita in città che è cambiata. La gente si ritrova insieme sempre di meno. I politici non si conoscono tra di loro. E hanno meno tempo a disposizione per la vita sociale. Adesso i congressmen rimangono a votare al Senato o alla Camera fino a tarda sera. Bisogna avere case grandi e accoglienti per convincerli a venire, e ormai sono in pochi ad averle». I Clinton li vede? «Non molto spesso. Non li conoscevo quando sono arrivati in città. Non credo che amino molto i giornalisti, ma i nostri rapporti sono assolutamente corretti. Certo, non siamo intimi - anche per un fatto generazionale. Con i Johnson ero amica, per esempio. Con i Reagan pure. I Clinton hanno il loro giro di amici. Ma li vedo d'estate», dice la signora Graham illuminandosi improvvisamente. «Certo, li vedo quando vengono su a Martha's Vineyard. Abbiamo amici in comune: Vernon Jordan e sua moglie». Andrea di Robilant «Negli Anni 70 non ci saremmo occupati di storie di letto Ma adesso in politica c'è più ostilità, e ogni vicenda si trasforma in scontro»

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