«I corridori come i mafiosi» di Guido Tiberga

«I corridori come i mafiosi» IL MEDICO ANTI-DOPING «I corridori come i mafiosi» // professor Dal Monte: ma con l'epo si muore OMERTÀ'. Non è una parola leggera quella con cui Antonio Dal Monte definisce l'atteggiamento dei ciclisti. I corridori che non volevano partire da Tarascona in segno di ribellione contro poliziotti, magistrati e giornalisti che li «trattano da delinquenti» si comportano come i mafiosi? «Come i malavitosi organizzati», conferma il professore, che da anni lotta contro il doping nelle commissioni del Comitato olimpico internazionale e della Iaaf, la federazione mondiale dell'atletica leggera: «Protestano. Si coprono l'un l'altro. Sfruttano questo clima di nuovo maccartismo per difendere un sistema che scricchiola ogni giorno di più. Dovrebbero parlare, invece di comportarsi come i malavitosi organizzati. Far cadere delle teste, magari coronate. Lo svizzero Meier dice che si è sgravato la coscienza. Bene, che se la sgravino tutti, allora...». Professore, i ciclisti rivendicano il diritto al loro mestiere. Dove sbagliano? «Guardi che l'antidoping non è mica nato per fare del male ai poveri ciclisti...». I corridori del Tour sembrano pensarla diversamente. Perché? «Perché ai corridori, come a tutti gli atleti, non gliene importa niente della salute. Faccio questo mestiere da armi ed è sempre stato così: prima i risultati, poi la sicurezza. Se resta tempo. Mi creda, ho pagato di persona la reazione di molti atleti contro chi lavora a favore della loro palle. Quando facevo parte della commissione medi- ca internazionale del ciclismo mi sono battuto per l'introduzione del casco obbligatorio. Ci sono state sollevazioni di popolo, minacce di sciopero. "Teneva caldo", dicevano. C'è voluta la morte di un loro collega, il povero Fabio Casartelli, perché cambiassero idea. Adesso, almeno in discesa, il casco lo portano quasi tutti». Gli atleti dicono che non è possibile fare gli sforzi cui sono chiamati pasteggiando a Itane e vitamine. Sbagliano oro, ha sbagliato chi ha trasformato lo sport in uno show-business? «Le racconterò un aneddoto: una volta abbiamo sottoposto a un controllo un vecchietto che aveva appena vinto una garetta per veterani. Era dopato, pieno di medicinali come un uovo. Non metto in dubbio che i professionisti possano essere mossi anche dai quattrini, ma quello che sta alla base di tutto è la voglia di vincere». Messa così sembra una battaglia perduta. La voglia di vincere è l'essenza stessa dello sport. O no? «L'ho detto spesso: immagini che San Marino dichiari guerra agli Stati Uniti. Le nostre speranze di vittoria sono le stesse. Finché non cambia la mentalità, almeno». Professore, il doping di oggi non è più quello artigianale di una volta. E' controllato dai medici, questo non dovrebbe limitare - se non le responsabilità morali - almeno i rischi per la salute? <do credo invece che questi medici dovrebbero subire pene durissime, molto più pesanti di quelle degli atleti. Il compito di un farmacologo è uno solo: far guarire gli ammalati. Far vincere le corse ai ciclisti non c'entra nulla con la medicina. Non dimentichiamo che i prodotti proibiti - a partire dall'Epo, l'eritopoietina che aiuta il trasporto di ossigeno - sono fatti per aiutare persone dal sangue malato. Eppure una recente statistica ha dimostrato che solo il 7 per cento del mercato mondiale dell'Epo viene usato per scopi clinici. Le lascio immaginare dove finisce il restante 93 per cento...». Se la prendo io, l'Epo, divento un fenomeno? «Non scherzi. Vuole sapere che cosa può succedere a un corridore sano che fa uso di questa sostanza? Il sangue è un fluido con una presenza costante di solidi e liquidi. Sotto sforzo l'epo porta più ossigeno ai muscoli, ma quando l'atleta si ferma il suo sangue diventa una specie di bitume densissimo. E si rischiano le trombosi». Sia più chiaro. Si può morire? «Non sempre le trombosi riguardano i vasi periferici. Non tutti sono così fortunati». Una ventina di anni fa andava di meda l'autoemotrasfusione. Anche lì si parlava di sangue più ricco di ossigeno. Eppure sono trascorsi anni prima che i regolamenti vietassero quella pratica. Di cui, peraltro, si sono avvantaggiati molti atleti italiani. Professor Dal Monte, dov'è la differenza con l'epo? «Gliela spiego con un esempio: è la stessa che esiste tra una catapulta e un bazooka dell'ultima generazione». Guido Tiberga «Il sangue diventa più denso del bitume E allora si rischia una trombosi letale» «I farmaci servono per curare i malati Certi dottori vanno puniti pesantemente» Il professor Antonio Dal Monte membro delle commissioni antidoping del Ciò e della Iaaf la federazione mondiale di atletica

Persone citate: Antonio Dal Monte, Fabio Casartelli, Meier

Luoghi citati: San Marino, Stati Uniti