Jalabert, leader dell'omertà

Jalabert, leader dell'omertà BOCCHE CUCITE FRA I TECNICI Jalabert, leader dell'omertà «Non cercate gli scoop, parlate della corsa» LE CAP D'AGDE I L mondo del ciclismo è qui, 9 è il Tour. Il Tour lo contiene e gli dà linfa. O, almeno, gliela dava. Laurent Jalabert è, di questo mondo, un illustre esponente, un faro, un esempio. Ora, nessuno pretende che un corridore sia munito d'una acuta sensibilità extra pedalatoria, ma un Jalabert, il fuoriclasse Jalabert, che dice: «La colpa di ciò che sta avvenendo è dei giornali e delle tv perché invece di occuparsi della gara si occupano di doping» è un capolavoro di faccia tosta. Jalabert gradirebbe, per i comodi propri e dei suoi colleghi, che gii organi di informazione rivolgessero le loro attenzioni esclusivamente a quanto succede sul Tourmalet e il Peyresourde. E se là in cima ci arriva anche la Tvm nel cui albergo la polizia ha trovato prodotti dopanti e mascheranti, a voi che ve ne importa? Sono fatti della Tvm e rivelarli rovina la salute del ciclismo. Jalabert non ha capito, la maggioranza dei corridori non ha capito o stenta a capire che i tempi dell'imbroglio, del chi se ne frega, dei direttori sportivi e dei medici sedicenti assi di furbizia sono finiti e che la polizia e la magistratura ordinaria hanno preso il posto d'una federazione internazionale sin qui interessatissima ai rinnovi delle cariche e molto attenta a non agitare le acque sapendo quanta melma contengano. Non hanno capito, o stentano a capire, capitani e truppa che il rischio di perdere il posto di lavoro sta correndo molto più rapido delle loro biciclette e perfino la tremula Uci sarà costretta a prendere il randello. C'è un campione del mondo in maglia Festina, Laurent Brochard, che ammette davanti agli inquirenti di Lione d'aver fatto uso di sostanze dopanti: l'Uci gli tolga quell'insegna iridata, se risulterà che Brochard ha cominciato a barare prima del 1997, anno della sua vittoria. Si muova, faccia qualcosa. La Iaaf, federazione internazionale dell'atletica, strappò la medaglia d'oro dei Mondiali di Roma '87 a Ben Johnson perché alla polizia canadese, che lo attendeva per interrogarlo dopo le Olimpiadi dell'88 (positivo alle analisi), confessò d'essersi «aiutato» con gli anabolizzanti già prima di Seul. Il mondo del ciclismo comprende gli organizzatori dei circuiti e delle kermesse del dopo Tour: una redditizia serie di competizioni acchiappacitrulli. Quegli organizzatori, in Francia, in Belgio, in Germania, stanno rescindendo i contratti, non desiderano sporcizia sulle loro strade. E i corridori, terminato il suo discorsetto Jalabert spalleggiato da Leblanc, decidono il silenzio stampa dal quale prende il largo per qualche minuto Pantani, il quale nel mondo del ciclismo veste i pan ni del grimpeur egemone, panni di gala. Pantani rilascia dichiarazioni che non si scostano, purtroppo, da quelle di Jalabert: «Io fatico dalla mattina alla sera, tutti fatichiamo, e di che cosa si discute? D'altro. Abbiamo fatto capire che ci siamo anche noi, eppure la corsa è un fantasma. La gente è sulle strade perché vuole il ciclismo. Non ci starebbe se non ci fossimo noi. E' ingiusto che stampa e televisione s'aggrappino soltanto al doping, sempre al doping, immancabilmente al doping. Mi chiedo se valga la pena continuare questo Tour, se non sia più facile fare la valigia e tornarsene a casa». Il danese Rijs, ufficiale della Telekom di Ullrich, è un altro che s'impenna: «Intervengo solo per avvertire che qui sono tutti pazzi. La direzione della corsa deve tutelarci, altrimenti chiudiamo, e il Tour se lo corrano loro». E nel club dei direttori spor- tivi, un club di comando nell'universo ciclistico, come si reagisce? «Già chiacchiero poco di natura - dice Martinelli, lo stratega della Mercatone Uno pantaniana - figuriamoci adesso. Noi direttori sportivi siamo d'accordo: bocca cucita. Ma certo non mi diverto. Intendiamoci, non sto zitto per difendere un Roussel». E poi il pianeta dei gregari che tengono stretto lo stipendio, la terra del soldato semplice dell'Asics Roscioli il cui commento pigola così: «Chi parla è un cretino». Riunirsi intorno a un tavolo, affrontare i problemi, imboccare una nuova strada, dare il via alla ripulitura delle proprie file e salvare così quel poco che rimane da salvare? Neanche per sogno. Le massime firme del pedale si ritengono offese, col¬ pite a tradimento, sono sdegna te. Non c'è nel gruppo un Ber nard Hinault, un Moser in grado di prendere per il petto i colleghi e urlare loro: da ora in avanti il primo che esce dai binari fa dietro-front a pedate nel sedere. Manca un capo, un corridore che salga sul palco e imponga una regola. Ognuno pensa a nascondere, a truccare, se ne infischia delle conseguenze. Finirò su una sedia a rotelle? ha detto una volta un ragazzo che sembrava davvero un bravo, assennato ragazzo -. Pazienza, ma prima voglio vincere il Tour». E magari fosse per vincere. Si awelanano per un quarto, quinto posto di cui nessuno si ricorderà. Ha ragione Pantani: non ci sarebbe folla senza corridori. Ma per quanto ancora la folla del Tour crederà alle favole? Gianni Ranieri

Luoghi citati: Belgio, Francia, Germania, Lione, Roma