Cossutta: Fausto, un utopista

Cossutta: Fausto, un utopista INTERVISTA li. «VECCHIO» COMUNISTA Il presidente di Rifondazione critico con il segretario, ma anche con D'Alema: no al governo delle larghe intese Cossutta: Fausto, un utopista «Tra noi non contrasti, ma differenze» OROMA UALCHE volta penso che, alla mia età, dovrei riposarmi. Ma non posso. Devo tenere assieme tutte le anime di Rifondazione. E soffro, la politica per me è passione. Solo altri, quelli che la considerano un gioco, non soffrono». Lo stato d'animo di Armando Cossutta, confidato con lo sguardo fisso sul finestrino, mentre fuori il panorama corre come il treno che porta a La Spezia, era questo, alla vigilia del voto di fiducia. Cossutta non nomina mai Bertinotti: lo chiama «il segretario». I due non si colloquiano, da tempo. Se si insiste, tutto quello che dice il vecchio comunista è «il segretario è una persona splendida, entusiasta e pieno di utopie». E lei, presidente? «No, io no. Io non ho utopie: ho ideali. E' una cosa completamente diversa». Ma che cosa succede dentro Rifondazione? Nei giorni della verifica s'è sentito di tutto: Bertinotti e Cossutta vanno alla conta, si dividono, Cossutta sta con Prodi, Bertinotti vuole andare all'opposizione.... «Le differenze, che esprimono la natura stessa di Rifondazione, sono venute alla luce». Nella forma di contrasti tra lei e Bertinotti? «Tra me e il segretario esiste reciproco rispetto. Non ci sono contrasti ma differenze, per esempio sulla diversa concezione del ruolo di Rifondazione. Io lavoro per costruire un partito politico: Rifondazione non è una formazione socio-culturale, un gruppo di pressione o di propaganda, una presenza testimoniale. Lavoro per costruire un partito di massa, un partito che lotta, che incide, che ottiene. Un partito libero da ogni antico retaggio minoritario, e da ogni velleitaria illusione che una collocazione solitaria, e per altro elettoralmente limitata qual è la nostra, possa di per sé essere propulsiva per raggiungere dei risultati». Ma tra voi ci sono dissidi sul rapporto con il governo. «Le differenze non riguardano se andare al governo o all'opposizione. In questo c'è accordo in tutto il gruppo dirigente: noi non possiamo andare al governo perché non ve ne sono le condizioni né oggettive, né soggettive. Ovvero, D'Alema non è Jospin, e nel governo francese di sinistra non ci sono moderati alla Ciampi o alla Dini. Né il segretario e io siamo divisi sulla questione dell'andare all'opposizione, perché Rifondazione è nata e cresciuta come forza di opposizione: siamo e dobbiamo rimanere una formazione alternativa, antagonista». «csndtmrtpaclagesoc^st« E allora? «Le sensibilità, le impostazioni culturah diverse si sono manifestate nella crisi di ottobre. Lì hanno trovato il loro momento acuto di espressione. Ma abbiamo saputo risolvere allora la crisi con fermezza e con saggezza. E considero la chiusura di questa fase politica altrettanto soddisfacente, proprio perché anche questa volta abbiamo ottenuto risultati significativi, e siamo riusciti ad evitare la crisi di governo, con conseguenti, inevitabili e disastrose elezioni anticipate: la divisione a sinistra avrebbe reso impossibile ogni accordo di desistenza, e c^iindi avrebbero trionfato le destre. La svolta ancora non c'è stata, ma neppure la crisi». Che tuttavia si può ripresentare a breve, sul Kosovo. «Anzitutto, c'è da augurarsi che questo non accada. In secondo luogo, il governo sa che su tali questioni di politica internazionale vi è un dissenso che non è risolvibile. La nostra differenza va rispettata». Rivolge a Prodi le stesse parole che ha detto a Bertinotti: le differenze non si superano, si rispettano? «Nell'Ulivo, occorre che si rendano conto che il loro programma non è il nostro, e che della maggioranza noi siamo parte determinante. Dunque occorre f trovare l'intesa: noi siamo riusciti a determinarla in questi due anni, e dobbiamo andare avanti. Dobbiamo spingere il governo a una politica di rinnovamento. Per questo abbiamo dato ima fiducia critica». E con il partito? «Rifondazione non è solo un pezzo del vecchio pei, ma nasce come insieme di forze diverse, che sentono la necessità non solo testimoniale di essere forze antagoniste. Si tratta di costruire dei risultati, non solo di denunziare ingiustizie e mancanze. Questa è la grande sfida. E non mi si ricordi che l'Unione Sovietica non c'è più, caduta sotto il peso dei propri errori, che non c'è più il comunismo: anzi, oggi che il capitalismo non ha più nemici di quella portata, manifesta ancora di più i propri limiti e le proprie contraddizioni, che non possono essere superate se non con una continua battaglia di trasformazione». Lei sembra Bertinotti: tenere sotto scacco il governo, è questo il progetto? «Non diciamo sciocchezze. Quello che abbiamo ottenuto in questi due anni, aver evitato il taglio delle pensioni, il massacro dello Stato sociale a partire dalla Sanità, il disegno di legge sulle 35 ore, tutto questo è stato possibile perché siamo stati determinati, e soprattutto perché siamo determinanti in questa maggioranza. Forse abbiamo ottenuto poco, ma da soli non avremmo ottenuto nulla. E nulla si ottiene con operazioni di Palazzo o di vertice». Si riferisce alle «geometrìe variabili» nella maggioranza, all'ipotetico accordo tra Bertinotti e D'Alema, contro Prodi e Veltroni? «Ma che vuol dire questo? Io le stavo spiegando che quello che si può ottenere al vertice delle istituzioni è sempre conseguenza di quello che si determina nella società. E tanto più in una società come la nostra, dove c'è un disagio fortissimo, e non c'è ancora un vero e proprio movimento. Guardi quel che succede: i sindacati minacciano lo sciopero generale, ma non lo fanno, non fanno quello che dovrebbero». I sindacati criticano i provvedimenti predisposti dal governo su vostra richiesta... «Certo. Perché il sindacato sente, e guai se non fosse così, il morso sempre più acre del disagio sociale. Lo sente e non potrà sottrarsi. Il sindacato ha perso spazio, e tra i lavoratori e la povera gente si dice «meno male che c'è Rifondazione, che sa fare meglio della Cgil». Esiste la possibilità che Rifondazione si sfili dalla maggioranza in autunno, quando non saranno possibili le elezioni? «Le elezioni ci sarebbero comunque, dopo, e rappresenterebbero un passo indietro. Lo so cosa vuole lei da me: che io le faccia degli scenari. Ecco, potrebbe nascere un governo Prodi senza i voti di Rifondazione, ma con quelli dell'Udr: non so se è un'ipotesi realistica, ma è chiaro che la politica di governo in quel caso non sarebbe certo di rinnovamento, e tutti gli impegni per il lavoro, per le 35 ore assunti in quest'ultima fase, finirebbero in alto mare. Ci potrebbe essere altrimenti un governo tecnico, e a capo del governo un Ciampi, un Dini, un Maccanico, un Monti. In questo caso non ci sarebbero più neanche le speranze, sul piano economico-sociale, neppure quelle che dà il governo Prodi. Un governo tecnico è un governo politicamente allo sban¬ do. E poi c'è l'ipotesi più insidiosa: il governo di larghe intese. E vedo qui un disegno dell'onorevole D'Alema. Un disegno che non escludo affatto, ma che combatterò tenacemente». Com'è noto, lei ama D'Alema meno di Bertinotti... «D'Alema assumerebbe la presidenza del Consiglio per rilanciare il mai abbandonato intento di un accordo per le riforme, e di una politica che egli chiama «di pacificazione» con le destre. D'Alema vorrebbe tornare sulla scena come «salvatore della patria». Non ci riuscirà. E comunque noi, noi comunisti e non rivoluzionari da salotto, non siamo disposti a «restare alla finestra per goderci lo spettacolo», come ha detto Niki Vendola all' Unità. Antonella Rampino «Alla mia età dovrei riposarmi ma devo tenere assieme tutte le anime del partito» «Ma siamo tutti d'accordo a non entrare nell'esecutivo perché non vi sono le condizioni» Cossut«Tra noi qluqlevsp«nnfqdgmim«zin sta nze» icano i provsposti dal go richiesta... ndacato sente, così, il morso

Luoghi citati: Kosovo, La Spezia, Unione Sovietica