«Per anni papà abusò di me»

«Per anni papà abusò di me» «Per anni papà abusò di me» Nelle denunce una storia di infamie in famiglia RETROSCENA I VERBALI DIMENTICATI CROMA I sono le voci dei fiumaroli, che finalmente hanno preso coraggio. Ci sono le parole delle assistenti sociali che dovevano stargli alle costole. C'è soprattutto la riapertura di dimenticati archivi dove «dormivano» denunce molto precise. Alla fine è mi quadro agghiacciante quello che emerge attorno al signor Vincenzo F., pescatore di 59 anni, padre di nove figli, origini sarde, chiuso da 48 ore in cella con l'infamante accusa di omicidio volontario ai danni di un bimbo di otto anni. «Mio padre abucava di me. L'ha fatto a ripetizione da anni». Non conosceva giri di parole, la figlia maggiore di Vincenzo. Aveva quattordici anni, forse neanche compiuti, quando registrò questa denuncia davanti al giudice minorile. Una ragazzina sveglia e coraggiosa, dicono. Era stata chiamata a parlare in un palazzo ben diverso da quella topaia dove viveva, una baracca all'idroscalo di Ostia. Il giudice minorile magari le incuteva timore. E poi l'argomento era di quelli terribili. Un fratellino aveva denunciato gli abusi sessuali del padre. Un altro c'era andato giù pesante. «Sono stato violentato sin dall'età di sette anni. Mio padre ci provava con tutti noi». Ma poi questa denuncia era stata ritrattata. E toccava alla sorellina confermare o definitivamente smentire. Lei confermò. «A ripetizione». Parole di un freddo verbale giudiziario del 1989. La ragazzina, il fratellino, e al¬ tre due sorelle, furono immediatamente ricoverate in un istituto di religiosi. Ma al padre non accadde niente. Quel provvedimento penale, come altri due che iniziarono negli anni seguenti, furono regolarmemte archiviati. «La famiglia di Vincenzo F. è stata mantenuta sotto osservazione per dieci anni, ma non sono mai emersi riscontri oggettivi», è scritto in una nota ufficiale del tribunale dei minori. E già dilagano le polemiche su come sia possibile, alle soglie del Duemila, a qualche chilometro dal centro di Roma, che possa accadere quanto è accaduto. Ma tant'è. La vita di Vincenzo e Bruna, e degli ultimi due figli che vivevano con loro, adesso oscillava tra le reti per la pesca sul Tevere, l'orticello ricavato su un'isola fangosa, la casa occupata nel complesso di via Capo delle armi. «Era gente chiassosa che si faceva sentire, ma non posso pensare che siano arrivati a tanto», dice uno dei fiumaroli che li conosceva bene. Un'altra voce di fiume: «Quelli bevono tutti. Padre, madre e figlio maggiore. Non una volta sola si sono dati botte da orbi». Un altro ancora: «Racimolavano soldi chiedendo l'elemosina alla parrocchia della Ma- donnetta, a Isola Sacra. Ma i soldi si trasformavano in casse di vino o di birra». Lui, Vincenzo, incalzato dalle domande dei magistrati Pietro Saviotti e Simonetta Matone, s'è presentato in veste dimessa. Quasi intimidita. «Sono un bravo padre di famiglia. Ho tirato su nove figli con sacrifici immensi». E le denunce? E gli abusi? Vincenzo: «Ma quando mai. Sono un padre modello. Le mie figlie mi hanno accusato perché volevano fare di testa loro». Guarda caso, le stesse identiche parole della moglie Bruna nel corso dell'interrogatorio dell'altra sera. Forse sono discorsi che moglie e marito hanno portato avanti così tante volte, che ormai sono frasi fatte. E d'altra parte, come dimenticarsi la cantilena di Bruna, con i giornalisti, lunedì pomeriggio, mentre ancora non si capiva niente e suo figlio undicenne era un testimone come tanti: «La mamma di Simeone sbagliava. Gli lasciava troppa libertà. I miei figli li ho tirati su in modo diverso. Li controllavo bene». Ecco, questa è la signora Bruna. Apparentemente una persona perbene, modesta, di poche parole, con qualche congiuntivo al posto sbagliato, sincera. Apparentemente. E il marito? Apparentemente gentile, attento, pieno di argomentazioni a favore del figlio (quando ancora non si parlava di accuse contro di lui, ma solo di confessioni), di rassicurazioni. «Su mio figlio non metto una mano sul fuoco... ce le metto tutte e due». Ma allora chi sono Vincenzo e Bruna? Due mostri, che hanno un volto in pubblico e uno ben diverso in privato? Una coppia di mister Hyde? Quando alla mamma di Simeone, il bambino ucciso, hanno chiesto perché lasciava andare così liberamente suo figlio- a casa dell'amichetto, e se non aveva mai sospettato niente dell'uomo, è crollato il cielo in testa. Mai sospettato niente, ha ripetuto sempre più accorata. «Non ci posso credere». Una famiglia come tante, insomma. Apparentemente. Perché poi ci sono quei dannati verbali che tornano, quelli che i bambini firmavano e che gli adulti archiviavano. Diceva all'epoca S. che oggi ha venticinque anni: «Io e due miei fratelli parlammo di questo stato di cose con mia madre. Lei ci consigliò di non restare mai soli con lui». Francesco Grignetti Le accuse furono confermate dalla figlia maggiore Anche un altro bimbo disse ai magistrati «Ci provava con tutti Cominciò a violentarmi quando avevo compiuto sette anni» udio conosceva to con lui. E che spetto delle apstimone contro ritto e depositato arresto, che ora efano Meschini, à Vincenzo F. e Quattro di questi ragazzi (tre bambine e un maschietto) sono stati ospitati fino a pochi anni fa in un istituto di religiosi sul litorale romano. «Erano bravi bambini che non creavano* rante linterrogatorio in procura d«Io so' pulito. SempGli restava in casfiglio. Il tribunale spose nel 1996 che ciale vigilasse «attragazzo. Ma anche «nulla di particolareall'attenzione del t Nella foto il quartiere dove è maturato il delitto. A destra il piccolo Simeone. In basso il procuratore Pietro Saviotti

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