Di Pietro: il referendum è mio

Di Pietro: il referendum è mio | Consegnate in Cassazione le 687 mila firme raccolte per l'abrogazione della quota proporzionale Di Pietro: il referendum è mio «1partiti non possono più metterci le mani» ROMA. Abbronzati, accaldati, stanchi, ma raggianti. Il gruppo trasversale dei referendari al completo, in mezzo a un nugolo di simpatizzanti, accoglie con battute e sorrisi l'arrivo al Palazzaccio del pulmino che scarica i 57 faldoni sigillati con dentro le 687 mila firme di cittadini che chiedono il referendum anti-proporzionale, più 4 di documenti. Il gran giorno del rito della consegna delle firme alla corte di Cassazione è finalmente arrivato e i protagonisti della faticaccia si guardano l'un l'altro felici, quasi increduli, come degli studenti davanti ai tabelloni degli scrutini, quando si accorgono che è proprio vero, sono stati tutti promossi. Questa volta ci sono tutti. Antonio Di Pietro e il referendario Mariotto Segni, che sembra ringiovanito di dieci anni e rivive il clima del '93 che lo aveva catapultato alla ribalta, il presidente della commissione Esteri Achille Cicchetto e il sottosegretario ai Beni culturali Willer Bordon coi compagni ulivisti Augusto Barbera e Claudio Petruccioli, Luigi Abete coi capelli lunghi sul collo e la pattuglia dei polisti Antonio Martino e Adolfo Urso con Marco Taradash e Peppino Calderisi, vecchi habitué radicali che di firme alla Cassazione nella loro vita ne hanno portate valanghe. Ciascuno si carica un po' di faldoni e via, su per il monumentale palazzo umbertino. Fino all'aula R, davanti all'Ufficio centrale referendum, dove si improvvisa una conferenza stampa. Di Pietro aspetta da tempo que- sto giorno, e non esita a fare il mattatore. «Questo è il referendum dei cittadini, portato avanti grazie all'impegno fondamentale, quasi totalizzante, dell'Italia dei valori» esordisce, rivendicando al suo movimento la raccolta di firme che vorrebbero in realtà cancellare dalle schede proprio il nome dei vari partiti e movimenti, portando a compimento il maggioritario: secondo i dipietristi, 550 mila firme sarebbero state raccolte ai loro banchetti. L'antipartitismo sempre agitato dall'ex pm non può non fare capolino anche qui, insieme all'o¬ sanna per la gente. «Adesso i partiti potranno condividerlo o no, ma è troppo tardi perché ci mettano le mani sopra», ridacchia Di Pietro, che esorta i politici a «non latitare e non cincischiare più». «Il dialogo è importante e necessario, ma ora i politici hanno un'arma in più, hanno un'autostrada. Viva il dialogo, ma viva secondo la volontà dei cittadini. E noi dell'Italia dei valori saremo i gendarmi del rispetto della loro volontà», aggiunge, e già annuncia una nuova iniziativa: mercoledì prossimo porterà in Senato 350 mila firme di cittadini che chiedono l'introduzione di un sistema maggioritario a doppio turno. «Mi auguro che il Parlamento non releghi la proposta nel cassetto, la gente se ne ricorderebbe». Gli altri sono troppo felici per raccogliere la sfida del senatore del Mugello. «Oggi è una bella giornata, che dico?, bellissima», sorride a destra e sinistra Segni, e ripete più volte che «questo è il primo referendum politico che vien fatto senza che nessun partito si sia impegnato. Ora non ci fermeranno più. E se la Corte Costituzionale dovesse decidere di non ammetterlo, sarebbe un colpo di Stato». «Inizialmente avevo qualche timore di non riuscire a farcela» confessa un euforico Occhetto, sotto la zazzera grigia: «La gente ha capito che solo attraverso i referendum si mettono in moto le riforme. E la sinistra - avvisa l'ex segretario, che racconta di aver raccolto molte adesioni in fabbri¬ che, miniere, cave di marmo - deve interpretare bene questo risultato perché dimostra che c'è malessere e volontà di cambiamento». Anche Abete sottolinea, dati alla mano, come lo straordinario successo fosse tutt'altro che scontato. «A fine maggio eravamo a 150 mila firme. Il fallimento della Bicamerale ci ha dato una mano, e anche le adesioni di personaggi come Umberto Agnelli, Carlo De Benedetti, Pietro Marzotto, Emma Marcegaglia» racconta l'ex presidente di Confindustria. E spiega che le maggiori adesioni sono state nel Centro-Sud, nel Lazio, Campania, Calabria, «e Molise, naturalmente». Mentre Antonio Martino sottolinea come «questo esito rappresenti anche il superamento del luogo comune che vuole i cittadini interessati solo ai temi della vita quotidiana e non ai temi difficili come le riforme». E' l'ora delle foto di gruppo stile squadra di calcio, coi politici accosciati fra i giovani volontari che rimpiangono la fine del lavoro. Ma la festa viene bruscamente interrotta dal volantino che comincia a circolare, firmato da Calderisi, vicepresidente del gruppo Fi alla Camera, che anticipa la conferenza stampa dei «referendari liberali», cioè i polisti, che si terrà di lì a un'ora a Montecitorio per prendere distanza dal senatore del Mugello. «Se il referendum rimarrà monopolio dell'impostazione demagogico-populista e giustizialista di Di Pietro è destinato alla sconfitta. E c'è poco tempo per porvi rimedio», vi si legge in neretto. Di Pietro storce la bocca. E ferma Bordon che vorrebbe subito replicare. «Non oggi, oggi è una giornata di gioia», si limita a dire, di nuovo buio in volto. Maria Grazia Bruzzone Segni: non ci ferma più nessuno; la Corte Costituzionale? Se blocca il progetto sarebbe un golpe Occhetto euforico «La gente ha capito che questa è l'unica via per mettere in moto le riforme» | Qui sopra Segni e Occhetto alla consegna dei plichi alla Cassazione A destra il senatore Di Pietro mentre porta uno scatolone con i moduli e le firme

Luoghi citati: Calabria, Campania, Italia, Lazio, Molise, Roma