«Dell'Utri mi chiese di ritrattare» di Paolo Colonnello

«Dell'Utri mi chiese di ritrattare» «Voglio dirlo chiaramente: i mafiosi venivano nei miei uffici solo per incontrare lui» «Dell'Utri mi chiese di ritrattare» Rapisarda: «Non sono un pentito, sono un testimone» INTERVISTA L'ACCUSATORE DI FININVEST GMILANO IRA e rigira tra le mani le agenzie di stampa che riportano le dichiarazioni di Berlusconi e Dell'Utri: «affarista da pollaio», «calunniatore di professione», «delinquente abituale». Ridacchia nervoso. «Così dicono? Però quando avevano bisogno dei soldi, qui venivano. Purtroppo oggi chiunque vada a testimoniare contro il clan di Berlusconi diventa un delinquente, falso, bugiardo, farabutto, un "pentito". Ma quale pentito? Io non sono un pentito. Io sono un testimone. Questi si muovono come una vera associazione utilizzando giornali, tv e tutti i mezzi a loro disposizione. Allora vorrei dire qualcosa anch'io». E' il testimone chiave della procura di Palermo: l'uomo che accusa Dell'Utri e, indirettamente Berlusconi, di aver riciclato i soldi della mafia; che ha provocato il sequestro dei documenti sulle holding di Berlusconi. E che l'altro ieri, a sorpresa, non si è presentato al processo dove era attesa la sua testimonianza. Si chiama Filippo Alberto Rapisarda, 67 anni, figlio di un ufficiale dei carabinieri, finanziere immobiliarista. Nonostante una fedina penale estenuante, le chiacchiere che lo circondano da sempre, le condanne per bancarotta e assegni a vuoto, i procedimenti penali con cui deve combattere assistito dalla moglie-avvocato Paola Mora. Ora, dopo aver rinviato l'appuntamento palermitano, per la prima volta Rapisarda ha deciso di rilasciare un'intervista. Assumendosene tutte le responsabilità, circondato da velluti damascati e moquettes rosso cardinalizio, il finanziere riceve nel suo quartier generale di via Chiaravalle, ad un passo dall'Università Statale: un palazzo di 14 mila metri quadrati progettato nel '500 dal Bramante. Negli Anni 70 fu anche ufficio e abitazione di Dell'Utri. E, nel 1993-'94, divenne la sede del più importante e prestigioso club di Forza Italia a Milano: «Sì, li ho ospitati per quasi due anni, occupavano 2000 metri quadrati. Sono stato uno dei primi sostenitori di Fi, anche se non mi sono mai iscritto. Era un periodo di riawicinamento con Dell'Utri. Mi pregò, a nome di Berlusconi, di anticipare le spese dicendo che mi sarebbero state restituite. Ancora oggi aspetto». Un palazzo leggendario a Milano, testimonianza monumentale dei rapporti di odio-amore che hanno legato Dell'Utri e Rapisarda. Odio: il primo verbale al veleno che Rapisarda compilò nel 1987 davanti al giudice istruttore Della Lucia dichiarando che l'assunzione di Dell'Utri gli era stata «consigliata» da uomini di mafia e che Stefano Bont?de aveva versato 10 miliardi per finanziare le «tv» di Berlusconi. Amore: la gradita presenza di Dell'Utri, e della di lui moglie Miranda, in qualità di madrina, al battesimo della secondogenita di Rapisarda. Poi la rottura definitiva: «Quando mi sono accorto che Dell'Utri era peggio di prima». In che senso? «In tutti i sensi. Per tanti anni ho sopportato che la mafia venisse nei miei uffici (parlo degli Anni 70) accreditandomi agli occhi dell'opinione pubblica come un finanziere discusso. Adesso basta, voglio dirlo chiaramente: quei personaggi di mafia venivano qui solo perché andavano a trovare Dell'Utri, come finalmente si sta accertando». Rapisarda, che dal '79 all'86 si diede alla latitanza inseguito da un mandato di cattura per il fallimento della Venchi Unica 2000 è diffiden- te. E non fa mistero dei timori: «Paura ce l'ho, certo. Ho ricevuto minacce e le banche dopo gli attacchi dei giornali di Berlusconi mi hanno chiuso i fidi. Ma non ho timore di testimoniare contro Dell'Utri». Ma lei davanti ai pm di Palermo ha fatto dichiarazioni gravi su Dell'Utri e Berlusconi. Come si aspettava reagissero? «I fatti sono quelli, sono veri. E non è mia abitudine dire bugie. Anzi semmai preferisco dire qualcosa in meno di quello che so. E c'è qualcosa che ancora non ho detto...». Vuole dirla ora? «Lasci stare. Lo dirò prima ai magistrati». Cos'è, un messaggio? «Ma quale messaggio. Quello che ho da dire lo dirò ai pm, sono loro i miei interlocutori». Però lei l'altro ieri non si è presentato al processo di Palermo dove avrebbe dovuto testimoniare contro Dell'Utri. Perché? «Lo vede quest'occhio? Il sinistro? Ecco guardi com'è rosso. L'altra sera mi è saltato un capillare perché avevo 220 di pressione. Sono stressato da questa storia. E poi ho avuto un anno di lavoro faticoso. Comunque, tranquilli: ho già chiesto di essere ascoltato dopo le vacanze, non intendo tirarmi indietro». L'on. Dell'Utri ha dichiarato che lei lo ha accusato perché i pm di Palermo hanno minacciato di arrestarla. E' così? «I pm di Palermo non solo non mi hanno mai minacciato ma se magistrati corretti nella mia vita ho incontrato sono proprio quelli di Palermo. E poi non è vero che ho fatto le dichiarazioni per farmi archiviare la posizione processuale. Perché sono stato archiviato 6 mesi prima (aprile '97) di rendere le mie deposizioni, iniziate nell'ottobre '97. Basta vedere verbali e carte». Dell'Utri ha detto che lei ha voluto incontrarlo per chiedere di essere ricevuto da Berlusconi per «trattare». «Falso. Vuole sapere com'è andata? Bene. In occasione di una delle ultime udienze del processo per il fallimento della Venchi Unica dove sono imputato insieme al fratello di Dell'Utri, Alberto, l'aw. Gamberale, che assiste Dell'Utri, mi ha avvicinato pregandomi di passare nel suo studio perché mi voleva parlare». Quando, scusi? «Sarà stato un mese fa. Comunque alcuni giorni dopo mi sono deciso ad andare da Gamberale. Appena sono arrivato nel suo studio, lui ha chiamato Marcello Dell'Utri, che dopo cinque minuti è arrivato. Voleva che io ritirassi le accuse al processo di Palermo, che mi gingillassi dietro il fatto di non confermare quanto avevo reso nei verbali. Alla presenza dell'avvocato Gamberale gU ho detto: "Mi dispiace, ormai è troppo tardi. A cominciare sei stato tu". Poi me ne sono andato». Ma oltre all'avvocato Gamberale, c'erano altri testimoni? «No, purtroppo, e mi rendo conto che questa è stata una trappola». Dell'Utri invece dice che i testimoni ci sono: un paio di deputati di Forza Italia. «Si, ma non in questo incontro. In un altro. Una ventina di giorni fa ho incontrato sua cognata Maria Pia Dell'Utri al ristorante Bolognese di Roma, in piazza Del Popolo. Era in compagnia dell'onorevole Matacena e di un altro deputato di Fi di Napoli e anche di un professore di cui non ricordo il nome ma che mi ha lasciato il suo numero di telefono alla Camera dei deputati. Tutti loro hanno insistito perchè io "addivenissi" a un accordo con Dell'Utri. Comunque sono cose che ho già raccontato ai giudici di Palermo». Fine degli incontri? «No. Ho rincontrato Matacena sabato scorso a Panarea, dove abbiamo entrambi una villa. E gli ho spiegato che non mi sentivo bene e che forse non sarei andato a Palermo». Dell'Utri invece dice che lei voleva «trattare». «E cosa dovevo trattare? Quando c'è una trattativa ci deve essere l'oggetto da trattare. E io non ho niente da trattare con Berlusconi». Ma se ha detto che dopo le sue deposizioni e una campagna giornalistica le hanno chiuso i fidi nelle banche? «E' così, ma non m'importa dei fidi. Sono disposto a non lavorare più». Quando vi siete conosciuti lei e Dell'Utri? «Credo nel '74. Io ero arrivato a Milano da 6 mesi, non sapevo nemmeno che esistesse questo Berlusconi. In quel periodo stawtrattandapeTJritevare il gruppo Facchin e Gianni in fallimento. Dell'Utri venne a sapere dalla signora Delitala di questa mia operazione e ne parlò a Berlusconi, il quale, tentando di soffiarmi l'affare, si presentò subito dall'ingegner Gianni (purtroppo oggi defunto). Ma l'ingegnere non si fidò e nemmeno il tribunale fallimentare che non ritenne Berlusconi affidabile come garante del concordato». Archeologia. Quando Dell'Utri venne a lavorare da lei? «Nel 1977, me lo portò Gaetano Cina. E Dell'Utri mi disse che da mesi non prendeva lo stipendio da Berlusconi. Da ciò si può capire che in quel periodo il Cavaliere non navigava in buone acque». Scusi, lei però ha detto che Boutade e Teresi avrebbero versato 20 miliardi a Berlusconi nell'80 non nel '77. ((Eh no. Prima di quei 20 miliardi che vennero promessi in mia presenza a Dell'Utri in un appartamento di Parigi che lui mi aveva messo a disposizione (ero latitante), ci furono anche 10 miliardi consegnati nel '79 a Dell'Utri da Stefano Boutade e Mimmo Teresi, negli uffici che lui occupava in questo palazzo. Fatto che in parte denunciai fin dal 1987». E a quell'epoca nessuno fece indagini? «No, il pm Viola, che oggi è uno dei legali del gruppo Berlusconi, non volle indagare, anzi aprì un procedimento contro di me. Le dico di più: nessuno mi querelò, né Dell'Utri né Berlusconi. Eppure i giornali riportarono già all'epoca quel verbale». Forse bastava il fatto che lei era stato dichiarato «delinquente abituale» come ha ricordato Dell'Utri. «Sì, è vero. Venni dichiarato delin quente abituale per emissione di 16 assegni a vuoto nel lontano 1965. Ma poi si accertò che la declaratoria era "giuridicamente inesistente" e non avrebbe potuto essere emessa. E venne revocata nel 1970». Non pretenderà di essere consi derato uno stinco di santo? «Non lo pretendo però le mie vicende sono vecchie di oltre trent'anni: alcuni assegni a vuoto, una bancarotta, E poi adesso sono a processo per due fallimenti di cui, guarda caso, erano amministratori Marcello Dell'Utri e suo fratello Alberto». Lei ha fatto dichiarazioni gravissime anche nei confronti di Berlusconi. Come puà pretendere di essere creduto? «Sono convintissimo di quello che ho detto. Anzi credo che presto sporgerò denuncia contro Berlusconi, Dell'Utri e altri per fatti molto più gravi. Questa storia, creda, non è ancora finita». Paolo Colonnello Ulo minacciato? No, andrò a Palermo dopo le ferie per confermare quanto detto Ejip Mi calunniano però quando lui e Berlusconi volevano soldi correvano dameMjij ..>:•:<••,:.;..*„.. ili