Questioni di pelle

Questioni di pelle CICATRICI & SCARIFICAZIONI Questioni di pelle Progressi nella cura delle ustioni Atrent'anni dell'apertura del Centro grandi ustionati di Torino e a quindici anni dalla nascita della Fondazione piemontese per gli studi e le ricerche sulle ustioni, il congresso nazionale della Società Italiana Ustioni ha affrontato un tema di grande interesse sociale: la cicatrìce da ustione. E' risaputo che nella cura delle ustioni si sono fatti passi da gigante: oggi si possono salvare persone che in un passato non tanto remoto erano condannate a morte sicura. Ma, purtroppo, i risultati negli esiti cicatriziali non sono al livello di quelli ottenuti nel trattamento generale. Le cicatrici che rimangono dopo la guarigione, anche di ustioni limitate, sono sempre molto visibili, con conseguenze di varia gravità. Talvolta le cicatrici sono deturpanti, quando non addirittura invalidanti, con grave compromissione della funzionalità delle parti lese. Le cicatrici da ustione, a differenza di tutte le altre cicatrici dovute a traumi, hanno tendenza di inspessirsi smisuratamente, rimanere per un tempo molto lungo fortemente arrossate e dolenti, e nella fase di regressione ritirarsi causando limitazioni funzionali più o meno gravi, a seconda della sede dellai'lte'sitttìé1JóTltòatahd6t «Éeiquentemente il reinserimento dei pazienti nella società e nel mondo del lavoro. Quando nac que la Fondazione per le ricer che sulle ustioni, il problèma di queste cicatrici costituì lo scopo principale dei nostri studi. Grazie anche a queste ricerche, sono stati in parte chiariti alcuni dei processi biologici che portano alla formazione delle cicatrici patologiche. Ma mentre nella cultura occidentale le cicatrici in genere sono causa di disagio, specie quando si formano sulle parti scoperte del corpo, in alcune etnie le cicatrici vengono ap positamente provocate, con specifici metodi, a scopo di or namento. Ornare il corpo, abbellirlo, intervenire su di esso a scopo estetico pare essere davvero un'esigenza impre scindibile: un «bisogno» a cui nessuna società rinuncia, anche se - a quanto pare - un cor po culturalmente abbellito o esteticamente modellato non reca di per sé alcun vantaggio sul piano della sopravvivenza Sono molteplici i modi con cui le culture intervengono esteticamente sul corpo. Pro viamo a proporne un elenco sintetico: a) interventi esterni e indolori, consistenti nel fare indossare al corpo oggetti, come abiti, maschere, piumaggi, monili, che si possono pure togliere con relativa facilità; b) uso di materiali che vengono spalmati sul corpo e quindi aderiscono maggiormente all'epidermide (cosmesi, pitture facciali e corporali); c) modifiche temporanee e reversibili di parti caduche del corpo, come per esempio le acconciature dei capelli e il trattamento delle UDghie; d) modificazioni irreversibili di parti anatomiche mediante interventi esterni (allungamento del cranio, del collo, delle labbra, delle labbra vaginali, limatura di denti); e) perforazioni (per esempio del setto nasale, del lobo, della lingua, varie pratiche di piercing); fi tatuaggi, ossia tecniche di puntura cieli'epidermide con iniezione di sostanze coloranti così da ottenere disegni anche molto raffinati; g) scarificazioni, ovvero incisioni piuttosto profonde con rasoi o con coltelli e introduzione di sostanze che ritardano la cicatrizzazione così da ottenere disegni in rilievo; h) interventi chirurgici con asportazione di parti di organi (circoncisione, subincisione, escissione del clitoride, infibulazione); i) chirurgia estetica di tipo moderno. Vi è una progressione nell'elenco qui proposto: gli interventi estetici vanno da un esterno epidermico (abiti, monili, pitture) a un interno sempre più profondo e anatomico (perforazioni, tagli, asporta¬ zioni, mutilazioni) con progressivo aumento del dolore. Il trattamento estetico del corpo comporta spesso la sofferenza: una sofferenza lancinante come è indubbiamente quella delle scarificazioni e degli interventi chirurgici sui genitali. Il che è un'ulteriore prova che la modificazione estetica del corpo risponde a un «bisogno» profondo, che si sottrae a una spiegazione superficialmente utilitaristica. Pur di rendere «bello» il corpo, ovvero esteticamente apprezzabile secondo i canoni propri di una determinata società, ci si sottopone a esperienze di rischio e di dolore particolarmente atroci. Una di queste esperienze è quella delle scarificazioni, cioè di cicatrici rilevate appositamente prodotte, specialmente presso popolazioni di pelle scura. Se i nostri chirurghi fanno di tutto per eliminare i segni delle cicatrici, presso molte società africane, al contrario, i loro chirurghi estetici indigeni si ingegnano per ottenere con le cicatrici prodotti di grande bellezza e perfezione, ostentati con compiacimento anche per il loro significato erotico. Sarebbe però riduttivo e superficiale mantenersi entro un discorso di mera bellezza, sia pure complicato da una prospettiva relativistica. Le scarificazioni sono segni incisi profondamente e che rimangono per sempre - quasi come una scrittura indelebile per testimoniare eventi e tappe della vita o appartenenze etniche. Soprattutto, le scarificazioni rientrano in quei tipi di segni che le società producono per modellare in modo visibile e imperituro le forme di umanità, in cui rispettivamente si identificano e con cui tendono a distinguersi da altre forme di vita e di cultura. Capire quanto profonda sia questa esigenza «antropo-poietica» significa anche comprendere da un lato la profondità del suo significato estetico e dall'altro la disponibilità ad affrontare il dolore con cui molto spesso - anche nella nostra società - si decide di dar forma all'umanità. Simone Teich Afasia Francesco Remotti Per noi le cicatrici sono un problema, per altre culture sono un ornamento del corpo Lbvmilcrpssnuptlldtcrisf In alto, la vistosa cicatrice lasciata da una ustione grave. A destra, scarificazioni sulla pelle di una ragazza «aro, nell'Etiopia del Sud-Ovest Sotto il titolo, scarificazioni sul braccio di un Mursi, un'altra popolazione etiope

Persone citate: Francesco Remotti, Simone Teich

Luoghi citati: Etiopia, Torino