SARAJEVO NEGLI OCCHI DELL'INVIATO SPECIALE
SARAJEVO NEGLI OCCHI DELL'INVIATO SPECIALE Reportage SARAJEVO NEGLI OCCHI DELL'INVIATO SPECIALE EER un certo tempo, in Italia, si è pensato che il reportage, soprattutto quello internazionale, fosse morto, ucciso dalla tv che trasmette in diretta qualsiasi evento importante da qualsiasi parte del mondo, e ucciso anche dall'attenzione pressoché esclusiva e a tratti ossessiva dei «media» italiani per gli affari interni. Non è più così, o non lo è più del tutto. Si è capito che, per grande che sia la forza delle immagini televisive, la testimonianza del giornalismo scritto conserva un valore unico, per la sua capacità d'interpretazione e non solo di «trasmissione» di un avvenimento. E poi anche la refrattarietà ai grandi temi internazionali si è fatta quanto meno più debole e intermittente, anche perché è cresciuto il ruolo dell'Italia e in certe crisi «esterne» ci siamo trovati inevitabilmente coinvolti. Uno dei giornalisti che hanno contribuito al rilancio del reportage sui grandi fatti internazionali è Federico Bugno, inviato di punta de L'Espresso. H suo campo d'azione è stato ed è, prevalentemente, il mondo dell'Est, europeo ed asiatico, dopo la crisi dei sistemi comunisti. Bugno era a Pechino, sulla piaz za Tienanmen, nei giorni, drammatici e celebri, della protesta studen tesca e della repressione, e conobbe anche personalmente (fisicamente) la durezza della polizia cinese. Da allora ha seguito e raccontato i principali eventi dell'Europa ex comunista. Fra questi, in particolare, gli eventi della ex Jugoslavia e, ancora più in particolare, della Bosnia, col tragico epicentro di Sarajevo. Il libro che ora raccoglie i più significativi servizi ed analisi dal 1991 al 1997 (in tutto l'arco della crisi jugoslava, peraltro non ancora conclusa, vedi Kosovo e Montenegro) ha per titolo una parola turca: «Bajram», che indica le due più importanti feste dell'Islam. In una delle quali, la fine del Ramadan, cominciò l'assedio di Sarajevo. Erano i primi di aprile del 1992. E a Sarajevo, e alla sua gente, assediata dai serbi per 1300 giorni, il libro è fondamentalmente dedicato. Gli articoli, corredati da mia premessa esplicativa o di aggiornamento, formano un diario ragionato dell'intera vicenda jugoslava, con capitoli agghiaccianti sugli stupri «etnici», ma Sarajevo è il cuore del reportage. La Sarajevo dei cecchini e delle bombe sui mercati, delle persone uccise per un secchio d'acqua, e che tuttavia continuava a vivere come comunità interetnica, come cultura' della tolleranza tra fedi e tradizioni diverse. Bugno ha scritto: «Credo di essere assolutamente sincero quando affermo che, in questa città martoriata, ho trascorso i più bei giorni della mia vita. Grazie a uomini e donne che mi hanno insegnato come la dignità, la cultura, l'amore possano sopravvivere, e crescere, anche nelle situazioni peggiori». Predrag Matvejevic, autore della prefazione al libro, dice che meriterebbe di essere «proclamato, fra i primi, cittadino d'onore» di Sarajevo. E Adriano Sofri, altro testimone dei drammi bosniaci, nella postfazione, assicura che la stessa identità personale, caratteriale, del giornalista è cambiata in meglio nella città-martire. E tuttavia Bugno conclude il lungo reportage con un dubbio, a dimostrazione che la partecipazione personale non deve spegnere o attenuare lo spirito critico di un inviato speciale. 11 dubbio è se Sarajevo, dopo tanta violenza, non sia comunque cambiata, se la tolleranza e il rispetto reciproco tra musulmani e cristiani non ri siano alla fine appannati. Non per colpa degli abitanti, ma per una sorta di contagio del virus della separatezza, reso possibile dai ritardi e dalle incertezze della reazione europea e occidentale all'aggressione serba. Aldo Rizzo BAJRAM Jugoslavia e ex Jugoslavia 91 -97 F. Bugno, Magma pp. 311. L 30.000
Persone citate: Adriano Sofri, Aldo Rizzo Bajram, Bugno, Federico Bugno, Predrag Matvejevic
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