IL «TEDESCO» DEL CANAVESE di Franca D'agostini

IL «TEDESCO» DEL CANAVESE IL «TEDESCO» DEL CANAVESE i 0 N ragazzo precocissimo» e «straordinariamente sensibile»; un giovane «dolorosamente consapevole deU'infinito dolore e crudeltà dell'esistenza», riservato fino alla freddezza, dotato di un inspiegabile contegno «tedesco» pur essendo di famiglia canavesana: così veniva descritto Piero Martinetti da coloro che lo conobbero nei primi anni i, Antonio Banfi, il suo più illustre alesta riservatezza eccessiva un limite ana: ma era - scrisse - «l'impegno del In Piero Martinetti, Amedeo Vigorelli della sua vita di pensatore. Più tardlievo diretto, indicò proprio in quecontingente della filosofia marinettila ragione che affrontava il mondo». ricostruisce per la prima volta il percorso del pensatore piemontese, una delle poche voci davvero originali della filosofia italiana. Noto più per l'opposizione al regime fascista in cui si trovò sventuratamente a operare - essendo nato nel 1872 e morto nel 1943 -, e per l'eccentricità rispetto all'hegelismo crotiano-gentiliano allora dominante, Martinetti è in realtà un filosofo che merita un radicale e pieno recupero: inguaribilmente e provocatoriamente inattuale nel primo Novecento, la filosofia martinettiana offre ora una messe di spunti per una pratica filosofica legata ai temi e alle problematiche di questa fine del secolo. Vigorelli non indulge in alcuna forma di attualizzazione, ma il suo lavoro (che ha forse un unico difetto: la mancanza di una bibliografia e una cronologia finali, separate dal corpo storico-filosofico) permette con una certa facilita di compren- dere la singolare combinatoria di tematiche che fanno di Martinetti un pensatore ancora molto stimolante. La riabilitazione della metafisica, che Martinetti inaugura con la prima parte della sua opera più nota, l'Introduzione alla metafisica, del 1903 (significativamente coeva all'Estetico crociana, e allo scritto di Gentile sulla Rinascita dell'idealismo), si pone in continuità con l'attuale ripresa, in ambito europeo e angloamericano, delle tematiche ontologiche. La definizione martinettiana del rapporto tra scienza e filosofìa (sviluppata soprattutto nelle conferenze del 1920 dal titolo II compito della filosofia nell'ora presente) è tuttora da considerarsi come un punto d'arrivo: nota Vigorelli che la rivendicazione del valore della filosofia rispetto alla scienza non è mai svolta da Martinetti nel quadro di una po- lemica contro il positivismo, al contrario pensa che la filosofia possa fornire quella visione della globalità e quelle esigenze speculative di cui la scienza stessa avverte il bisogno. Infine, è ricostruito con estrema chiarezza ritinerario che porta Martinetti dalla concezione (neo-schopenhaueriana) del filosofo come «artista della ragione» alla messa a punto della vocazione fondamentalmente religiosa della filosofìa. Giustamente, egli vedeva la prassi filosofica come una peculiare forma di «arte», ma senza nessuna concessione a qualche genere di estetismo: le radici in parte protestanti della sua religiosità lo portavano piuttosto a vedere nell'artisticità del lavoro del filosofo una missione di chiarificazione il cui ultimo oggetto può essere solo FrtJnità trascendente» di Dio. Al di sotto di questo obiettivo ambizioso, ogni altra «arte» o «disciplina» del concetto in effetti non è che espressione di volontà di potenza (e di dogmatismo) da parte del teorizzante. Franca D'Agostini PIETRO MARTINETTI La metafisica civile di un filosofo dimenticato Amedeo Vigorelli Bruno Mondadori pp. 423, L 29.000