EMILIO CECCHI: ELZEVIRI DI IMPASSIBILE PROSA D'ARTE di Lorenzo Mondo

EMILIO CECCHI: ELZEVIRI DI IMPASSIBILE PROSA D'ARTE EMILIO CECCHI: ELZEVIRI DI IMPASSIBILE PROSA D'ARTE Raccolti i saggi e i viaggi in un «Meridiano» di duemila pagine MMERGERSI nel «libro» creativo di Emilio Cecchi, quello che tale egli riteneva escludendo gli scritti di critica letteraria e di arte figurativa (in cui tuttavia eccelse) è una impresa appagante e fonte di continue, distillate sorprese. Mi riferisco alle quasi duemila pagine di Saggi e viaggi, come si intitola il Meridiano Mondadori curato inappuntabilmente da Margherita Ghilardi. A partire da Pesci rossi del 1920, con il quale Cecchi prende coscienza delle sue qualità stilistiche e del suo destino di scrittore, fino a Vagabondaggi, uscito sciolto dopo la guerra, si è trascinati da una segreta autobiografia intellettuale: generata dal mai eluso attrito con la realtà, sperimentata con sensi aguzzi e sottoposta al vaglio di una varia, mobilissima cultura. Dal contatto «con un grande e vero giornalismo» come quello inglese che si riallaccia a una nobile tradizione di «essaysts», scopre, in uno sgorgo di felicità, la possibilità di dire tutto - «idee generali, fantasie, ricordi di viaggio» - di «dare delle forti sintesi di vita, in uno stile suo», quasi in una estensione della sua attitudine di critico all'univer so mondo. Il «giornalismo» di Cecchi, l'ininterrotta catena delle due colonne di elzeviro! Non furono una servitù ma la forma stessa del suo fantasticare. Come osserva Margherita Ghilardi, la misura dell'articolo esprime una «coscienza del limite», un «baluardo di forme intelligibili e fraterne» contro lo spazio illimitato e inquietante che dilata la stessa vita quotidiana. Quale valore gli attribuisse, lo dice la trasparenza di una prosa, che parve a Montale «la più importante che sia apparsa in Italia dopo quella del D'Annunzio "notturno"». E lo rivela l'assemblaggio dei testi in volume, la ricerca di una ritmica e concettuale compattezza. Non per niente rinviene le origini del giornalismo nell'epistolografia degli apostoli e dei classici, in San Gerolamo e in Orazio «satiro». Ma non è solo frutto di understatement attribuire il fascino dell'articolo alla durata breve del giornale («Quel tono "in articulo mortis" ... quell'eco di estrema Thule e d'estrema tuba; quel sentore di "pulvis es" che circola tra i fiori artificiali e le lanterne di foglio...»). Perché qui veniamo a toccare il sentimento dell'ombra, la malinconia vitale che, per quanto rattenuta e temperata di humour, percorre tante sue pagine. Più radicato dell'equivoco su Cecchi giornalista (che nel suo caso voleva dire disorganico, frammentista) fu quello di una levigata, esornativa, impassibile prosa d'arte. Quando a fare chiarezza sarebbero bastate le sue riflessioni su una boccia di pesci rossi, i turbamenti davanti all'enigma di un Oriente che, al di là di una precisa connotazione culturale, identifica il regno dell'amorfo e dell'indistinto, l'abuso del fantastico, il disconoscimento della norma. Allo stesso modo, gli animali più eccentrici dello zoo suscitano in lui raccapriccio e disgusto quali «avanzi e rovine d'epoche condannate», «forme deluse e senza lume». Ma valgono altrettanto, fuori dall'antropologia e dalla storia, i segnali che nascono dalla regioni occidue dell'anima, le ossessioni personali. Si pensi alle suggestioni che sa trarre dal nitido, semplificante eppure stregonesco ammanto della neve, alle notturne paure scatenate dalla visita di una minuscola scolopendra e dallo stesso risveglio («Chi sa cosa è calato nel mondo, mentre non c'eravamo»). Questi trasalimenti colgono lo scrittore anche in contesti più avventurosi, bastano minime scoperte come il guscio disseccato di una tartaruga a Delfi o l'assassinio di una farfalla nel giardino delle magnolie a incrinare l'equilibrio sovrano della pagina. C'è, alla base di certe revulsioni e cautele, un classico e ancor meglio fiorentino sentimento del limi¬ te e della logica, «attraverso ai quali e soltanto può cogliersi un riflesso dell'ordine trascendente e illimitato». Nascono di qui, insieme a qualche arroccamento di gusto e di cultura, passaggi di trepida umanità. Ad esempio, là dove si esalta, davanti allo sprezzo della morte proprio di certe civiltà, l'affetto della vita, «ch'è anche l'unica misura del merito ad accettarne quietamente la risoluzione e il distacco». Si spiegano così l'agio e la cordialità che animano i capitoli di Et in Arcadia ego. La Grecia, familiare per vicinanza e studi, incarna infatti una civiltà che ha vinto i mostri egei, gli arcaici e tenebrosi tiranni di Micene. Eppure, non tutto è così semplice. In Messico, che dei suoi libri di viaggio resta probabilmente il più bello, dotato di alacre stupefazione, Cecchi appare affascinato con¬ trovoglia dall'intreccio di crudeltà e di morte che sta al fondo dell'anima messicana: incombe nei volti camusi degli indios, nei serpenti che sorreggono le antiche piramidi, nei macabri Cristi che smentiscono l'esorcismo dell'oro profuso a meraviglia. Quando vi tornerà più avanti, troverà qualcosa «di corroborante in un mondo che aveva distrutto ogni pietà. Che al dolore, alle infamie, alla fatica, alle noie della vita, aveva risposto con una colossale bestemmia. Che si specchiava in una totale negatività». Fino a privilegiare quella «metafisica atrocia» rispetto a tanti altri peccati: «peccati puritani, peccati borghesi, peccati con l'aureola del sentimento». Il Messico contro l'America, l'America amara. E' quest'ultimo, a rileggerlo, un libro di pagine splendenti ma meno fuso e, nell'insieme, meno persuasivo. Saranno le richieste pressanti del direttore del Corriere, Borelli, perché s'impicciasse di capitalismo, unionismo, strategia navale. Sarà che il conservatorismo classicistico di Cecchi, le sue perplessità davanti a un mondo di violenti contrasti, la paventata promiscuità razziale, consuonano con la cultura e la propaganda dominante in Italia. Non a caso l'America di Cecchi è agli antipodi di quella celebrata da Pavese e Vittorini (che in America tuttavia non c'erano mai stati). Non dico che non fornisca a quella mitizzazione, un utile contrappeso. Le angustie e gli eccessi del puritanesimo, la venerazione divistica, superstiziosa, per chiunque, scienziato o ciurmatore, riesca a eccellere, l'ossessione per il benessere fisico e mentale, il kischt che invade università e colleges con effetti esilaranti... Ma la donna energica e salutista che con serva il nerbo maturato nella vita di «frontiera», la letteratura che sembra dargli ragione perché è «la più tetra, la più disperata e sconvolta» del mondo, la crescita anonima e babelica, ma fresca e vigo rosa, dei grattacieli, la maestà del la natura, gli dettano vivide, catturanti impressioni. Quella balena vista inabissarsi al largo di Monte rey: «Restò perpendicolare ed immobile un istante, reso lunghissi mo da quello stupore. E mentre dubitavo d'aver veduto, riapparve nera, lontana fra le dondolanti col line dei marosi». Qui Cecchi, ùnmi nente accademico d'Italia, sembra dare la mano all'oscuro, refrattario Pavese dei Mari del Sud. Lorenzo Mondo Un lungo itinerario di scrittura da «Pesci rossi» ài 1920 a «Vagabondaggi», uscito dopo la guerra, attraverso «Messico» e «America amara» SAGGI E VIAGGI Emilio Cecchi Mondadori pp. 1971 L. 45.000 Emilio Cecchi