MALDINI: SCRIVERE E' COME BUTTARE BOTTIGLIE IN MARE

MALDINI: SCRIVERE E' COME BUTTARE BOTTIGLIE IN MARE MALDINI: SCRIVERE E' COME BUTTARE BOTTIGLIE IN MARE OGGI, a suo avviso, il rapporto tra letteratura e giornalismo è mutato? «Tutta l'informazione è ormai molto più brutale e arida. Per questo i giornalisti-scrittori d'un tempo non esistono più». Com'è nata l'idea di raccogliere in un volume i suoi scritti migliori? «Volevo riassumere tutto quanto avevo fatto nella mia vita, regalando al mio lavoro una nuova dignità: è stato un desiderio professionale che ho voluto coronare. Sia come giornalista che come scrittore». Come mai ha scelto «Descrizioni», un titolo così settecentesco e poco commerciale? «Nella mia mente, Descrizioni è sempre stato un vocabolo onnicomprensivo. Qualunque altro titolo avrebbe indicato inevitabilmente un'area più circoscritta, nella quale i 35 racconti non avrebbero trovato uguale coesione. Del resto mi pare che si tratti di un titolo obiettivo, letterario, anche un po' snob se voghamo». Qual è l'argomento delle quattro sezioni che compongono «Descrizioni»? «La prima parte è composta da brevi racconti giovanili, la seconda riguarda in particolare alcune celebri cronache italiane, mentre la terza racconta di viaggi e di terre lontane (Israele e i suoi kibbutz, il lungo viaggio in nave alla volta dell'Australia, l'atmosfera europea di New Orleans, la Russia...). L'ultima parte, infine, raccoglie una decina di riflessioni critiche, vagamente saggistiche (fra le quali ho voluto aggiungere in extremis un mio recente articolo contro la secessione). In generale, comunque, la maggior parte dei brani è ambientata negli Anni Sessanta». Che ricordo le rimane di quel periodo? «Molto poco nitido: sbiadito. Purtroppo non ho mai avuto una me¬ moria da elefante e questo mi ha portato a dimenticare facilmente. Una delle maggiori ingiustizie in questa nostra vita è che tutta la cultura di volta in volta acquisita viene poi perduta, in gran parte in breve tempo. Tutto ciò è tragico: e anche ironico, se voghamo». Una caratteristica comune a quasi tutte le descrizioni è certamente lo scenario cosmopolita che fa loro da sfondo, e che rivela inquivocabilmentc la sua indole di viaggiatore. «Viaggiare, ai miei tempi, era considerato una specie di approfondimento universitario, una sorta di ulteriore attestato culturale: si imparava l'inglese, si conoscevano nuove realtà, s'incontravano nuove culture... Il primo giornalismo era questo: viaggiare per imparare. Il giornalismo di oggi, invece, è becero e pullula di intervistatori morbosi che domandano alle vedove: "Signora, ci può dire cosa ha provato quando suo marito è morto?": sembra che ormai gli scoop abbiano preso il posto del talento». Tra i tanti viaggi compiuti, quali le sono rimasti maggiormente impressi? «Sicuramente quelli compiuti negli Stati Uniti. Tutti gli altri Paesi li ho soltanto sfiorati, con soggiorni brevi che non superavano quasi mai i due mesi. Del resto è stata la cultura americana ad aver influenzato tutta la mia giovinezza: sono cresciuto con le musiche di Armstrong e con i racconti di Steinbeck, e i miei continui viaggi in America erano una costante verifica di quella cultura che, seppure a distanza, avevo voluto adottare». A quale pubblico rivolge questo suo ultimo libro? «Non so. Scrivere un libro è come gettare una bottiglia nell'Oceano: non si sa mai in quale isola andrà a finire, o se, più tristemente, affonderà per sempre negli abissi. Qualcuno disse che scrivere è come lanciare un petalo di rosa nel Grand Canyon e aspettare impazienti di sentire il rumore provocato dalla sua caduta: speriamo che non sia L'ironia che ha sempre pervaso i suoi romanzi si presenta ancor più tra le righe di descrizioni «L'ironia è un dato irrinunciabile della mia natura. L'ironia è la realtà, è un esercizio di salute: per questo chi manca d'ironia è un uomo triste privo di virtù». Nicola Lecca Pubblichiamo l'ultima intervista di Sergio Maldini, lo scrittore scomparso a Udine il 4 luglio. Nato a Firenze nel '23, a soli trent'anni aveva vinto con il suo primo romanzo, / sognatori, il premio Hemingway, ma aveva lasciato quasi subito la letteratura per il giornalismo, di cui aveva percorso tutte le tappe fino a diventare inviato speciale per il Resto del Carlino (all'esperienza bolognese sarà legato il romanzo Bologna brucia). Ritornato alla letteratura con La casa a Nord-Est (la storia dell'abitazione acquistata a Santa Marizza del Varrno), aveva ottenuto nel '92 il premio Campiello, poi aveva continuato con altri libri di vita friulana come La stazione di Varmo. Apparsa poco prima della morte è Descrizioni, raccolta di articoli scritti nell'arco di una vita vissuta tra «scrittura separata e scrittura compenetrata». «Anticamente sosteneva Maldini - nei giornali era ancora possibile unire le due cose: Moravia, Malaparte e Piovene, ad esempio, erano sì dei giornalisti, ma soprattutto scrittori». Oggi l'informazione è molto brutale e arida, per questo i giarnalistiscrittori d'un tempo non esistono più: allora si viaggiava per imparare e il talento superava ogni becero scoop Sergio Maldini, lo scrittore scomparso a Udine il 4 luglio, era nato a Firenze nel '23: a soli trent'anni aveva vinto con il suo primo romanzo, / sognatori, il premio Hemingway