LA TAVOLA

LA TAVOLA LA TAVOLA rtelli, ulatello ambnisco e coscienza UELLA sera, sedendosi M a tavola in mezzo al MI a cortile, pensò alle oche H che per farle ingrassare H le inchiodavano sopra ■ un'asse le palme dei il fB piedi: una crocefissione \ I W animale, col sangue ne^[ W ro che s'incrostava sul legno, le oche venivano Bai ingozzate di frumento granturco e fichi fino a fargli scoppiare il fegato; poi le uccidevano tagliandogli la lingua, facendo scolare il sangue in un catino per poi mangiarlo fritto in polpette con l'uva passa, il pane e le uova. A questo pensò l'illustre professor Bioli, membro dell'Eccellente Arcisodalizio per la ricerca del Culatello Supremo, sedendosi a tavola. Anche lui era ingrassato come un'oca, inchiodato dentro il suo studio a riscrivere «i fatti e le vicende storiche dell'ultimo secolo». E aveva pubblicato una sua storia del Novecento, in otto volumi, per una importante casa editrice torinese. Il lavoro di una vita che a distanza di appena una settimana dall'uscita dell'ultimo volume, tra la disperazione e l'angoscia, si era rivelato opera morta, perché le sue parole non valevano niente. E per festeggiare «l'avvenimento» aveva fatto preparare alla sua governante quell'enorme cena. «Ma non ci pensi più professore!» lo rimproverò ancora la vecchia Giuseppina portandogli i tortelli d'erbetta conditi col burro e il Par migiano che faceva il filo sulla forchetta, «pensi piuttosto a mangiare i tortelli caldi». Giuseppina posò la tegama sul tavolo e U vecchio prò fessore cominciò a servirsi. Le pun te dei pioppi tremavano appena alla brezza del tramonto. Il Po passava dietro l'argine maestro, oltre la cava di sabbia, e nell'aria si sentiva l'odo re di acqua e di fango. «Ho passato una vita intera a scrivere e a studiare per accorgermi che quello che ho scritto non vale nien te!» disse di nuovo il professore, pu lendosi gli occhiali appannati dal calore dei tortelli che saliva dal piatto. Mangiava con foga, con disperazione, scuotendo la testa insoddi sfatto. «Sai qual è la verità, Giusep pina?» disse alla vecchia che andava avanti e indietro dal cortile col vino fresco e un piatto di culatello, «. che io non ho paura della morte. La morte in fondo non è così orribile Ciò che di terribile ha la vita sono le sue mille possibilità, i suoi mille de stini che uno brama e non vive! E io ho buttato anche quell'unica possibilità! Ho passato una vita a riscri- vere il passato... e per cosa? Per niente! Tempo buttato!». «Mangi piano, altrimenti si strozza!» lo rimproverò la vecchia. Giuseppina si sedette di fronte a lui, scoperchiò un altro piatto di culatello appena tagliato e poi si rialzò da tavola. «Non ci pensi più a quelle brutte storie, lasci perdere...» disse di nuovo e portò un cestino di pane. Il vecchio Bioli non ascoltava, mangiava riempiendosi la bocca fino a scoppiare e scuoteva la testa come per dire che non poteva. «E lo sai perché non vale niente tutto quello che ho scritto? Perché è solo un problema di coscienza. Abbiamo bisogno di una nuova coscienza. E' la Storia che lo impone, sono le immagini del passato che tornano nel nostro presente. I fantasmi sono in mezzo a noi, ci guardano dal pozzo della Storia! E per loro non abbiamo risposte! Viviamo la storia in maniera diversa, Giuseppina! Riscrivere la storia... non è servito a niente... di fronte a quegli occhi che ci guardano dall'inferno!... le mie parole non valgono niente» disse, poi bevve un bicchiere di lambnisco e poi ancora un altro bicchiere. Pensò di avere il sangue in bocca e la lingua mozza delle oche grasse. Così il professor Bioli mangiava e beveva, affogando il suo dramma. «Mi dia la bottiglia!» disse la vecchia. Il professore l'afferrò con il pugno «Questa è mia e me la bevo tutta io!» disse deciso, «voglio degli altri tortelli, del culatello! Vogho mangiare! Ho fame ho fame...». Adesso che il suo lavoro era finito e stampato, le sue malinconie si allungavano come le ombre in ottobre. La vecchia alzò le spalle come sempre accadeva in quelle occasioni e scosse la testa in segno di compatimento. Gli portò anche dei tortellini di zucca con amaretti e mostarda, conditi in rosso e Parmigiano, come il professore le aveva ordinato il giorno prima. Una cena per venti e mangiava da solo. «Ci vada piano professore, non mi piace che lei mangi così». La vecchia si sedette e lo guardò affogarsi, aspettando di servirlo ancora. Il professore tirò fiato slacciandosi la cintura dei pantaloni «... è una questione di coscienza, Giuseppina, e nessuno ha il coraggio di dirlo, nessuno ne capisce l'urgenza. Siamo ciechi! Con quali parole risponderemo a quegli occhi che ci guardano dal fondo del passato? E' cambiato il modo di fare esperienza della Storia perché i fantasmi sono qui, ci guardano, vivono in mezzo a noi! Non sappiamo più dimenticare, Giuseppina, non potremo più dimenticare...». Il professore parlava ubriacomangiava tortelli e culatello cercando di aggrapparsi alla vita, con la disperazione del naufrago che si unghia al relitto. Annusò il culatello e pensò al profumo della vita, al seno delle giovani ventenni che lui amava fino alla follia come quelle che vedeva passeggiare ogni giorno, per strada, e avrebbe voluto possedereTutte, voleva amarle, tutte quelle giovani... e vicino aveva solo una vecchia. «La smetta, la prego, e non ci pen si più a quelle brutte cose. Ogni volta è la stessa storia! mangi con calma!» disse la vecchia sbuffando spazientita. «La smetterò presto, Giuseppina, molto presto!» Poi prese una micca di pane bianco, e la mangiò come solo il prete sa fare durante la messa. Il professore si rialzò a fatica da tavola ubriaco e con la pancia piena. «Ma dove va adesso?». Bioli alzò le braccia come dire che non lo sapeva e Giuseppina sospirò come sempre, scrollando la testa. Il professore non riusciva nemmeno a respirare tanto era pieno di tortelli culatello e lambnisco. Carnminò barcollando verso l'argine. Scese verso la spiaggia di sabbia. Si trovò sul grande fiume con l'acqua buia e la luna nel cielo bianca e silenziosa. C'era quiete sul fiume, l'acqua scorreva lenta. Il vecchio professore parlava da solo. Poi tornò indietro e si appoggiò ad un pioppo. Pensò alla vita di milioni di uomini morti inutilmente, senza riscatto. Aveva scritto sì per una vita, ma non aveva saputo dare una risposta agli occhi di quegli uomini morti che continuavano ogni giorno a guardarlo dal fondo del tempo. Le sue parole in otto volumi non avevano reso giustizia a nessuno, nemmeno a se stesso. «Ci vuole una nuova coscienza», ripeteva il professore, «ci vuole una nuova coscienza... altrimenti le parole saranno inutili, inutile raccontare, scrivere, ripensare la storia. Sarà tutto inutile...» ripeteva, poi si sedette nel buio, appoggiandosi al pioppo. L'acqua scorreva lenta, un po' più avanti, oltre la lingua di sabbia. Il professore ruttò e poi si addormentò con la testa pesante sul petto. Giuseppina lo sapeva bene come andava a finire, ogni volta, quel tentativo di suicidarsi in Po. C'era voluta tutta la sua pazienza per sopportarlo negli anni. Così anche quella sera Giuseppina avrebbe aspettato l'alba mangiando i tortelli d'erbetta, vegliando in silenzio il suo destino, seduta sull'argine, un po' più lontana, sicura che il vecchio non facesse davvero pazzie. E nella quiete del crepuscolo, mentre accarezzava con lo sguardo il suo professore, si sentiva solo il rumore della forchetta nel piatto. Guido Conti Voci d'estate, voci destate. Racconti che scandiranno l'estate di Tuttolibri fino al 27 agosto. Dopo «L'attesa» di Ammaniti, «La partenza» di Voltolini, «La stazione» di De Marchi oggi è la volta di Guido Conti con «La tavola». Giovedì prossimo toccherà a Tiziano Scarpa con «L'incontro». LE LETTURE Francois Rabelais, Gargantua e Pantagruek Teofilo Folengo, Baldus Petronio, Satyricon Massimo Montanari, Convivio Piero Camporesi, La terra e la luna John Lanchesler, Gola Manuel Vazquez Montalbàn, Le ricette di Pepe Carvalho Oretta Bongarzoni, Pranzi a"autore Sandro Penna, Peccato di gola HHhHBH