UNA VIA ROMANA PER L'OCCIDENTE

UNA VIA ROMANA PER L'OCCIDENTE UNA VIA ROMANA PER L'OCCIDENTE Saggio sul «luogo delle culture compatibili » EMPRE di nuovo, quando ci si pone il problema del rapporto tra l'Occidente e il resto del mondo, siamo combattuti tra il dovere di rispettare le altre culture come móndi autonomi, dotati di un loro orizzonte e di loro specifici valori, e l'istintiva persuasione ebe anche questi valori debbano essere giudicati in base a quello che proprio la cultura occidentale ci ha insegnato a chiamare l'universalità della ragione. Di recente, per esempio, in occasione del cinquantenario della Carta delle Nazioni Unite, si è detto da molte parti che essa rifletteva solo la mentalità e i valori della cultura illuministica europea, quei valori in base a cui, prima e dopo il diciottesimo secolo, l'Europa si era sentita legittimata ad assoggettare, per «civilizzarli», gli altri popoli della terra. Ma per quanto ci sforziamo di assumere un atteggiamento neutrale, lontano da ogni eurocentrismo, non possiamo negare che ci riesce difficile, e in fondo impossibile, credere che stiano sullo stesso piano culture in cui i dissidenti religiosi, politici, «etici», sono perseguitati e imprigionati, e quelle in cui invece essi godono, anche solo nominalmente ma è già qualcosa, di diritti pari a quelli di tutti gli altri. Ecco, se c'è una ragione per cui non riusciamo a credere completamente che l'occidentalizzazione del mondo sia una forma di imperialismo culturale più o meno mascherato, essa risiede nel fatto che l'Occidente ci appare soprattutto come il luogo in cui le culture - le visioni filosofiche, religiose, morali - sono compatibili proprio perché sospese nelle loro pretese di validità assoluta. Anche lo scetticismo che spesso, da parte di dogmatismi di ogni tipo, si rimprovera alla modernità occidentale, non ci sembra il segno di una perdita e un sintomo di decadenza, ma il più grande vanto di essa. Se dunque continuiamo a pensare che, almeno sotto l'aspetto spirituale, della mentalità e della cultura etica e politica, il mondo farebbe bene a occidentalizzarsi, è perché desideriamo che esso divenga sempre più una casa per tutti, un luogo di incontro, e di concorrenza culturale, tra filosofie, religioni, stili di vita diversi. Questo significato, potremmo dire disidentificante, della identità occidentale, è quello che Rèmi Brague (storico della filosofia alla Sorbona, profondo conoscitore del pensiero musulmano ed ebraico), chiama la «via romana» che gli sembra identificare la vocazione dell'Europa. La romanità di cui qui si tratta è bensì quella della Roma degli imperatori e dei giuristi, ma anche, inseparabilmente, la Roma della Chiesa; la quale si dice romana non solo per il fatto contingente che la sua unità è fondata sul primato del vescovo di Roma. Impero romano, cristianesimo, modernità occidentale con i suoi valori di tolleranza e di laicità, hanno in comune un fondamentale tratto di «secondarietà»: i romani che conquistano le varie regioni del mondo antico sono anche poi quelli che vengono conquistati a loro volta dalle culture di cui si appropriano (Grecia capta, ferum victorem coepit), e che riuniscono le divinità dei popoli vinti in un pantheon sovranamente neutrale. La secondarietà del cristianesimo è ancora più netta ed evidente, giacché non è solo un modo della sua pratica, ma un tratto scritto nella sua stessa dogmatica. Gesù Cristo è il figlio di Dio dell'Antico Testamento, la sua legittimazione sono i profeti di Israele, il Nuovo Testamento è solo una ripetizione, interpretazione, compimento dell'Antico. La moderna civiltà europea, poi, si sviluppa attraverso una serie di «rinascenze» di cui il Rinascimento che, nei nostri schemi storiografici, la inaugura, è solo un momento particolarmente marcato; ma è preceduto da quella fase nota come rinascenza carolingia, il nono secolo in cui Carlo Magno dà inizio a un nuovo impero d'Occidente; dalla rinascenza seguita all'anno mille; e seguito dalla ripresa dei modelli classici da parte dei rivoluzionari francesi del secolo XVIII, che del resto si inscrive in un generale movimento classicistico nelle arti e nel pensiero. Ma Derché tanto interesse ner la secondarietà? Non si tratta solo di giustificare a posteriori un carattere della nostra civiltà, o di riconoscerlo come filo conduttore per una descrizione coerente di essa. La secondarietà è un valore proprio perché fonda un'identità mobile, capace di una continua autocritica e di movimenti interni di contestazione e di rinnovamento che si giustificano come rilettura delle fonti «esterne» da cui essa deriva. Possiamo pensare tipicamente all'umanesimo quattrocentesco, che «gioca» i classici latini e greci contro la tradizione medioevale; o alla Riforma protestante, che vuole rifarsi alle fonti scritturali contro l'interpretazione autoritaria della gerarchia cattolica. Brague conduce il suo discorso sull'Europa romana confrontandosi continuamente con il parallelo ma diverso sviluppo della cultura musulmana. Così, è perché i padri della Chiesa e gli amanuensi cristiani sentivano gli autori classici come significativi ma anche insieme come estranei (anzitutto in quanto pagani) che ci hanno preservato i loro testi nella forma originale; gli arabi, che pure hanno avuto una grandissima importanza nel tramandarci la filosofia greca, miravano principalmente ai contenuti, traducevano e assimilavano ciò che pareva loro utile nella ricerca della (sola) verità. L'ultimo capitolo del libro di Brague, prima della conclusione, è dedicato alla Chiesa romana. Non facciamo violenza alle intenzioni dell'autore se pensiamo che il valore della secondarietà abbia per lui la sua radice ultima nella dottrina cristiana dell'Incarnazione. Senza la quale, forse, la secondarietà propria dell'Europa romana resterebbe solo il carattere di una civiltà a cui, in quanto ne facciamo parte, non possiamo non sentirci affettivamente legati, ma che rischierebbe sempre ancora l'accusa di pretendere illegittimamente l'universalità, se non fossimo stati educati alla dottrina dell'Incarnazione, alla quale Brague, giustamente, fa anche risalire i valori di laicità della cultura politica europea («date a Cesare...»), la secondarietà della tradizione romana-europea potrebbe ancora sempre apparirci un fatto puramente contingente, del tutto incapace di proporsi come norma per ogni cultura umana, come in fondo Brague la considera. Se dobbiamo riconoscerci e professarci romani, dunque, è ancora una volta «perché non possiamo non dirci cristiani». Gianno Vattimo Marco Aurelio. «Il futuro dell'Occidente: nel modello romano la salvezza dell'Europa» di Rèmi Brague è pubblicato da Rusconi IL FUTURO DELL'OCCIDENTE Nel modello romano la salvezza dell'Europa R. Brague Rusconi pp.207 L 29.000 Non sola quella degli imperatori e dei giuristi, ma anche quella della Chiesa, con i suoi valori di tolleranza e laicità. Il ciclo delle rinascenze i »

Persone citate: Brague, Carlo Magno, Gesù, Rèmi Brague, Vattimo

Luoghi citati: Europa, Grecia, Israele, Roma