UN ULISSE DELLA SHOAH TRA GLI EBREI SPERDUTI di Elena Loewenthal

UN ULISSE DELLA SHOAH TRA GLI EBREI SPERDUTI UN ULISSE DELLA SHOAH TRA GLI EBREI SPERDUTI Viaggio alla ricerca dei cittadini di un villaggio cancellato ONOSCEVO soltanto un altro nativo di Konin trapiantato in Gran Bretagna: Joe Fox, un amico dei miei genitori, aveva fatto fortuna nella confezione di abiti e cappelli [...]. Il vecchio che mi apre la porta ha una corporatura massiccia, gli occhi celesti un po' acquosi e appare in splendida forma. Riconosco in lui l'uomo che ricordavo da bambino. Come sta signor Fox? "Non mi lamento". Aveva novant'anni quanto andai da lui per parlare di Konin». Negli anni tra le due guerre gran parte della gente di Konin trapiantata a Londra era riuscita a farsi strada. Ma, dove erano finite tutte queste persone? E gli altri, quelli che ce l'avevano fatta ad arrivare in America e in Israele, qualche anno o mese o giorno prima del settembre 1939 quando la cittadina polacca sulla Warta quasi al confine della Germania fu la prima a essere «judenrein», ripulita dagli ebrei, distrutta, cancellata dai nazisti che avevano invaso il Paese e dei tremila che costituivano l'antico shtetl, duemila ne avevano deportato o massacrato? «Non ti è imposto di completare l'opera, ma non sei Ubero di sottraitene», sta scritto in uno degli antichi testi della tradizione rabbinica ed è l'epigrafe che Theo Richmond ha scelto per la sua «odissea» volta non primariamente alla ricerca delle proprie radici («oggi quasi un'industria»), che peraltro non ha mai perduto pur essendo nato a Londra nel '31 quando suo padre già aveva trasformato un impronunciabile cognome Ryczke in quello del sobborgo sulle rive del Tamigi dove poi il figlio andrà a vivere trasformando la sua casa vittoriana in una sorta di museo di Konin. E neanche allo scopo di farne una «Spoon river» ebraica. Theo Richmond, uomo di cinema e di tv, ha lavorato sette anni, abbandonando addirittura la sua attività per studiare e soprattutto per viaggiare in una sorta di crescente quanto lucida e pacata ossessione di ricostruire, attraverso la testimonianza dei sopravvissuti e le loro voci, le voci, anzi il brusio, i colori, gli odori, tra le botteghe della via m Maggio e il Tepper Mark (la piazza del mercato), le dolci sponde del fiume che scorre sotto il ponte di legno e la bellissima sinagoga a lungo regno di rabbi Lipschitz, la scuola, il temuto cheder e la biblioteca, quella che per 500 anni Konin era stata, il centro, come d'altronde tanti altri shtetl all'Est, di un mondo di piccola borghesia ashkenazita laboriosa ma a suo modo anche colta, forte di fronte al nemico di sempre, l'antisemitismo, tenace mente legata alla tradizione però con frange del tutto anticonformi ste. E' infatti proprio rabbi Lipschitz che invita a «profanare» il sabato per soccorrere un villaggio vicino bombardato dai tedeschi; è l'amato maestro Leibke che «scandalosamente» un giorno mette da parte i testi sacri e fa leggere ai suoi allievi i racconti del più popolare scrittore yiddish, anche se poi è di nuovo il rabbino a condannare la bella Lola Bulica, figlia di una robusta famiglia di contrabbandieri, per aver osato rompere il suo fidanzamento. Nelle oltre 700 pagàie di Konin, la città che vive altrove, sino all'ultimo aggiornate dall'autore e che coraggiosamente la piccola InstarLibn propone ora al lettore italiano nella versione di Elena Loewenthal, non solo «laureata» traduttrice ma grande studiosa dell'ebraismo, Theo Richmond sembra davvero aver compiuto il suo «miracolo» di vita. Perché qui, nell'itinerario che da Londra lo porta oltre oceano, poi nella «terra promessa» per concludersi «a casa, il ritorno a un luogo dove non ero mai stato» nella cittadina anonimamente risorta dalle ma cerie, di vita e non di morte si tratta. Anche se tutte le quasi cento tappe compiute da questo singolare Ulisse (tante sono le case cui ha bussato, i figli e i figli dei figli che gli hanno aperto lo scrigno della memoria, il vecchio calzolaio che fa il botanico in riva alla manica, l'erede del latifondista diventato scultore, l'ex bello di Konin ora custode dell'archivio della Konin Society di New York, l'architetto di Tel Aviv che ha ricostruito su carta di quaderno la sua casa di mezzo secolo fa nello shtetl), hanno come punto crucia le la Shoah, la tragedia delle tragedie per il mondo intero, alla quale ognuno dei protagonisti di questa «commedia umana», scrii ta certo non con il genio di un Singer ma con la grandezza di un puro di cuore, ha pagato il prezzo in¬ dmruszaTO dicibilmente alto che tutti sappiamo. Si tratta di vita perché sull'orrore della «soluzione finale» (qui, uno per tutti, il massacro nel bosco di Kazimierz) e della deportazione, padri, madri, fratelli morti a Auschwitz o a Mauthausen o a Treblinka, l'autore disegna, da Omaha e da Brooklin al Middlesex, al kibbntz israeliano, tra il chiacchiericcio quotidiano, i pudori e gli slanci, i traffici e le ambizioni, gli amori e le piccole fur¬ bizie, troppo spesso anche la perdita di Dio, una rete di microstorie, leggibili come un romanzo, dalla quale egli stesso sembra alla fine sorpreso accorgendosi che «accanto a quella di un annientamento avevo ascoltato la storia di una rinascita». Una storia senza paraocchi ideologici, né moralismi o concessioni sentimentali, «dalla quale è stato necessario e difficile, per me che traducevo spiega Elena Loewenthal - non lasciarsi coinvolgere emotivamente. Una storia che Theo Richmond ha scritto prima di tutto come ricerca della essenza di sé, l'unico modo in cui la memoria può essere presentata come patrimonio genetico». Una storia che è anche una serie di onde che arrivano dalla diversità tra gli ebrei di oggi nel mondo ma che poi, qualcuno ha detto molto bene, «si infrangono insieme» perché questa memoria continui, come comandano le Scritture, le-dor wa-dor, di generazione in generazione. Mirella Appicci IA MEMORIA KONIN La città che vive altrove Theo Richmond Traduzione: Elena Loeventhal Instar Libri pp. 734 L 45.000 Originari di Konin, il luogo della prima «judenrein» polacca: 2 mila massacrati o deportati su 3 mila Le cento tappe di Theo Richmond per ricostruire attraverso i sopravvissuti l'identità distrutta dell'antica comunità «Konin, la città che vive altrove» di Theo Richmond è stato tradetto da Elena Loewenthal per la Instar Libri

Luoghi citati: America, Germania, Gran Bretagna, Israele, Londra, New York, Ponte Di Legno, Tel Aviv