E IL TENENTE ASSALTO' LA MENSA DEI FRATI

E IL TENENTE ASSALTO' LA MENSA DEI FRATI E IL TENENTE ASSALTO' LA MENSA DEI FRATI Cent'anni fa a Milano la rivolta del pane L 1998 è un anno di ricorrenze e celebrazioni. Fatti, piccoli o grossi, buoni o cattivi, importanti od effimeri si ripropongono per un chiarimento e una valutazione conclusiva. E' l'occasione per affrontare la realtà. Ad esempio lo scontro che avvenne a Milano il 9 maggio 1898 durante la rivolta popolare per il rincaro del pane, la mancanza di lavoro e l'eccessività di dazi. I tumulti finirono per coinvolgere persino i frati del convento di Monforte che dovettero subire conseguenze deplorevoli essendo accusati di star dalla parte della maimaglia dei rivoltosi e bombardati e presi prigionieri, mentre il cardinale Ferrari veniva preso a bersaglio dalla stampa laica e anticlericale con la calunnia di aver abbandonato Milano in momenti così difficili. Proprio alla scadenza del centenario è stato pubblicato un libro prezioso per l'interpretazione di quegli eventi. S'intitola La breccia del Convento di Monforte e l'autore è padre Fedele Merelli bravissimo archivista e limpido narratore della storia del Convento. La breccia offre una ricostruzione rigorosa, basata su un'infinità di documenti, un buon numero dei quali inediti. «H giorno 6 maggio» recita padre Fedele Merelli, attingendo alla rivista di iti L Ciiltà dei gesuiti La Civiltà Cattolica, «poco dopo il meriggio, due guardie arrestarono un operaio che distribuiva un manifesto dei socialisti milanesi e fu la scintilla dell'incendio. All'improvviso s'adunarono una moltitudine infinita di operai che chiedevano la liberazione dell'arrestato. Due deputati socialisti, Turati e Rondani, parlamentarono con la folla, inducendola alla tranquillità, annunziando la prossima liberazione dell'arrestato, come avvenne e l'abolizione del dazio sul consumo delle farine e sul pane per parte del municipio. Ne seguirono grandi applausi ed evviva al socialismo coll'inno de' lavoratori. Altri operai intanto si erano recati alla delegazione di pubblica sicurezza, lanciando sassi alla questura, infrangendo i vetri. Le guardie uscite scaricarono i fucili uccidendo cinque o più persone, ferendone parecchie. Il primo che morì sul colpo fu portato al cimitero in un tranvai attorniato da 500 persone, frementi d'ira e di sdegno...». E' singolare notare quali ottimi cronisti possano rivelarsi i gesuiti. La Civiltà Cattolica fa testo per quanto avvenne il giorno 7 maggio e seguenti, le lotte tra gli insorti e la cavalleria a Corso Venezia con il disselciamento della strada per lanciare pietre contro i cavalli e i soldati, il rovesciamento degli omnibus, la costruzione di barricate e l'inizio dei saccheggi a palazzo Saporiti, in via Torino, alle Colonne di San Lorenzo, una vera e propria rivolta, tale da far quasi scomparire al paragone le cinque giornate famose di cinquantanni prima. Così il pomeriggio del 7 maggio il governo proclamò con regio decreto lo stato d'assedio nella provincia di Milano, e da quel momento il generale Fiorenzo Bava Beccaris, comandante del 3° corpo d'armata assunse la carica di regio commissario straordinario di Milano con pieni poteri. Una delle conseguenze della proclamazione dello stato d'assedio fu la proibizione di ogni assembramento che sarebbe stato difficile controllare e che avrebbe potuto diventare una minaccia all'ordine pubblico. Al Convento di Monforte, era come è sempre costume dei frati cappuccini, condividere le offerte raccolte per le propria sussistenza con i poveri. Alle ore 10 di ogni mattina incominciavano ad arrivare uomini e donne sulla piazza del Convento e si sedevano ad aspettare il momento, tra le 11 e le 13, in cui avveniva la distribuzione del cibo. Tra i frati ci fu una discussione sull'opportunità o meno di prestale il solito servizio ai poveri in quei giorni. Il Guardiano, ovvero il superiore del Convento ordinò di non fare la distribuzione, ma poi giunse un contrordine, così si formò ugualmente una folla di poveri alla porta del Convento contro il divieto militare. Alle 11 del 9 maggio i frati si riu- nirono in coro per la recita dell'Ufficio divino. Alle 11,30 passarono al refettorio per il pranzo. Tutto procedeva come gli altri giorni. L'unica diversità era la dispensa dal silenzio che di solito si teneva alla mensa e la conversazione che verteva, naturalmente, sui fatti del giorno. Non tutti avevano avuto modo di vedere ciò che accadeva intorno al convento, ma i più informati facevano una relazione. Ad un certo punto si udì una scarica di forte e insistente fucileria. Fedele Merelli fa parlare un protagonista, padre Isaia: «Ossequienti al comando superiore ci ritirammo tutti. Dalla mia cella io potei vedere i Milano attentamente che non si scorgeva nessuno, ne faccio formale e solenne giuramento. Mentre così stavo pensando e ossservando sentii la cavalleria dalle parti di porta Vittoria avvicinarsi a porta Monforte con una carica così furibonda e così vertiginosa, quale può immaginarsi solo nei momenti di lotta suprema. A quel fulmineo passaggio di distruzione e di morte i soldati allineati davanti alla Chiesa e sui bastioni risposero con una nuova, insistente nutritissima fucileria contro il Convento, sul quale le pallottole fischiavano e cadevano come fitta gragnola. Che era successo?...». La risposta potrebbero darla solo gli ufficiali che impartirono l'ordine di sparare, dice l'autore di Lo breccia del Convento di Monforte. E ci propone molte lucide spiegazioni di quanto avvenne poi. Al militare italiano non bisognerebbe mai mettere in mano un'arma, perché si spaventa troppo e può far delle mattane. Avendo scambiato i poveri sfamati dai frati per pericolosi delinquenti in rivolta i militari del generale Fiorenzo Bava Beccaris aprirono il fuoco con un cannone contro il Convento di Monforte. Dopo la quarta cannonata irruppero attraverso la breccia a baionetta inne1 stata. Li comandava un tenente completamente fuori di testa. Un frate di buon cuore, Padre Isaia ebbe timore che l'esaltato si mettesse a sparare con la pistola che impugnava e gliela tolse di mano. Di qui nacque la diceria che i frati fossero armati. Padre Isaia restituì la pistola al tenente Ettore Mazzucchi del 7° fanteria, sperando di averlo calmato, ma quello era prò prio andato. Non faceva che ripetere: «Frataccio cane!». Padre Isaia fu malmenato, ferito e arrestato insieme con gli altri frati. Sul viale Mon forte erano schierate la fanteria, rartiglieria e la cavalleria. All'ap parire di padre Isaia i soldati mandarono un urlo di gioia e di vittoria come se fosse stato finalmente catturato il capo dei rivoltosi... Non c'è da dire. L'esercito italiano combatte sempre delle guerre speciali e ottiene delle vittorie ancora più speciali. Oreste del Buono Giorgio Boatti 1 II generale Fiorenzo Bava Beccaris che assunse la carica di regio commissario straordinario di Milano Testi citati: Archivio Generale dell'ordine cappuccino con numerazioni secondo il catalogo redatto da P. Fedele Merelli sulla base delle microfiches depositate in A.P.C. Paolo Valera L'assalto al convento. Narrazione documentata Milano 1899 Talete de Carpi (Padre Felice da Porretta) La breccia del convento di Milano nel 1898 Firenze 1910 Carlo da Milano (Domenico Varischi) I tumulti del '98 a Milano e la breccia del Convento di Monforte in città di Milano. 75. 1958. n. 5. pp. 284-290 Fedele Merelli La breccia del Convento di Monforte NED, 1998