«La missione è compiuta in cucina basta un cuoco» di Roberto Ippolito
«La missione è compiuta in cucina basta un cuoco» «La missione è compiuta in cucina basta un cuoco» INTERVISTA IL DIRETTORE «INGOMBRANTE» ROMA ISSIONE impossibile. Cesare Vaciago ha lavorato per risanare le poste, le ferrovie e perfino gli autobus a Roma. Ma perché lascia l'azienda delle Poste, di cui è stato finora direttore generale, ora che si tenta il rilancio? «Un proverbio popolare - risponde - dice che troppi cuochi guastano la cucina». E alle Poste... «Aziende come queste richiedono una leadership unica e perciò è legittimo che il consiglio di amministrazione abbia preso questa determinazione». Adoperando queste parole vuol dire che lei non si è dimesso? «Personalmente avevo già sottolineato questa incompatibilità nel febbraio scorso, quando intervenne la nomina del dottor Corrado Passera ad amministratore delegato. Lui stesso, però, e il presidente del Consiglio professor Prodi mi invitarono a fermarmi per accompagnare la nascita del nuovo assetto delle Poste (conseguente alla trasforma- zione da ente in società per azioni alla quale avevo lavorato) e per perfezionare il delicato accordo sindacale che stavo negoziando. L'accprdo è poi stato firmato con la piena intesa dell'amministratore delegato e del consiglio di amministrazione il 2 luglio». Di cosa si tratta? «L'accordo costituisce la più grossa innovazione in materia di organizzazione del lavoro postale, di flessibilità dell'impiego e di penalizzazione dell'assenteismo anomalo e pone le basi, con una importantissima e leale adesione sindacale, per il rilancio strutturale della società. E adesso è statp^varato il nuovo assetto organizzativo al quale ritengo di aver dato un contributo significativo». Allora, per quanto la riguarda, missione compiuta? «Mi sento in grado di dire di sì». Ma non le dispiace andar via proprio adesso? «Questa è un'azienda molto bella che ha in sé le potenzialità per recuperare quell'immagine nel mercato che si è deteriorata soltanto negli ulti¬ mi anni. Quindi il dispiacere c'è, ma accomunato alla fiducia nel gruppo dirigente postale che si è insediato e alla speranza che l'amministratore delegato si dimostri all'altezza della sua fama». Lei credo che le Poste possano davvero migliorare? «Sono certo che questo è possibile e che l'accordo sindacale che abbiamo siglato ne pone le condizioni per quanto riguarda il lavoro. L'esperimento che abbiamo condotto a Torino, proprio sotto lo stimolo del suo giornale critico per i disservizi postali, ha dimostrato che in tre mesi di azione determinata le situazioni di crisi più grave possono essere risolte. Non dico che dappertutto ci si metta così poco tempo. Però so che ci sono i dirigenti, come il caso Torino prova, che sono in grado di farlo». Insomma le Poste, secondo lei, possono non essere Cenerentola? «Oggi la crisi è certamente grave. Occorre però dire che le Poste e le Ferrovie costituiscono un poco il muro del pianto del disservizio, forse perché tutti gli italiani hanno nel loro immaginario un ricordo piace¬ vole di queste realtà e si sentono un po' traditi dal disservizio quotidiano». Lei ha lavorato sia per le Poste che per le Ferrovie: quale azienda è più difficile da risanare? «Certamente le Ferrovie hanno al loro interno problemi strutturali più gravi. Grava su di loro il peso storico degli ammortamenti della rete. In compenso godono di un mono polio strutturale almeno limi tatamente alla loro fascia di mercato». E le Poste invece? «Sono avvantaggiate dal fatto di avere investimenti più leggeri, ma sono in una situazione più critica perché il loro regime di monopolio è già oggi violato ed è comunque destinato a finire il primo gennaio 2003 per effetto della direttiva europea. Quindi il risanamento delle Poste è più facile, ma la minaccia competitiva si presenta più grave». E lei, lasciate le Poste, sta già pensando a impegnarsi in una nuova missione impossibile? «Chi lo sa, può darsi...». Roberto Ippolito «Già da febbraio avevo parlato di incompatibilità Ma poi Palazzo Chigi mi pregò di rimanere» Cesare Vaciago direttore generale dimissionario
Persone citate: Cesare Vaciago, Corrado Passera, Prodi
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