«Scarpette rosse addio Ma la resa è un oltraggio»

«Scarpette rosse addio Ma la resa è un oltraggio» Lo sfogo di Sandro Riminucci, bandiera della gloriosa società di basket di Milano in liquidazione «Scarpette rosse addio Ma la resa è un oltraggio» LA CRISI DI UN MITO CI sono dei simboli che, dopo essersi spinti al di là degli umani confini, hanno trasformato la cronaca in storia, attingendo agli strumenti non già dell'enfasi, ma dell'epica. Uno di questi simboli è stato, ed è, l'Olimpia Milano, culla e scrigno del basket nazionale, di cui oggi tanto si parla perché il suo proprietario, Giuseppe Stefanel, ha deciso di metterla in liquidazione. Da sempre, la pallacanestro italiana ha ingurgitato pasticche di sponsor in dosi così massicce da venirne, spesso, sfigurata. Sono poche, pochissime, le società primigenie che hanno resistito a queste cure da cavallo, senza perdere o barattare l'anima anche nell'attimo fatale, e fatidico, della resa dei conti. Borletti e Simmenthal, Cinzano e Billy, Simac, Tracer e Stefanel: nessun abbinamento, nessun partner è mai riuscito a scalzare dal cuore e dai titoli quella ragione di vita e di sport che l'Olimpia ha sempre gloriosamente divulgato e affermato. Le scarpette rosse. Il segno distintivo si nascondeva nelle suole e, da lì, si arrampicava a canestro. «Fu una trovata di Cesare Rubini, il guru del nostro basket, un uomo al quale devo molto, se non tutto» Sandro Riminucci fatica a destreggiarsi fra Scilla e Carid di, fra un presente senza futuro e un passato che era sempre e comunque futuro, lui l'Angelo Biondo che da Pe sarò salì a Milano per studiare, «ai miei tempi, parlo degli Anni 50, si andava a giocare dove si andava a studiare, e scegliendo la Bocconi non potevo che scegliere l'Olimpia», che era stata fondata nel 1936 da Adolfo Bogoncelli, dirigente tutto d'un pezzo, romantico pioniere per come sapeva spostare sempre più avanti- i paletti del proprio accampamento. Riminucci ci ha vinto nove scudetti, dei 25 in bacheca, e ha contribuito alla conquista della prima, storica, Coppa dei Campioni, nel 1966. Altri tempi. Se Bogoncelli è stato il padre fondatore, Ru bini è stato tutto, giocatore, allenatore, manager, megafo no, agitatore di menti. «L'i dea delle scarpe rosse - rac conta Riminucci - gli venne dal basket americano, che allora, più di oggi, costituiva il modello privilegiato e assolu to cui rifarsi. Una trovata geniale. I giornali scrivevano ancora pallacanestro. Rubini travolse i luoghi comuni, e pur di recuperare spazio e cu riosità s'inventava polemi che, si atteggiava a fustigato re». Lo stile Olimpia. Un modo di fare, più che un modo di di re. Successi a palate. E un'ammirazione che sfociava in energiche rivalità, nel classico odio che tutti, chi più chi meno, provano nei confronti degli unti del Signore. Scuola triestina, la scuola di Bogoncelli e Rubini, in salsa italiana con sottofondo americano. Bill Bradley oggi è senatore degli Stati Uniti. Nel 1966 studiava a Oxford e ogni settimana si paracadutava al Palalido o sui campi di mezza Europa pur di portare il suo mattone alla leggenda. Un fatto inedito e clamoroso, in relazione al periodo e ai bilanci in vigore. Di soldi ne gi- ravano pochi. La Coppa dei Campioni fruttò, ricorda Riminucci, una medaglia d'oro e una riproduzione in argento del trofeo. Stop. «Qualche spicciolo Bogoncelli ce lo sganciò quando, prima squadra italiana, andammo a vin¬ cere in Unione Sovietica». Stile e stiletto, ma soprattutto uno spirito eccezionale. Giocare nell'Olimpia era come giocare per i Boston Celtics o per il Real Madrid o correre per la Ferrari: un segno distintivo concesso a po- chi eletti. E, dunque, da legittimare di partita in partita, meglio se sani, meglio ancora se fratturati. «Glielo dice uno che ha perso il oonto delle volte in cui è sceso in campo con il naso rotto - cinque, forse - o con una vertebra am¬ maccata, o con i muscoli sfilacciati. Non era eroismo a buon mercato. Era la fierezza che ti dava l'essere dell'Olimpia, per la quale avvertivi l'esigenza di dare tutto, anche se eri nessuno». Rubini e Sandro Gamba, Romanutti e Stefanini, per tacere di Ricky Pagani, «lo trovai a Milano, un fenomeno sotto canestro ma non solo, fece un film con Lea Massari, "Sogni nel cassetto", per la regia di Renato Castellani: andò anche alla Mostra di Venezia... Che tipo, Ricky». E poi Arthur Kenney, il Rosso. E poi Dan Peterson, Mike D'Antoni, Bob McAdoo, fino all'ultimo scudetto del 1996, firmato da Boscia Tanjevic, oggi et azzurro. Citare è un esercizio rischioso, si corre il rischio di dimenticare qualcuno, di trascurare qualcosa. Le spoglie dell'Olimpia non possono non fare gola. Hanno riscritto lo sport, hanno accompagnato la crescita di Milano, hanno agevolato lo sviluppo di tanta gioventù. A 63 anni, e dal suo osservatorio di Riccione, Riminucci non crede a quello che legge sui giornali. 0 meglio: non intende crederci: «Questa Olimpia in mezzo a una strada è un oltraggio alla memoria e alla cultura del Paese», così come il Palalido di Piazzale Stupa- rich era diventato una tana piratesca, lasciate ogni speranza o voi che entrate. L'Angelo Biondo s'interroga attonito: «Possibile che Milano abbia deciso di voltare le spalle a un pezzo della sua storia?». Cesare Rubini è un leone in gabbia e, da lassù, Adolfo Bogoncelli non sa se ridere o piangere, lui che gettò il seme e si buttò, famelico ma signorile, sul raccolto. L'Olimpia è stata un sasso nell'acqua stagnante del nostro basket. «Tutto quello che abbiamo realizzato - s'illumina Riminucci - l'abbiamo fatto per passione. Ogni partita, una missione: i cicli nascono così. Gli ingaggi faraonici che girano oggi non mi eccitano. Sono contento di essere vissuto nel mio tempo». Sul tappeto, resta una miniera d'oro, fra scudetti e coppe. Sandro Riminucci passa ma non chiude alla speranza, visto quanto ha lasciato di suo dentro a quelle scarpette non più rosse, ma sempre magiche. «Giocare per questa squadraci dava una fierezza eccezionale I soldi non c'entravano» «La città non può voltare le spalle a un simbolo che ha riscritto lo sport» I TITOLI CONQUISTATI COPPE ì **C COPPA INTERCONTINENTALE