Ulivisti e diessini, separati in casa di Cesare Martinetti

Ulivisti e diessini, separati in casa Viaggio nell'Emilia «rossa». Nei dibattiti alle Feste dell'Unità emergono attriti e accuse: linea sbagliata, scarsa democrazia Ulivisti e diessini, separati in casa 9m.1 " *T jM : :T, ;'r. Al congresso d'autunno lo scontro finale D'Alema-Veltroni? *f 0.7 i IL CASO IL DUELLO B2SB BOLOGNA DAL NOSTRO INVIATO Avanti popolo, non più quello della classe operaia e dei «ceti medi», ma della partita Iva e dei discount (quello che mantiene la famiglia con due milioni al mese e deve fare la spesa dove la roba costa meno). Avanti sindaci, quelli scelti dall'Ulivo e non più per cooptazioni di partito. Meno Stato, più famiglia, sì perché anche qui la mitica macchina rossa dei servizi sociali sta perdendo colpi: costa troppo e non tiene più. Avanti Ulivo e in soffitta il vecchio partito togliattiano che voleva l'Emilia, ad ogni costo, allineata sul Bottegone. Gli ulivisti attaccano, il partitone emiliano è in crisi, c'è un grande disordine sotto il cielo diessino, qui a Bologna. La settimana di passione di Massimo D'Alema arriva come l'onda lunga di una crisi di identità del ceto politico, si parla - persino di «federalismo», nel senso di partito «emiliano» per affermare un'autonomia che l'appiattimento della nomenklatura sul segretario nazionale ha reso quasi una necessità. «Quattro idee, sette proposte», questo il documento (con citazioni di Tony Blair) che gli ulivisti hanno mandato nei giorni scorsi al partito. Mauro Moruzzi, 50 anni, ex assessore, il migliorista che a metà degli Anni 80 suggerì al pei di cambiare nome rischiando provvedimenti disciplinari, ci spiega: «Abbiamo semplicemente proposto al partito di ripensare il modo di fare politica». In concreto, nell'elezione dei sindaci gli ulivisti vogliono che i candidati siano di coalizione e vengano scelti sulla base di elezioni primarie tra i cittadini che dichiarano di votare Ulivo. Si pensa alle elezioni di Bologna (primavera 99) e la corsa è già partita. Proposta accolta? «Sì, dopo mesi e mesi di freddezza». Ecco, il fatto è che questa sfida Veltroni-Bassolino contro D'Alema, ulivisti contro diessini è difficile da spiegare perché sui contenuti e il concreto delle cose, probabilmente non c'è differenza. Ma sul come si fanno, sì. E anche nell'Ulivo ci sono gli estremisti. Bassolino e Veltroni dicono «costituente»; un uomo di punta del partito emiliano, l'ex in graiano Antonio La Forgia, presidente della Regione, dice addirittu ra «partito dell'Ulivo». E quando gli chiediamo che cosa vuol dire, non usa giri di parole: «Vuol dire che tutti i partiti che compongono l'alleanza si devono sciogliere in un unico partito. Certo, contano le sto rie e le tradizioni diverse. Contano le ideologie, ma esse appartengono alla prima Repubblica. Oggi io non vedo crinali programmatici né differenze che giustifichino partiti di versi». In Emilia è suonata una campana pesante, alle ultime elezioni di Parma, dove la sinistra ha perso per la prima volta le elezioni: «Brutta botta - dice La Forgia - ed ha dimostrato che persino qui, senza Ulivo, non si vince più: un Ulivo di qualità, con tutte le sue componenti». Si va verso lo scontro finale, al congresso d'autunno che, come ha scritto l'Unità domenica scorsa, D'Alema vorrebbe di contrapposizione vera: lui con il suo documento (non emendabile), e le sue ragioni; Veltroni con un altro documento e «altre» ragioni. Senza rete, senza mediazioni. Gli Ulivisti sono già all'attacco; i dalemiani subiscono. E' in forse la liturgia emiliana, di un partito che fu un tempo il più pragmatico e insieme il più stalinista, il più riformatore, ma anche il più ortodosso. Sia chiaro: dopo il fiftyfifty del '94, quando metà dei segretari emiliani si schierò con Veltroni e l'altra metà con D'Alema, ora il partito è saldamente nelle mani dei dalemiani. Agli ulivisti viene attribuito un 10 Der cento. Ma si sa che le sezioni bollono, nelle feste dell'Unità emergono attriti: linea sbagliata, scarsa democrazia. La leadership dei dalemiani sarebbe insomma un altro aspetto delia patologia emiliana esplosa così drammaticamente nella sconfitta elettorale di Parma: autoselezione del gruppo dirigente, dalemiano «forse per convinzione, certo per conformismo», accusa Gianfranco Pasquino politologo eretico dell'area pidiessina. Pasquino punta sui «consiglieri» del segretario, che non sono «all'altezza di D'Alema», ma gestiscono un grande potere, sono al suo orecchio, «alimentano il volano del conformismo e in definitiva non gli rendono un buon servizio». L'analisi di Pasquino è impietosa: manca la circolazione delle informazioni, non c'è più la «consultazione degli iscritti» che apparteneva alla liturgia del vecchio pei, dalla base non partono sollecitazioni, se si arriva alla scontro ci si conta e vincono sempre loro. «I segretari non informano il segretario per non disturbarlo. E a sua volta il segretario li spiazza con decisioni improvvise, com'è successo con la commissione per Tangentopoli». Dopo il patatrac di Parma, si fanno sondaggi segreti per capire che aria tira a Modena. Probabilmente anche per Bologna dove non è affatto detto che il sindaco Vitali sia ricandidato: gli ulivisti vogliono le «Drimarie» e aeitano l'incubo di una Parma bis. Là è esplosa la variabile di un candidato della sinistra utopica che ha spezzato l'elettorato. C'era un sindaco Ds non molto simpatico. Ha vinto un candidato ex de di centro sinistra che ha raccolto i voti della destra. Ma è stata sconfitta l'inerzia del potere, la sclerosi di una nomenklatura autoreferenziale. Il segretario locale è già stato giubilato. Qui a Bologna la situazione non è meno complessa. C'è nostalgia per quel miracolo politico compiuto da Zangheri negli anni in cui gli autonomi di Bifo e radio Alice mettevano a ferro e fuoco la città e il sindaco capì la rabbia della gente. Fu allora che si saldò il patto sociale bolognese. Adesso le nuove aree pedonali di piazza Verdi e piazza Aldrovandi volute dal comune sono diventate zona franca per gli spacciatori. I borghesi piccoli e grandi che applaudirono Zangheri, fischiano Vitali. Forza Italia raccoglie firme per strada e arrivano anche quelle di vecchi comunisti. Fabrizio Matteucci, 40 anni, di Ravenna, segretario regionale, è uno su cui casca l'accusa di conformismo lanciata da Pasquino. Come risponde? «E' sconfortante e non so nemmeno se devo difendermi...» Poi dice: «La linea di D'Alema era giusta, è stato il Polo a fare confusione». Si autodefinisce un «pompiere» («L'etica della responsabilità va combinata con quella della convinzione») e in definitiva fa di tutto per smussare gli angoli, negare le differenze e guadagnare tempo: «Con chi sto? Con D'Alema, con Veltroni e con Bassolino: sarebbe un grosso guaio se ci abbandonassimo alla fiera delle vanità. Il vero problema che io vedo è che il gruppo dirigente nazionale non è sempre abbastanza coeso, non dà l'idea di essere una squadra. Ma l'Unità sbaglia: al congresso ci sarà una mozione unica non vedo differenze e se fosse diventato segretario Veltroni avrebbe fatto la stessa politica». Per non smentire Pasquino, an che Alessandro Ramazza, segretario di Bologna, dice più o meno le stesse cose di Matteucci: «Non vedo differenze tra D'Alema e Veltroni. Forse di accenti...» Ma poi, gratta gratta, la differenza salta fuori, n dalemiano Ramazza (che si dice potrebbe fare il candidato sindaco nel caso Vitali sia «promosso» ad altro incarico) è chiaro: «Il nostro partito deve continuare ad essere molto popolare e radicato perché se diventa un comitato elettorale o il "partito del governo" rischia di diventare astratto e, se si perdono le elezioni, di svanire». E se, restando così, si perde Bologna? Cesare Martinetti Il partitone emiliano ormai è in crisi: si vuole più autonomia dal «Bottegone» Meglio la Costituente o il partito unico? Nel Pds bolognese vince il segretario Nella foto a sinistra Walter Veltroni Qui accanto il sindaco di Napoli Antonio Bassolino