Bossi, condanna a 7 mesi per la rissa in via Bellerio

Bossi, condanna a 7 mesi per la rissa in via Bellerio Bossi, condanna a 7 mesi per la rissa in via Bellerio MILANO. Resistenza e oltraggio a pubblico ufficiale: per questo reato Umberto Bossi, leader della Lega Nord, è stato condannato a sette mesi di reclusione, nonché al pagamento di una provvisionale di cinque milioni a due agenti che si erano costituiti parte civile. Per lo stesso reato sono stati condannati a otto mesi Roberto Maroni, ex ministro dell'Interno, il segretarie della Lega Lombarda Roberto Claderoli, i parlamentari leghisti Davide Caparini e Mario Borghezio e l'esponente dello stesso partito Piergiorgio Martinelli. La sentenza è stata pronunciata dal pretore Anna Maria Gatto che ha sostanzialmente accolto le tesi dell'accusa, rappresentata da Tiziana Siciliano: solo una lieve riduzione di pena (il pm aveva chiesto la condanna a un anno per tutti gli imputati) dovuta alla concessione delle attenuanti generiche. Al centro del processo quanto avvenne il 18 settembre del 1996 alla sede della Lega, in via Bellerio a Milano. Quel giorno si presentarono lì alcuni agenti della Digos: dovevano eseguire una perquisizione ordinata dal procuratore di Verona, Guido Papalia, titolare di una complessa inchiesta sull'attività del partito di Bossi. Quel giorno a presidiare la sede c'era quasi l'intero «stato generale» della Lega che cercò di opporsi alla perquisizione: strattonamenti tra militanti e agenti, placcaggi e botte. Roberto Maroni, in seguito agli scontri, fu portato all'ospedale. Dove finirono anche i due agenti che si sono costituiti parte civile al processo; ad uno fu strappata la giacca, un altro venne buttato a terra e lo stesso Maroni - è stato stabilito al processo - lo tratteneva per i piedi. Durante il processo è stato eseguito anche un sopralluogo in via Bellerio, per cercare di ricostruire la dinamica degli incidenti e per capire se una stanza, alla cui porta era stato appeso il cartello «on. Maroni», fosse davvero di esclusiva pertinenza del deputato. Un particolare, questo, su cui ha puntato la difesa della Lega, sostenendo che «era stato violato l'ufficio di un parlamentare»: cosa negata dall'accusa, e il pretore è stato dello stesso avviso. Così come ha accolto la tesi che quanto avvenuto in via Bellerio non aveva nulla a che vedere con i reati d'opinione. «Sarebbe ben triste aveva osservato la pm Siciliano - che il mandato parlamentare prevedesse anche prendere a % calci e pugni la gente e in particolare i poliziotti». L'avvocato di Bossi, Matteo Brigandì, aveva invece sostenuto che, per portare avanti il processo, occorreva l'autorizzazione della Camera perché in via Bellerio Bossi e Maroni avevano agito nell'ambito del proprio mandato. «E' stato un processo politico - commenta Brigandì dopo la sentenza -. E' stato un vero e proprio oltraggio fatto al Parlamento. Queste cose avvenivano soltanto sotto il fascismo, evidentemente anche adesso siamo in fase di regime». Di «regime» parla anche Luciano Gasperini, capogruppo della Lega al Senato. Ma il pre¬ sidente Nicola Mancino gli ha risposto che «regime è una parola che non posso assolutamente accettare» e che «non c'è obbligo di impunità» per i parlamentari. E se Maroni se la cava con una battuta («Ad essere picchiato e mandato all'ospedale oggi si rischia la galera») Umberto Bos- si fa della sua condanna uno degli argomenti del veemente discorso pronunciato ieri, durante il dibattito sulla fiducia al governo Prodi. «Lei - dice rivolto al presidente del Consiglio - sostiene una magistratura incapace di intermediare tra Stato e società. Per quanto tempo potremo sopportare di essere giudicati da magistrati razzisti, che condannano parlamentari picchiati da poliziotti di regime?». Bossi fa anche un chiaro paragone con i guai giudiziari del leader di Forza Itaha: «Non è secondario - dice - se Berlusconi sia o no mafioso, ma è grave che il governo condanni i reati di opinione e salvi i mafiosi; c'è la ragion di Stato a difendere la società dei magnaccioni». «Quello che fa vergognare - sostiene an cora Bossi - è che questo Parla mento condanni per le parole che ho detto durante i comizi: è peggio del fascismo». Immanca bili poi le invettive contro il ma gistrato Papalia e contro lo stesso pool Mani Pulite che «colpì la Lega con la storia oscura di 200 milioni di origine Enimont di cui io non sapevo assolutamen te nulla». [r. m.] Lo stato maggiore della Lega si ribellò alla perquisizione ordinata da Papalia li segretario della Lega Nord Umberto Bossi. A destra Marcello Dell'Utri

Luoghi citati: Milano, Verona