«Solidarietà non è lassismo»

«Solidarietà non è lassismo» Politici e volontariato replicano allo scrittore Frutterò che addebita al «troppo buonismo» i guai della citta «Solidarietà non è lassismo» E in procura promettono un giro di vite punta il dito: «Ci sono associazioni che, con i soldi del Comune, ospitano, nutrono, curano persone senza domandare: "Come vivi? Spacci?". Capita che un senegalese a cui a Napoli è stato trapiantato il cuore arrivi a Torino con un chilo di droga. Così dà un calcio alla società». A Frutterò domanda: «Perché dice: "Questa giunta va male, ma il Polo non sarebbe meglio"? Ci metta alla prova!». Nel rnirino, dunque, c'è il volontariato, accusato di aprire le porte a chiunque. Predo Olivero, responsabile del Servizio migranti della Caritas ribatte: «Dico che occorre investire nella cultura della tolleranza e dell'accoglienza, abbinate alla lega¬ lità». Aggiunge: «Soprattutto bisogna perseguire la grossa illegalità. Non militarizzare i quartieri, ma colpire dove si conosce bene. Torino denunciò la tratta delle donne nell'88, ma per cinque anni non si è colpito. Occorre individuare i fenomeni grossi, le bande armate, lo spaccio grosso». E ricorda che intervenendo i problemi si possono risolvere: «Nella comunità nigeriana il numero delle prostitute si è ridotto e tra i ragazzini ambulanti marocchini e gli albanesi piccoli spacciatori oggi 141 sono a scuola. Perché metterli in carcere quando c'è un metodo formativo che U volontariato propone?». E anche Ernesto Olivero, del Ser- mig, sostiene che si perdono troppe occasioni: «In questa città deve nascere un modo diverso di affrontare il carcere. Dovrebbe essere come l'ospedale, dal quale si esce guariti. Invece ogni anno passano nelle carceri migliaia di persone che escono più arrabbiate e perdute». C'è una categoria che nelle polemiche politiche non interviene, ma spesso è messa sotto accusa perché molti arrestati finiscono liberi immediatamente: i magistrati. Negli uffici giudiziari si parla di giro di vite: basta con i patteggiamenti per certi reati che comportano pericolosità sociale. I sostituti raccontano il loro lavoro e dai loro discorsi, più che una propensione al buonismo, emerge l'affanno del sistema giudiziario: troppi fascicoli da rincorrere, priorità mai dichiarate, ma esercitate in base al criterio del peso sociale dei reati. Conclusione: si patteggia una, due volte con i piccoli spacciatori, oggi prevalentemente stranieri, una pena che consente loro di uscire dal carcere rapidamente. Un pm: «Dopo le retate ci arriva ogni volta una valanga di questi spacciatori; rappresentane un extra rispetto alle nostre indagini ordinarie. Ci si domanda provocatoriamente: è il caso di lasciar perdere il resto, cioè le inchieste per i reati più gravi, dalla corruzione in su?». A sinistra, il filosofo Gianni Vattimo e, sopra, Ernesto Olivero fondatore del Sermig La provocazione di Carlo Frutterò che ha definito Torino una città buonista - ha acceso il dibattito tra forze politiche e volontari. Ma il giudizio dello scrittore non è ampiamente condiviso: Torino cattiva, mal governata, giustamente generosa. A destra o a sinistra i giudizi mutano. Emerge un quadro variegato di una città difficile da giudicare dove spesso alcuni problemi esplodono, mentre in silenzio molti vengono risolti. Non ha dubbi il vicesindaco, Domenico Carpanini: «Non credo che il problema sia un presunto buonismo. La tradizione solidarista della città non è mai stata caratterizzata da lassismo e permissivismo sul terreno della legalità». Fa un esempio: «Don Ciotti è uno degli esponenti più impegnati nella solidarietà; è scortato per il coraggio delle sue battaglie contro le narco-mafie». Ricorda: «Torino è la città che sta dando esponenti fondamentali alla cultura nazionale della legalità si pensi a Violante, Caselli, Conso, Grosso, Zagrebelsky». E allora semmai il problema è il contrario di quello che appare: «Proprio perché Torino è particolarmente sensibile al valore della legalità non si accontenta di sentirsi dire che altrove le cose sono peggio. Ma questo è un merito, non un difetto». Marco Revelli, di Rifondazione, ribalta le parole di Frutterò: «Questa è una città troppo sorda. Frutterò vede una Torino deamicisiana, io vedo una Torino cattiva che si sta chiudendo: penso alle reazioni di quella Santa Rita che scende in piazza per negare a 50 senza tetto il diritto a non morire di freddo. Penso alle proteste per l'arrivo del centro di corso Brunelleschi, che pur dovrebbe contribuire a risolvere il problema criminalità». Sposta l'analisi: «Torino è la città con la più bassa percentuale di extracomunitari impiegati in lavori normali. Negli Anni 60 la partita deh'immigrazione si vinse grazie al fatto che l'economia tirava. Oggi questo non c'è più». Anche per Daniele Cantore di Forza Italia «l'essere da sempre Torino città aperta e tollerante» è un valore e non un eccesso di buonismo. Il problema è che a questo atteggiamento «si risponde troppo spesso con atti contro la città». Aggiunge: «C'è una criminalità crescente che offende la civiltà di Torino». Accusa: «Penso che per troppo tempo ci sia stata una sottovalutazione del problema. Se si trova neU'amministrazione attenzione all'emergenza si può rispondere in senso positivo». Usa una immagine: «Torino è come una spugna che ha ricevuto molto e ora non riesce a mettere ordine». Dal tema della criminalità passa alle tensioni generate dagli squatters: «Se non vogliono dialogare chiudiamo i centri sociali che sono tutti in edifici comunali». E' duro Agostino Ghiglia di An: «Frutterò è un intellettuale; ma la realtà è che Torino è governata dalla peggior giunta dell'Ulivo in Italia. Lo si è visto anche alla elezioni con Castellani rieletto per il rotto della cuffia». Enumera: «Perché a Torino non si controlla chi abita nelle case? Non si chiudono i circoli ricettacolo di delinquenza? Non si impedisce di vendere abusivamente o di lavare vetri. Nelle rosse Bologna e Firenze queste cose non accadono. Il problema non sono le leggi è la giunta». Raffaele Costa di Forza Italia è convinto che «del buonismo ci sia» e pcndCpaddgbrib