Quando il mare arriva al cielo

Quando il mare arriva al cielo L'onda non ha risparmiato i bambini: ora si parla di 6000 morti, ma potrebbero essere di più Quando il mare arriva al cielo Papua, una generazione spazzata via OPORT MORESBY UI vivevano seimila persone. Oggi, distribuite in sei campi di accoglienza, ce ne sono 3056. Sulla base di queste cifre, posso dire che alle undici di stamani circa tremila persone risultano morte o disperse». Con questo laconico comunicato, il governatore del Sepik, John Tekwie, dava lunedì la misura della tragedia che, venerdì notte, ha sepolto sotto un'onda di dieci metri quattro villaggi: Vanimo, Sissano, Arop e Aitape. Era una delle regioni più incantevoli di Papua Nuova Guinea, un remoto paradiso tropicale dove, tra la laguna e l'oceano, vivevano diecimila persone. Ieri, le ultime notizie davano seimila persone, tra morti e dispersi. Centinaia di corpi fluttuano ancora sul mare e sulla laguna, spesso imprigionati tra le radici delle mangrovie. Intanto gli animali si avventano sui cadaveri pietosamente coperti di paglia. E subito vengono abbattuti, perché non diffondano infezioni. Era un giorno di vacanza, in quel paradiso. Fabian Tombre sedeva sulla spiaggia davanti alla sua capanna, ad Arop, quando ha sentito la terra tremare. Qualche minuto dopo, una gigantesca onda ha colpito il villaggio «come una bomba». Rob Parer, un uomo d'affari che si trovava ad Aitape, racconta di un ruggito come di aereo che decolla: «La gente era seduta in casa, cenava tranquilla, quando all'improvviso le pareti si sono messe a tremare. Allora tutti sono corsi verso la laguna. E' durato un lampo». Clara Atrakai stava cucinando quando ha avvertito un rumore di tuono. «Ho guardato fuori dalla finestra e ho visto arrivare le onde - ha raccontato -. Ci siamo messi tutti a correre, io mio marito e i bambini, e l'onda ci ha preso mentre ancora stavamo correndo». Quello è stato l'ultimo momento in cui Clara ha visto il marito e il figlio più piccolo, di due anni. Gli altri due li ha ritrovati più tardi, aggrovigliati tra le mangrovie, terrorizzati e in lacrime, la schiena devastata dai coralli divelti e trasportati dall'onda, ma ancora vivi. Sono dei miracolati. Perché, dei sopravvissuti, tre su quattro sono adulti. E in tante famiglie, l'unico ancora vivo è il padre. «Io sono forte e sono riuscito a tirarmi fuori dall'acqua - ha raccontato Raymond Nimis -. Era buio, ho sentito il terremoto scuotere la casa. Poi, il boato del mare che si rompeva, il muro d'acqua che ci veniva addosso. Abbiamo cercato di scappare, ma era troppo tardi. L'onda si è schiantata contro la casa. Un pezzo di legno si è staccato e mi ha colpito al petto. Ma sono vivo. Mia figlia, che aveva r~ o MIGLIA 1PONTI: USDEL DELAW un anno, no». Un'intera generazione di bambini è stata cancellata dalla terribile onda. «Quali possibilità di cavarsela può avere un bambino di due o tre anni, quando l'onda distrugge tutto, travolge chi è salito sugli alberi, passa sopra qualunque ostacolo? - dice u reverendo Austen Crapp -. Noi ancora speriamo che i bambini si siano nascosti da qualche parte, ma temiamo che siano annegati». Un pilota di elicotteri ha raccontato di aver visto un mucchio di corpi intrappolati tra le mangrovie: erano tutti bambini. Fabian Nakinsony stava pescando a bordo della sua canoa, nel villaggio di Warapu. L'acqua era calma e tutto sembrava tran- quillo come sempre, quando ha sentito un rombo lontano «come di aerei da guerra che stessero avvicinandosi». Racconta: «Il mare si è messo all'improvviso a bollire e, guardando verso il largo, ho visto la prima onda arrivare. Arrivava a una velocità pazzesca, era alta come un albero di cocco. La seconda onda era subito dietro e ha spazzato la gente sulla spiaggia e quel che restava degli edifici. La corrente era così forte che faceva correre la mia canoa come un motoscafo da competizione. Ho avuto paura come mai nella mia vita». Nakinsony è stato sbalzato fuori dalla canoa e gettato dall'onda sulle mangrovie, il piede intrappolato da una radice che forse gli ha salvato la vita. «La gente ruotava e ruotava nell'onda: alcuni sono morti subito; altri, feriti, chiedevano aiuto. E' durato tutto pochi secondi, poi l'onda è ritornata lentamente nel mare, sembrava che non fosse successo niente. Solo che la spiaggia era come più bella, con la sabbia nuova. E le case non c'erano più». L'intera famiglia di Nakinsony è stata spazzata via dall'acqua. Uno dei figli, Aaron, è morto; altri tre sono sopravvissuti. La mattina dopo, i sopravvissuti hanno cominciato la ricerca degli abitanti del villaggio trascinati in mare o nella laguna. Molti di loro, che avevano passato la notte nuotando, sono morti non appena riportati a terra. Anche Luisien Romme ha raccontato che l'onda era alta come gli alberi di cocco intorno alla sua casa: «L'acqua mi ha spinto contro un tronco e poi dentro la laguna dietro casa. Aveva la forza di un bulldozer, ha sbriciolato in un lampo la nostra capanna, che è fatta con materiale raccolto nel bush. In piedi sono rimasti sol tanto gli alberi. Io ho bevuto mol ta acqua, ma ho avuto la fortuna di tornare a galla accanto a una barca. Tutt'intorno a me la gente urlava, qualcuno è riuscito a salire sulla barca. Mi sono rotto soltanto due dita, ma mia moglie è morta». I sopravvissuti hanno vagato per ore tra le mangrovie e la giungla. Molti di loro avevano riporta to ferite che nel clima tropicale si infettano rapidamente. «Uscivano dagli alberi trascinandosi lentamente, avevano braccia rotte, gambe rotte, ferite alla testa» ha raccontato il tenente Brad Slater, che comanda un ospedale da campo allestito dall'esercito australiano. «Erano confusi, non capivano che cos'era successo». Qualcuno ha resistito per ore, in attesa dei soccorsi. Racconta un missionario, padre Gary Hill: «Sabato stavo ripescando alcuni corpi dalla laguna, quando ho sentito il rumore di uno spruzzo: era una donna con una gamba rotta, che aveva lottato tutta la notte per tenere la testa fuori dall'acqua, con intorno cinque cadaveri». I morti in acqua sono così tanti che, racconta uno dei volontari, occorre pilotare le barche con cautela, zigzagando in mezzo ai morti. Dice imo dei coordinatori dei soccorsi, William Mandui: «La laguna è piena di corpi, il mare è pieno di corpi, la giungla è piena di corpi. Dopo tre giorni nell'acqua i corpi, se li tocchi, si disintegrano. Contaminano l'acqua. Dobbiamo bruciarli subito, non possiamo aspettare che qualcuno li riconosca». Non si sa quante persone siano ancora nascoste nella giungla, ferite, affamate, con le gambe e le braccia rotte. Terrorizzate all'idea di dover uscire allo scoperto, quando un elicottero riesce faticosamente a raggiungerle. Perché pensano che quello sia un posto maledetto e non vogliono tornarci. Marina Verna «Quando lo Tsunami si è ritirato la spiaggia era come più bella, con la sabbia nuova. Però le case non esistevano più» Un pilota di elicotteri racconta«Ho visto un mucchio di corpiintrappolati tra le mangrovie Nessuno di loro era un adulto» LA DBNAM1CA DILLO TSUNAMI LO TSUNAMI P UN'ONDA 01 MAREMOTO CAUSATA DAL MOVIMENTO DELLE PLACCHE. LE ONDE POSSONO VIAGGIARE A1000 km/h AMANO AMANO CHE SI AVVICINANO ALLE ACQUE POCO PROFONDE DELLA COSTA, LE ONDE DIMINUISCONO DI VELOCITA' MA CRESCONO IN ALTEZZA. 1 L'AITÒ LA PLAT-rl 1 EPICENTRO DEL TERREMOTO 7,0 MAGNITUDINE SCOSSA SECONDARIA 5,7 MAGNITUDINE r~ o MIGLIA 100 AROP PAPUA NUOVA GUINEA WEWÀK* j _J TRE SECOLI DI MAREMOTI Luogo Morti 1887 KRAKAT0A (IND0N.) 36.000 1707 GIAPPONE 30.000 1896 SANRIKU (GIAPP.) . 27.000 1755 LISBONA 10.000 1998 PAPUA N. GUINEA 6000 1933 SANRIKU (GIAPP.) 3000 Un'immagine della zona costiera di Papua Nuova Guinea colpita venerdì scorso da tre ondate di maremoto che hanno spazzato via interi villaggi e i loro abitanti A sinistra le difficili operazioni di soccorso dei volontari Sono molte le organizzazioni che da tutto il mondo stanno offrendo aiuti ai sopravvissuti VENERDÌ' SCORSO UN TERREMOTO HA INVESTITO IL PUNTO DI CONGIUNZIONE TRA LE PLACCHE DELLA CAROLINA E DELL'AUSTRALIA, CAUSANDO ONDE ALTE 10 METRI. PONTI: US GBOIOOICAL SURVEY, UNIVERSITÀ' DEL DELAWARE, «ATLANTE DEGLI OCEANI»