Simeone, in cella il padre del compagno di Francesco Grignetti

Simeone, in cella il padre del compagno Roma: il ragazzino aveva confessato l'omicidio, poi ha ritrattato coinvolgendo il papà che nega tutto Simeone, in cella il padre del compagno Interrogato nella notte, è indagato per omicidio volontario ROMA. Il giallo della pineta di Ostia è a una svolta forse conclusiva. Fino a ieri pomeriggio c'era un ragazzino di undici anni che si era autoaccusato: «A Simeone ho dato una bastonata e quello è morto». Ma gli inquirenti non gli avevano creduto o almeno si erano resi conto che non raccontava tutta la verità. In un secondo momento, isolato dalla famiglia, portato in un istituto religioso, il ragazzino aveva ritrattato tutto. Nella notte il colpo di scena. Suo padre, Vincenzo Fronteddu, portato in Procura per un lungo, interminabile, interrogatorio, conclusosi alle 23, è stato fermato con l'accusa di omicidio volontario. L'uomo non ha precedenti specifici per pedofilia anche se ha precedenti penali per reati di poco conto. Suo figlio avrebbe riferito, ma il racconto deve essere tutto verificato, che all'episodio era presente anche il padre. Lui, l'undicenne, avrebbe colpito il piccolo Simeone ad una spalla con un bastone di legno e poi si sarebbe dato alla fuga lasciando sul posto il padre. Sempre stando al suo racconto, il ragazzino sarebbe quindi fuggito mentre Simeone era ancora vivo. E il padre, il quale avrebbe dovuto prendere parte ai giochi erotici dai quali è scaturita la hte tra i due bambini, sarebbe rimasto sul posto e sarebbe dunque il vero autore dell'omicidio. L'accusa di omicidio volontario sarebbe, secondo il pm Pietro Saviotti, «uè avvedimento provvisorio». «Domani (oggi, ndr.) - \a piegato il giudice - continueremo l'attività istruttoria». Da ieri mattina, l'autopsia ha rivelato un evento a sorpresa: Simeone è morto per un rigurgito. U cibo dallo stomaco è risalito fino alla trachea e l'ha soffocato; qualcosa di grosso e pesante gli è balzato sul petto fino a rompergli due costole e provocargli un'asfissia. La madre dell'undicenne diceva: «Mio figlio non c'entra niente. Era al mare con suo fratello. Poi ha cenato con me e con mio marito, nell'orto che abbiamo fuori Ostia. Siamo tornati insieme a casa intorno alle dieci». La madre, sconvolta, si sfogava con i giornalisti: «La polizia ha portato a Roma mio marito e il mio figlio maggiore di 35 anni, non so perché». Nel pomeriggio, nel commissariato c'era stato ancora un interminabile viavai di bambini e adolescenti. Diceva il capo della squadra mobile, Nicolò D'Angelo: «L'unica cosa sicura è che non si tratta di un incidente. Stiamo controllando tutto». E aggiungeva il sostituto procuratore del tribunale per i minori, Simonetta Matone: «Stiamo verificando la credibilità del racconto che ci ha fatto il ragazzino. La vicenda è delicatissima. Abbiamo preso un provvedimento di protezione per allontanarlo dal suo ambiente. Per rendere il suo racconto il più possibile scevro da influenze esterne». Gli investigatori non erano espliciti, ma evidentemente affrontavano con mille cautele il racconto del presunto colpevole. Al punto da isolare il ragazzo e andare avanti con le verifiche. Non si fidavano. E poi, d'altra parte, l'undicenne non era l'amichetto del cuore di Simeone? Non si raccontava che i due facevano fronte comune, in quel cortile tanto difficile, contro le prepotenze dei più grandi? Perché improvvisamente questa amicizia si sarebbe trasformata in una hte mortale? Le domande si affastellavano. Se poi si guardava quella specie di spelonca che è la baracchetta dove era stato trovato il corpo di Simeone, c'era da pensare al peggio. Scritte turpi, sconce. Immondizie. Cartocci di vecchie merendine. «Per Diavolo, uno dei più grandi sacerdoti di messe sataniche. Ha ucciso più di trecento ragazzi tra i tre e i 10 anni e 30 mila donne prima stuprate e poi usate per i riti. E' ricercato con una taglia da un miliardo di dollari». «Per Recchia, uno dei più grandi pedofili mondiali». «Sono un killer, ho ucciso 200 persone». «Ho stuprato 20 donne». Frasi in libertà. Ma non di bimbetti, per quanto possano crescere in fretta in questo disastro di emarginazione. E così non si diradava il dubbio che ci fosse qualcosa di più losco sotto la morte di Simeone. Sì, certo, gli abitanti delle case occupate avevano già emesso la sentenza: «Quel ragazzino era un tipo strano. Gettava bottiglie contro i treni. Andava sui terrazzi e accendeva fuochi. Era un violento». Racconti che contrastavano radicalmente con quanto diceva la madre: «Con Simeone erano amichetti e invece con gli altri non legavano perché li picchiavano sempre. Se mio figlio ha detto certe cose, l'ha fatto per paura». Ma anche questa storia che un ragazzino di undici anni si prendeva la colpa di aver ammazzato il suo amico per paura delle botte che potrebbe prendere dal branco, non convinceva gli mquirenti. E sennò perché il pm Matone avrebbe incaricato i periti di verificare quale peso poteva aver causato un rigurgito come quello mortale per Simeone? E perché avrebbe chiesto di controllare se il peso dell'undicenne era compatibile con la situazione riscontrata nell'autopsia? Si capiva allora perché gli investigatori dicevano: «Ci vorrà tempo». E ieri sera la svolta. Francesco Grignetti itili

Persone citate: Matone, Nicolò D'angelo, Pietro Saviotti, Recchia, Simonetta Matone, Vincenzo Fronteddu

Luoghi citati: Roma