Ulivo, tregua obbligata di Augusto Minzolini
Ulivo, tregua obbligata Ulivo, tregua obbligata E il premier segue i consigli di D'Alemu DALLA PRIMA PAGINA TREGUA obbligata, appunto, perché il Professore e-.il segretario diessino hanno capito ancora una volta - non è la prima e non sarà neppure l'ultima - che nelle condizioni in cui si trova la maggioranza, nessuno dei due può permettersi di fare a meno dell'altro. Risultato palpabile del nuovo rapporto tra i due, al di là dei soliti romanzi su patti futuri per Palazzo Chigi e il Quirinale, è stato proprio il discorso pronunciato ieri dal presidente del Consiglio, diverso nei toni e nei contenuti da quello con cui aveva introdotto il dibattito sulla fiducia al governo: il premier ha messo da parte l'arroganza, ha sorvolato sulla commissione su Tangentopoli, ha parlato di riforme da condividere con l'opposizione e, ancora, si è ricordato di difendere il Capo dello Stato (la volta scorsa lo aveva dimenticato) nella querelle con Di Pietro e Berlusconi. Insomma, il Professore si è trattenuto per quel che ha potuto. L'unica sbavatura è stato quel «vaffan...» rubato dalle telecamere al movimento delle sue labbra mentre parlava il capogruppo di Forza Italia, La Loggia. Galateo a parte, un peccato veniale rispetto al passato. Eh già, tregua obbligata per evitare di farsi del male. Siglata dopo che l'altra sera per più di un'ora D'Alema e Prodi si sono rinfacciati i colpi bassi che si sono scambiati nell'ultimo mese. «Tu mi hai fatto questo sgambetto...». «Tu ti sei messo di traverso...». La ero naca puntigliosa della guerra sotterranea. «Quando hai detto che dovevo dimettermi di fronte al "no" di Rifondazione sulla Nato - ha rimproverato il premier a D'Alema -, mi hai messo in una situazione di im barazzo perché avrei umiliato l'Ulivo facendo quello che chiedeva il Polo». «Dato che si tratta del dibattito sulla fidu eia, non ripetere nella replica un nuovo no alla commissione d'inchiesta su Tangentopoli gli ha consigliato l'altro perché, se per caso poi quella proposta passasse, ;'qualcuno potrebbe dire che ti devi dimettere perché spi stato sconfessato. Semmai dovresti in tervenire su Boselli per chie dergli di non appoggiare la proposta della commissione avanzata dal Polo o, almeno, di assecondare l'ipotesi del rin- vio del voto. Se la maggioranza comincia a dividersi su un argomento del genere rischiamo poi che si verifichi un effetto domino con la dissociazione di altri pezzi su altre questioni...». I due hanno parlato poi delle polemiche sull'Ulivo, di quelle sull'azione del governo, di quelle altre sulle riforme. E alla fine, facendo ricorso al realismo, hanno deciso di non pestarsi più i piedi: D'Alema non romperà le scatole al governo. Prodi la smetterà di porre ogni due per tre la questione dell'Ulivo e non cercherà di ostacolare la ripresa di un dialogo sulle riforme con l'opposizione. Il tutto condito da una serie di valutazioni sul futuro, a cominciare da quelle sulla successione al Quirinale, troppo lontane nel tempo per essere prese sul serio. Ma, diciamoci la verità, Prodi e D'Alema avrebbero potuto far altro? Questa maggioranza è troppo debole per sopportare a lungo una guerra tra i due. La verifica è servita a poco e anche lo scontro duro con l'opposizione - Prodi ne ha convenuto - è difficile da sopportare per un governo in calo di popolarità e con una base parlamentare divisa. Così meglio mettere da parte l'arroganza. Meglio andare in ferie in pace. Meglio seguire il consiglio del Capo dello Stato che ieri è stato difeso a spada tratta da tutto l'Ulivo: «Bisogna - sono le parole che Scalfaro sta dispensando in queste settimane - andare in vacanza, mettere a riparo la testa dal solleone e sperare che torni il buonsenso». Per raggiungere un obiettivo del genere c'è bisogno, però, innanzitutto di un Prodi diverso. Meno baldanzoso, meno rissoso, più realista e più consapevole della sua debolezza. Il resto è affidato alla capacità di persuasione che i redivivi pacieri, quelli capitanati da D'Alema, sapranno esercitare sul Polo e sui dissidenti della maggioranza. Ieri Berlusconi ha fatto un passo avanti anche se, al solito, nessuno sa con quanta convinzione: ha detto che la commissione di inchiesta su Tangentopoli darebbe anche la possibilità di riaprire il dialogo sulle riforme. Un discorso che in parte il segretario diessino ha recepito, solo che in questo momento D'Alema non è nelle condizioni di pronunciare un «sì». Da qui l'interpretazione che il segretario della Quercia ha dato della sua proposta di una commissione di cinque saggi: «E' un modo per verificare - ha spiegato ieri a più di un interlocutore - se ci sono i presupposti per una commissione di inchiesta o se è meglio la commissione di indagine». A parte i ragionamenti un po' contorti, la proposta serve soprattutto a guadagnare tempo, a superare questa fase di stallo. Riuscirà questa volta la diplomazia nell'impresa? E' difficile, anche perché nel nostro Paese ogni tregua è sottoposta a imprevisti. In Italia infatti bisogna mettere nel conto che anche se a Berlusconi tornasse la voglia di dialogare, ci penserebbe subito un procuratore, se non di Milano, di Palermo, a fargliela passare. Augusto Minzolini «Ma richiama all'ordine Boselli: su questo punto non possiamo dividerci» Dopo la cena di lunedì: sulla commissione non ripetere il no, potrebbe passare Massimo D'Alema
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